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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Mirella Serri, i suoi libri ci aiutano a capire la storia italiana 09/11/2008

Nell’ormai lontano 1944 Palmiro Togliatti inaugurava, sotto lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia, l’uscita di esordio del mensile “La Rinascita” con un durissimo attacco a Benedetto Croce, il cui libro (“Per la storia del comunismo in quanto realtà politica”) veniva sbrigativamente liquidato come uno “scrittarello”, un “conato del vuoto”.

 

L’attacco proseguiva su questo non finissimo tono sottolineando come durante il fascismo il filosofo aveva goduto di “una curiosa situazione di privilegio” in cambio di un rapporto di “aperta collaborazione”. E questo mentre, scriveva Togliatti, “il partito comunista veniva messo al bando”.  Ciò che costituiva, agli occhi di Togliatti, “una macchia di ordine morale che non gli possiamo perdonare”.

 

Ma perché con tanti fascisti (e dopo il 1945 frettolosamente antifascisti) che giravano in Italia, Togliatti andava a prendersela con un sicuro liberale e democratico come Benedetto Croce?

 

Lo spiega con una analisi approfondita e documentata Mirella Serri, docente di Letteratura e Giornalismo e lei stessa giornalista di valore, che ha dedicato fatica e anni alla ricerca di una verità non solo storica o politica, con uno scavo psicologico di grande spessore, nel suo ultimo libro ”I profeti disarmati (Corbaccio editore, pag. 214)

 

Mirella Serri continua  qui la sua campagna solitaria. Due volte solitaria perché la conduce guardandosi non solo dai nemici (se ne è fatti tanti), ma anche da molti “falsi amici” che con qualche cinismo buttano via con l’acqua sporca anche il bambino.

 

Nei due volumi precedenti,  “Il breve viaggio”, e “I redenti”, la Serri aveva incominciato una necessaria opera di piccone per abbattere luoghi comuni e leggende consacrate e immettere un po’ d’aria fresca.

 

 

 

 

 

Il perché, dunque dell’attacco a Croce, il primo di una ininterrotta serie di attacchi alla democrazia liberale, l’unica autenticamente antitetica al fascismo e l’unico possibile ostacolo all’insorgere di una dittatura di altro colore. Ecco chi era l’avversario del fascismo e del comunismo da abbattere.

 

Più tardi lo si sarebbe solo sussurrato. E si dice “sussurrato” perché l’egemonia comunista su tutto il mondo intellettuale era condizionante (i suoi effetti si sentono tuttora) e impediva ogni ricerca seria e non faziosa sulla nostra storia del dopoguerra Una egemonia che sembrava scaturire da una sorta di tacito patto tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista che assicurava alla prima il potere politico ed economico e al secondo quello di “arte e pensiero”.

 

 

 

La vulgata diceva che il paese, in larga parte contaminato dal fascismo, ne sarebbe stato redento solo dal comunismo, che nell’Unione Sovietica aveva sviluppato, secondo Togliatti, “una forma mentale e culturale superiore, cioè è stata una civiltà che non ha permesso sorgesse nel suo seno il fascismo”.

 

Ne derivava che gli unici antifascisti veraci erano i comunisti e tutti gli altri erano fascisti aperti o mascherati da liberali, repubblicani, socialdemocratici. Antifascismo eguale a comunismo, questa la semplice formula genialmente creata da Togliatti, che così pensava di far dimenticare la sua complicità di tutti i crimini di Stalin.

 

Questa formula magica funzionerà anche per quanto riguarda la lotta partigiana, dove qualsiasi movimento che combatteva il nazifascismo nella parte d’Italia invasa dai tedeschi, se non militava sotto falce e martello, era delegittimata.

 

Ricorda la Serri che già nel 1947 Gaetano Salvemini, un inattaccabile democratico antifascista, scriveva: “Quanti siano stati i partigiani… nessuno saprà mai”, ma c’erano “quelli che sono diventati antifascisti dopo il 25 luglio 1943, e si considerano della vigilia anche se avevano posti di comando durante il regime fascista… Molti hanno voltato gabbana proprio nelle ultime settimane, magari passando dalla milizia fascista ai reparti partigiani quando la guerra era ormai perduta…”.

 

Ebbene, il criterio purificante del PCI era quello fissato ne “La Fattoria degli Animali” nel giorno della vittoriosa rivoluzione animale contro i “padroni” umani: Quattro gambe buono, due gambe cattivo. Per finire a considerare “buono” solo il gruppo dirigente della fattoria, i maiali.

 

 

 

 Per la guerra partigiana occorre fare una precisazione.

 

E’ vero che il maggior peso di quella lotta fu sostenuto dalle Brigate Garibaldi, comandate da comunisti, ma è anche vero che la stragrande maggioranza dei “garibaldini” non aveva neanche il sospetto di che cosa fosse in realtà il comunismo sovietico ed erano affluiti in quelle formazioni perché più e meglio organizzate e con un magnifico sogno da proporre.

 

La leggenda così imposta dal PCI ha finito per sminuire il valore di quella che rimane una delle più belle pagine nella storia del nostro paese che di belle pagine ne ha poche.

