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Avvenire Rassegna Stampa
24.03.2015 La solita retorica di Avvenire a favore dei 'poveri' palestinesi
Perché non parla delle fiorenti comunità cristiane in Israele?

Testata: Avvenire
Data: 24 marzo 2015
Pagina: 23
Autore: Edoardo Castagna
Titolo: «Israele, vita quotidiana all'ombra del muro»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 24/03/2015, a pag. 23, con il titolo "Israele, vita quotidiana all'ombra del muro", la recensione di Edoardo Castagna.

Ancora una volta Avvenire propone la stantia retorica dei poveri palestinesi, e anche se Castagna evita di condannare Israele per la situazione difficile di molti arabi palestinesi - che la devono imputare a se stessi e ai propri governanti corrotti ed estremisti -, il giudizio è comunque implicito.
Castagna cita le difficoltà dei cristiani nei territori controllati dall'Anp e a maggior ragione a Gaza, ma si "dimentica" di dire come in Israele la comunità cristiana sia in fiorente sviluppo sia demograficamente, sia economicamente.
Non capiamo, infine, come si possa parlare della barriera difensiva edificata da Israele per proteggere i propri cittadini dalle infiltrazioni terroristiche nei termini esclusivi di muro. La barriera è di cemento in brevi tratti (segnatamente, per evitare il tiro dei cecchini palestinesi che, prima dell'edificazione, colpivano e uccidevano gli israeliani), ma per la maggior parte si tratta di semplice barriera, come mostra la fotografia sottostante.

Ecco l'articolo:

Vita quotidiana all’ombra del Muro. Il reportage narrativo di Giovanni Verga Vivere in Palestina tra tablet, muri, Bibbia e Corano (Infinito, pagine 92, euro 12,00) raccoglie voci e vite di israeliani e palestinesi, ebrei, musulmani e cristiani di fronte alla barriera eretta attorno allo Stato di Israele e alle colonie ebraiche in Cisgiordania dal 2002. Il Muro ha centrato il suo obiettivo primario, stroncare lo stillicidio di attentati, ma ha anche generato pesanti danni collaterali sulle popolazioni lungo il suo tracciato; danni economici, in primo luogo, ma anche sociali e famigliari. Messi in conto e accettati a priori davanti all’esigenza anti-terroristica; d’altra parte, sintetizza Verga, «l’efficienza israeliana è fuori discussione, a scapito magari delle buone maniere».

Un ’osservazione che vale per i rigidi controlli agli aeroporti e ai valichi come, per estensione, agli effetti del Muro . L’economia israeliana e quella palestinese sono simbiotiche e la Barriera ha danneggiato entrambe. La difficoltà di transito, dovuta ai percorsi ora più lunghi e tortuosi e alle sfibranti attese ai varchi, ha reso più difficile il pendolarismo della manodopera palestinese. Il che ha certo danneggiato l’economia israeliana, ma ha colpito soprattutto la Cisgiordania, dove ha fatto impennare i già elevati tassi di disoccupazione.

Verga lo illustra attraverso le statistiche e, soprattutto, le voci dei lavoratori la cui quotidiana trasferta è diventata troppo lunga e incerta per poter essere portata avanti. Ma anche dei micro-imprenditori che devono fronteggiare gravi difficoltà per approvvigionarsi dai fornitori e per raggiungere i clienti. Eppure un’imprenditoria cisgiordana, pur tra le difficoltà, si sta muovendo, soprattutto nel settore delle nuove tecnologie. I palestinesi sono tra gli arabi più scolarizzati, e impegnano la loro competenza, quando possono, in un pulviscolo di aziende di servizi che, accanto alla tradizionale agricoltura, costituisce l’ossatura dell’economia.

I palestinesi, d’altra parte, hanno fame di tecnologia, e in parte anche questo è un effetto del Muro: le grandi famiglie arabe si sono trovate separate dalla Barriera e tablet e telefonini diventano strumento indispensabile per mantenere i contatti. «Io ho moglie e figli su questo lato – spiega Mahfouz – e sono rimasto, ma ho parenti e amici di là. Andare da loro significa oltrepassare ogni volta la barriera, il check point, i controlli, le code. Eppure, vede, sono proprio lì dietro”, fa indicando l’altra parte del blocco».

Il reportage si sofferma a lungo anche sulla condizione dei cristiani palestinesi e registra sconsolato il progressivo declino della loro consistenza numerica: la tentazione di emigrare s’impone sia per le difficoltà economiche, comuni a tutti, sia per la crescente pressione dell’islamismo, in preoccupante crescita. Particolarmente riuscito, tra i capitoli che compongono il volume, il dittico che mette accanto i coloni ebraici in Cisgiordania ai palestinesi dei campi profughi che sorgono a pochi metri di distanza, oltre il Muro. Al di qua, ordinate e laboriose cittadine, garanzia – ora che gli attentati sono stati scongiurati – di vita serena. Al di là, insediamenti che ancora oggi, a settant’anni dalla loro creazione, continuano a essere campi profughi dipendenti dall’assistenza dell’Onu. Anche se trovare un vero profugo, arrivato nel campo poiché costretto a lasciare la propria abitazione, ormai è un’impresa: la quasi totalità degli abitanti di quegli insediamenti è nata e cresciuta lì.

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