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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Irène Némirovsky, Il vino della solitudine 27/12/2011

Il vino della solitudine                 Irène Némirovsky
Traduzione di Laura Frausin Guarino
Adelphi                                            Euro 18

Figlia unica poco amata, dall’infanzia infelice e solitaria con una madre vanesia ed egocentrica, Irène Némirosky ci regala con l’ultimo romanzo che Adelphi manda in libreria, Il vino della solitudine,  una struggente opera autobiografica nella quale descrive con sguardo impietoso una figura materna superficiale e supponente, un padre distratto e una governante francese nei confronti della quale prova un affetto sincero e ricambiato.
I libri di Irène Némirovsky - scrittrice di lingua francese nata e cresciuta fra l’Ucraina e la Russia, vissuta a Parigi dove la famiglia si era trasferita per sfuggire alla Rivoluzione d’Ottobre, deportata dai nazisti in quanto ebrea ad Auschwitz, dove morirà il 17 agosto del 1942 - sono un’ assoluta certezza e sin dal capolavoro Suite francese pubblicato nel 2005 non hanno mai deluso le aspettative del lettore.
Straordinaria è la capacità di questa scrittrice di analizzare l’animo umano fin nelle sue pieghe più riposte facendo emergere, con rara maestria narrativa, le ricchezze e le miserie di ogni personaggio da lei mirabilmente tratteggiato.
Non è difficile riconoscere nella figura della piccola Hélène, protagonista del romanzo, la stessa autrice la cui infanzia e adolescenza sono state segnate da una madre avara di sentimenti, dinanzi alla quale il suo comportamento doveva sempre essere impeccabile; una donna egoista Fanny Némirosky che a giudizio di Irène non avrebbe mai dovuto diventare madre perché priva del più tenue istinto materno (“….mi hanno scaraventata su questa terra, e mi hanno lasciato crescere. Mettere al mondo dei figli e non dar loro un briciolo, un atomo di amore è un delitto!”) e della quale nel romanzo Bella Karol  è il ritratto fedele: un’aristocratica signora che sfoglia pigramente riviste francesi ed è troppo coinvolta nella passione per il cugino Max per poter dedicare attenzioni ad una bambina originale che si rifugia nei libri, unica oasi di serenità nella sua giovane esistenza
(“ Ma lei amava lo studio e i libri, come altri amano il vino, per la loro facoltà di dare l’oblio”).
Anche dal padre, ricco uomo d’affari, dedito al gioco d’azzardo e adorato dalla figlia, Hèlene non riceverà mai un gesto d’affetto perché per quest’ uomo debole e succube della moglie la piccola non rappresenta altro che una creaturina cui riservare  poche distratte attenzioni.
In un ambiente familiare di tale desolazione affettiva e dove l’unico atto d’ amore le viene riservato dalla governante, Hélène diventa donna mentre la madre si oppone in maniera capricciosa al trascorrere del tempo, ostinandosi a vedere in Hélène soltanto una bambina. Anche perché l’immagine di una figlia che cresce è il riflesso del tempo che passa e del suo inesorabile invecchiamento.
Con lo sbocciare della giovinezza e la presa di coscienza del fascino che esercita sugli uomini Hélène, con crudele determinazione, matura la decisione di vendicarsi e lo farà prendendosi l’amante di sua madre, quell’uomo che con la sua presenza le ha rovinato l’infanzia precludendole l’amore materno. Eppure al termine della narrazione Hélène dimostrerà di non essere malvagia come la madre scegliendo, dopo anni duri di apprendistato che le hanno forgiato il carattere e rafforzato l’orgoglio, una vita caratterizzata da una solitudine “aspra e inebriante”.
Ciò che colpisce in questo romanzo è lo sguardo disincantato e senza fronzoli di una bambina che riesce a cogliere in modo acuto e ironico le trame e i segreti che si celano nelle persone che la circondano e che non si fa scrupolo di giudicare in modo impietoso.
Dalla lettura de Il vino della solitudine emerge non solo la delicata capacità introspettiva dell’autrice che le consente di delineare in maniera mirabile i risvolti familiari e affettivi di un’umanità sfaccettata di cui si conferma attenta conoscitrice, ma anche lo straordinario talento narrativo nel far rivivere un’epoca complessa e indimenticabile, gli anni Trenta del secolo scorso con le sue vittorie e le sue sconfitte.
Il vino della solitudine è uno fra i romanzi più intensi e struggenti della Némirosky che suscitando emozioni profonde riconferma l’ inimitabile arte narrativa di una scrittrice che il mondo letterario ha perso troppo presto.

Giorgia Greco


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