 

Una splendida pagina (malgrado tutte le ombre) non perché scritta con l’inchiostro rosso, ma malgrado quel colore. Una lotta condotta contro gli occupanti tedeschi e i loro quisling fascisti, non a favore di Stalin e dei suoi corifei italiani.

 

 

 

Certo, il quadro che esce dalle pagine della Serri è poco pietoso. Non si tratta, almeno in gran parte, di fatti inediti, ma vederli messi tutti insieme fa un certa impressione.

 

Fa impressione il fatto che zelanti e sadici fascisti riescano a riemergere dopo pochissimo tempo come zelanti e sadici comunisti in certi paesi, per esempio, della Calabria. Fa impressione che, come scriveva Salvemini, “i poliziotti che vanno ad arrestare i fascisti, i giudici che fanno i processi ai fascisti, i diplomatici che rappresentano la democrazia italiana all’estero, i maestri che devono dare una educazione democratica ai giovani, quasi tutti dovrebbero, a loro volta, essere arrestati come fascisti, condannati come fascisti”.

 

E fa ancora più impressione che tutti questi fascisti si gettino con entusiasmo nel PCI che tutti accoglie a braccia aperte, proprio come una Chiesa, e tutti assolve nel nome di Marx, di Lenin e di Stalin.

 

Dal nulla, al Congresso del PCI del dicembre 1945, gli iscritti sono diventati 1.800.000, nel ’48 sono 2,250.000.

 

Anche gli intellettuali – scrive Mirella Serri – fanno la fila e chiedono accoglienza nei ranghi dei partiti antifascisti”. Certo, dice, non si poteva mettere al bando tutta una nazione, ma “c’è anche qualcosa in più che rende differenti gli intellettuali che sono accorsi nelle file del PCI… approdati all’amnesia dei peccati…”. “Tante ex camicie nere sono impegnate a mostrare di essere uomini nuovi, capaci di specchiata dedizione al partito che li accoglie”.

 

A denunciare il fenomeno, a mettere il dito nella piaga delle soperchierie o peggio di questi neofiti c’è soprattutto un uomo, Mario Pannunzio, che dal suo “Risorgimento Liberale” non esita a denunciarne malefatte e delitti. Il PCI invece rivolge la sua ira solo su quanti, essendo critici, sono automaticamente fascisti. Due gambe cattivo.

 

Che l’antisemitismo non sia scomparso come per miracolo con l’avvento della democrazia non può stupire. Ma che dalla sinistra italiana vengano fuori, nel 1946, appena usciti dall’inferno nazista, affermazioni come questa, dirette a colpire il Partito d’Azione, che, scrivono, “rappresenta gli interessi della piccola e media borghesia di sinistra e degli intellettuali, ma soprattutto rappresenta anche gli interessi dell’alta finanza ebraica attraverso Ascarelli” (si presume Tullio Ascarelli, docente universitario, esula nel 1938), questo sì stupisce.

 

E di Ferruccio Parri si dice che è sostenuto dalla “longa manus della finanza ebraica incarnata dai Piperno”.

 

E’ passato solo un anno dalla fine della guerra. L’”alta finanza” ebraica in Europa è diventata cenere ad Auschwitz e nessuno può più rappresentarla.

 

 

 

Folgorati sulla via delle Botteghe Oscure si contano a dozzine gli intellettuali già fascisti di primo piano, come Concetto Marchesi e Carlo Muscetta, già collaboratore negli anni trenta e Quaranta di “Primato” il periodico del razzista  Giuseppe Bottai.

 

Tutti assolti, tutti perdonati, tutti in cattedra. E per loro “chi diserta l’approdo comunista, anche se antifascista, rientra nella categoria del neofascista mascherato”.

 

Da neofascista mascherato è trattato nell’aprile del 1947 il professor Pietro Paolo Luzzatto Fegiz, oggetto di furiosi attacchi da parte de “L’Unità” perché reo di essere stato scelto come Rettore dell’Università di Trieste. Luzzatto Fegiz è colpevole di collusione con gli Alleati, anche perché “ama giocare a golf e a tennis” scrive l’Unità, e dove va a giocare? Nei circoli degli Alleati. Gli viene imputato quindi di essere un ebreo fascista e perfino antisemita. In realtà Fegiz è “colpevole” solo di avere avuto un padre ebreo. Lui è cattolico, sposato con una cattolica e firmatario, insieme a Ettore Ovazza (quest’ultimo poi sterminato con la famiglia) di una lettera di protesta contro le leggi razziali, anche se non lo colpivano personalmente.

 

Ma è un liberale. Due gambe cattivo.

 

 

 

Nomi, cognomi e fatti concreti e provati. Fatti del resto già noti e denunciati in gran parte da “Risorgimento Liberale”, la cui voce nel deserto, a distanza di tanti anni, quando molte passioni si sono spente e molta polvere si è incancrenita sotto il tappeto, è stata fatta riecheggiare, con grande asciutta bravura e non minore coraggio, quella di Mirella Serri. Chi ha orecchie per sentire, cervello per pensare e due grammi d’anima da salvare, si legga questo libro e anche i suoi due precedenti. Magari anche per non lasciarla troppo sola.


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