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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
04.09.2011 Equiparare democrazia ad autoritarismo
Nell'articolo sulla Turchia di Alberto Negri

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 04 settembre 2011
Pagina: 14
Autore: Alberto Negri
Titolo: «Muro di diffidenza tra Ankara e Gerusalemme»

Sul SOLE24ORE di oggi, 04/09/2011, a pag. 14, con il titolo " Muro di diffidenza tra Ankara e Gerusalemme ", Alberto Negri analizza i rapporti fra Israele e Turchia. Anche Negri, pur se in misura minore, soffre del virus che ha colpito Tramballi, quello che abbiamo chiamato " menzogna omissiva ". Perchè non scrive, pur sapendolo benissimo, che i soldati israeliani, minacciati di morte dalle armi dei pacifinti della Mavi Marmara, non  potevano agire diversamente, se non difendendosi ? Ometterlo, non aiuta i lettori del SOLE24ORE, già abitualmente disinformati da Ugo Tramballi.
Perchè poi il Rapporto Palmer dell'Onu sia 'disastroso', come lo definisce Negri, non lo capiamo. Forse perchè ha attribuito pesanti responsabilità alla Turchia ?
Tutto il pezzo equipara la democrazia israeliana all'autoritarismo turco. E' corretto ?
Povero quotidiano rosa, cambiano i direttori ma la musica è sempre la stessa.
Ecco il pezzo:


Erdogan e Bibi, autoritarismo e democrazia sono uguali ?

Era forse inevitabile che Turchia e Israele arrivassero ai ferri corti: nessuno dei due vuole cedere il punto. Ankara esige scuse ufficiali e una compensazione per i nove cittadini turchi uccisi nell'assalto alla Mavi Marmara, Israele afferma che è diritto delle sue truppe difendersi e mantenere, a ogni costo, il blocco navale su Gaza.

In mezzo c'è il rapporto delle Nazioni Unite, probabilmente assai vicino alla verità ma politicamente disastroso, un tentativo maldestro di mettere d'accordo le due parti senza riparare i torti, veri e presunti. Le altre potenze, tra cui l'Europa, stanno a guardare colpevolmente perché l'episodio della Mavi Marmara è avvenuto nel Mediterraneo in acque internazionali, in uno scenario che riguarda tutti, non solo Turchia e Israele.

Delle misure di ritorsione prese da Ankara la più pericolosa non è l'espulsione dell'ambasciatore ma la decisione di far scortare i propri convogli commerciali dalla Marina militare quando attraversano le acque internazionali vicino a quelle di Israele: il pericolo di provocazioni, se venisse attuata, sarebbe all'ordine del giorno.

I duellanti si sono lanciati il guanto di sfida. E questo nel momento in cui i due Governi sono specularmente su posizioni estremiste. Il primo ministro turco Erdogan sbatte le porte in faccia alle riunioni internazionali - non è andato neppure a Parigi per la Libia - quando le cose non vanno nel modo in cui a lui aggrada, come se fosse l'unico attore deputato a dire cosa è giusto o sbagliato. Anche quando ha ragione lo esprime con gesti umorali, più da capopopolo che da statista. Si arrabbia per i suoi stessi errori: sapeva che la Mavi Marmara costituiva una provocazione ma ha preferito raccogliere il consenso della piazze arabe piuttosto che difendere gli interessi nazionali. Anche questa è una politica legittima ma ha un prezzo.
Era diventato amico personale di Bashar Assad che voleva trascinare a un accordo con Israele sul Golan. Per Bashar era arrivato già a uno scontro con Israele quando nel 2007 i caccia dello Stato ebraico bombardarono il sito nucleare di Deir el Zhour senza avvertirlo. Adesso, deluso dal presidente siriano, ha mollato Assad e afferma che farà la fine di Mubarak, Ben Alì e Gheddafi.

Israele è ostaggio degli ultranazionalisti di Lieberman e dei suoi problemi cronici con i palestinesi. Non riesce a elaborare una politica che esca dalla logica del fortino assediato e si permette operazioni belliche fuori da ogni regola del diritto internazionale. Sa di poterla fare franca per l'appoggio americano: ma chi ha perduto la Turchia? È stato Israele stesso che ha continuato a immaginare i rapporti con Ankara come se il mondo non fosse cambiato: al potere non ci sono più i generali secolaristi ma un Governo legittimamente eletto che interpreta i sentimenti generali di insofferenza dell'opinione pubblica nei confronti della tracotanza israeliana e ha costretto i militari in un angolo. Anche loro, per altro, non la pensano più come vent'anni fa quanto Ankara aveva un solo vero alleato in Medio Oriente: proprio Israele.

Il mondo arabo, un tempo così diffidente nei confronti degli eredi turchi dell'Impero ottomano, è cambiato e Israele non intende accettarlo: per questo ha problemi con l'Egitto e ne avrà ancora di più al prossimo cambio di regime a Damasco, dove Ankara si propone come il grande protettore dell'opposizione. La stessa Turchia, con un Governo islamico accettato anche in Occidente, è diventato per gli arabi un modello da seguire.

Certo la Turchia di Erdogan ha ambizioni che prima non aveva. Vuole diventare il padrone del Mediterraneo orientale, sta varando una flotta competitiva.

Eppure i duellanti hanno ancora molti interessi strategici in comune. La Turchia si prepara a ospitare un sofisticato sistema radar della Nato il cui scopo non dichiarato ma evidente è quello di monitorare e contrastare i missili balistici iraniani. Israele e la Turchia sono entrambi nemici giurati dell'estremismo islamico e questo Erdogan lo sa perfettamente perché i servizi segreti dei due Paesi si sono scambiati, e forse lo fanno ancora, montagne di informazioni. Furono tra l'altro gli israeliani ad aiutare i turchi a localizzare, durante la sua fuga nel '98-99, Abdullah Ocalan, il capo della guerriglia curda del Pkk.

I duellanti possono evitare lo scontro ma in Medio Oriente, sul versante orientale della Nato, nel pieno delle rivolte arabe e di difficili transizioni, si è costruito un nuovo muro della diffidenza di cui non si sentiva il bisogno.

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