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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Nicole Krauss, La grande casa 18/07/2011

La grande casa                                     Nicole Krauss
Traduzione di Federica Oddera
Guanda                                                    Euro 18

«La scrivania, però, era tutt'altra cosa. In quella cameretta semplice e minuscola, metteva in ombra tutto il resto come una specie di mostro grottesco e minaccioso...». La proprietaria di questo singolare pezzo d'arredamento, la scrittrice Lotte Berg arrivata in Inghilterra nel 1939 con un convoglio di bambini ebrei in fuga come lei dalla Germania nazista, è uno dei personaggi le cui storie si allineano in La grande casa, terzo romanzo dell'americana Nicole Krauss.
La scrivania ha diciannove cassetti e viene da lontano, dalla notte e nebbia che trafigge al cuore l'Europa nel centro del Ventesimo secolo, e ha attraversato avvenimenti storici, Paesi e continenti. La sua storia si sposta da Londra a New York a una difficile terra d'Israele divisa tra la quotidianità familiare e la quotidiana emergenza della guerra, perché, come dice uno dei personaggi chiave del libro, l'antiquario Weisz, non è un mobile qualsiasi. Anche Weisz è un antiquario particolare: la sua abilità sta nello scovare mobili che, a differenza dei proprietari, sono scampati all'Olocausto, e reclamati da chi è sopravvissuto come il sogno materializzato di un'impossibile quanto irresistibile nostalgia. Nella sua ricerca, che annoderà le fila delle diverse storie, è in gioco quel vincolo della memoria che è il tema centrale del romanzo, anche se l'autrice non risparmia su altri argomenti forti e nobili: dal colpo di Stato in Cile di Pinochet con i suoi arresti e le sue torture a figli perduti per troppa disperazione o soffocati per troppo amore, da vocazioni letterarie difficili o interrotte a sensualità tardive destinate a esito tragico e, infine, alla saggezza rabbinica.
Trentottenne, nipote per parte di madre e di padre di emigranti ebrei in fuga dalle loro comunità dell'Europa centrale, moglie di un autore di precoce culto come Jonathan Safran Foer e come lui appartenente alla giovane intellighenzia ebraica americana, Nicole Krauss ha alle spalle un curriculum che relega al mondo di ieri tanti mitici destini letterari e che è invece esemplare del nuovo professionismo degli scrittori d'oltre oceano: vocazione letteraria adolescenziale che invece di scontrarsi, come succede in genere nella vecchia Europa, con un contesto ostile viene coltivata e indirizzata dalle migliori università (a Stanford, per esempio, dove Joseph Brodsky è il suo tutore poetico per tre anni), premi su premi per i traguardi accademici, racconti pubblicati su prestigiosi periodici come la «Paris Review» o il «New Yorker», un primo romanzo, L'Uomo sulla soglia, accolto con entusiasmo da Susan Sontag e un secondo, La storia dell'amore, tradotto in trentacinque lingue. E certo Krauss conosce bene la tradizione americana, quella ebraica e la letteratura contemporanea di Israele, cui il nuovo romanzo si apparenta. Ma tutta questa eccellenza formativa, da manager della scrittura, sembra incombere minacciosamente su La grande casa: un eccesso di tecnica, di materia al fuoco e di ambizione finisce con l'irretire l'intelligenza innegabile di questa autrice e il suo modo appassionato di penetrare nelle vite degli altri. Dei quali, a lettura conclusa, le storie tendono a confondersi e svaporare per troppo ricercata e insistita densità.

Elisabetta Rasy
Il Sole 24 Ore


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