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L'Espresso Rassegna Stampa
13.03.2005 Al terrorista non devi domandare
ecco la linea del settimanale dell' Ing.de Benedetti

Testata: L'Espresso
Data: 13 marzo 2005
Pagina: 40
Autore: Gianni Perrelli
Titolo: «Così addestro i Kamikaze»
A pagina 40 de L'Espresso è stato pubblicato un articolo di Gianni Perrelli dal titolo "Così addestro i kamikaze". Si tratta di un'intervista a Munir Maqdah, fondatore e comandante dei Martiri di Al Aqsa che vive in Libano.

L'intervista propone varie domande relative ai motivi per i quali è stato fondato il "movimento", agli scopi, alle relazioni con Arafat, alla situazione politica attuale ed alle modalità di selezione dei "kamikaze".

Le domande possono inizialmente apparire equilibrate e le risposte fornite sembrano risposte di un politico dai toni aspri. Ma sarebbe lecito attendersi dal giornalista un commento o una replica (anche successiva) per chiarire o puntualizzare. Anche il linguaggio usato è fin troppo "diplomatico".
In nessun punto dell'articolo si parla dei Martiri di Al Aqsa come di un'organizzazione di terroristi. Non in un punto viene definito terrorista e latitante l'intervistato Munir Maqdah.

Il giornalista ha comunque posto alcune domande interessanti, senza però commentare le vaghe risposte fornite. Una per tutte (riferita al periodo in cui Arafat era vivo):
"Chi reclutava i militanti? E chi forniva i finanziamenti per le azioni militari?
Le adesioni al nostro movimento erano spontanee e quotidiane. I fondi arrivavano dalle sottoscrizioni di associazioni caritatevoli. All'interno di Al Fatah avevamo la solidarietà di Marwan barghouti, che nell'ambito dell'Intifada si occupava però solo del lavoro politico"

E' comprovato il legame politico-finanziario di Arafat con le organizzazioni terroristiche, questa compresa. E' evidente che l'associazione caritatevole, ammesso che sia mai esistita, è stata solo una copertura poi platealmente smascherata. Ma questo il giornalista non lo obietta nel corso dell'intervista, nè successivamente quando ha scritto l'articolo.

Ma occorre soprattutto pensare alle domande che il giornalista NON ha fatto al terrorista.

Non è stato chiesto se sono disposti a riconoscere il diritto di Israele all'esistenza
Non è stato chiesto a quali condizioni sarebbero disposti ad abbandonare il terrorismo
Non è stato chiesto chi li ha costretti a vivere in circa 80.000 in un campo nomadi di un chilometro quadrato in condizioni igieniche e sociali precarie
Non è stato chiesto se la ricca Siria c'entra qualcosa in tutto questo
Non è stato chiesto perchè, benchè vivano in Libano, sono costretti dai loro stessi fratelli arabi a vivere in campi nomadi
Non è stato chiesto se non ritiene disumano costringere i bambini a diventare baby-soldati
Non è stato chiesto che cosa succede se una famiglia rifiuta di dare un figlio alla causa terrorista.

Non sarebbero state domande di costume o prive di significato. Sarebbero state utili e avrebbero fornito un migliore quadro dell'organizzazione terroristica e delle parole pronunciate dal suo fondatore.




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