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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Irène Némirovsky, Il signore delle anime 12/12/2011

Il signore delle anime                           Irène Némirovsky
Traduzione di Marina Di Leo
Adelphi                                                     Euro 18

Avrebbe potuto intitolarsi Il ciarlatano. Quando esce a puntate sulla rivista «Gringoire » nel 1939, il romanzo della «grande autrice slava» - che collabora regolarmente alla
pubblicazione dal 1933 – viene presentato con il titolo Gli scali del Levante. Protagonista ne è Dario Asfar, un immigrato, meteco,come sono chiamati in Occidente all'epoca gli apolidi stranieri ebrei. Medico di professione, Dario Asfar è accompagnato
dall'autrice in un percorso di ascesa che lo conduce da Nizza a Parigi, dal rifiuto in quanto diverso all'accettazione pagata al caro prezzo del compromesso.
Per chi è ormai abituato e inevitabilmente affezionato alla scrittura di Irène Némirovsky, l'ultimo uscito per Adelphi nella limpida traduzione di
Marina Di Leo - con il titolo scelto dall'editore Denoel nel 2005 quando il romanzo è stato per la prima volta ripreso in volume, ovvero Le Maître des âmes, Il signore delle anime, qualifica che contiene in sé il senso della degradazione del protagonista
- sarà una sorpresa. Non tanto per la trama, quanto perché vi è evocata in termini inediti la psicanalisi o meglio ancora la visione stereotipa del suo indebito sfruttamento. Gli scali del Levante, città e porti commerciali del Medio
Oriente che servono da passerella tra l'Asia e l'Europa, per le spezie e la seta ma anche per tanta miseria disperata, negli anni successivi alla prima guerra
mondiale sono visti in Occidente come i luoghi da cui proviene la malattia, la minaccia del diverso. Dario Asfar è l'incarnazione di questo pericolo, e come tale vive l'incubo della persecuzione xenofoba. Che Irène Némirovsky ne abbia fatto il protagonista
di un suo romanzo non è strano, tutt'altro. Rappresenta una delle tante versioni che ha dato nella sua opera alla vicenda vissuta in prima persona, alla difficile integrazione per chi veniva da fuori - lei da Kiev, Dario Asfar dalla Crimea - con il peso di un marchio. E così pure non è strana la doppiezza del personaggio, il suo essere dannato
per volere della Storia ma il suo rimanere nonostante tutto persona.
Era così che la stessa Irène si sentiva, lei che per pubblicare i suoi romanzi doveva accettare l'inaccettabile, non ultimo quello di figurare su riviste antisemite, e da un certo punto in poi senza il suo vero nome, in qualche modo rinunciando quindi
alla sua identità.
Qui l'alter ego è sovraccaricato. Il rifiuto sociale nei suoi confronti somma alla diversità «razziale » quella di classe, che Irène non dovette affrontare, appartenendo
di famiglia al mondo della finanza. Ed ecco la ragione della particolare passerella imboccata dal personaggio: per sopravvivere all'esclusione, s'inventa il
mestiere del cacciatore di anime.
Le turbe psichiche di cui soffre l'alta società diventano per lui pane quotidiano. Respinto come medico dei corpi, riesce a sfondare puntando là dove si annida
il suo vero nemico, offrendo cioè il placebo impagabile della «sublimazione dell'Io».Un patto con il diavolo, certo, che egli accetta pur sapendo quanto gli costerà.
Dario Asfar infatti non ne esce indenne. Irène Némirovsky sentiva
sul collo il fiato del contagio. Il Maestro delle anime è il ritratto
di questa sua paura.

Gabriella Bosco
Tuttolibri – La Stampa


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