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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Luciano Tas
Le storie raccontate
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1970: la terza parte di "Quaranta e li dimostra" 15/10/2008

L’anno si apre con quella che sarà chiamata “la beffa di Cherbourg”.
Le cose vanno così.  Cinque anni prima Israele aveva  ordinato ai cantieri navali francesi dodici vedette da 270 tonnellate, pagandole anticipatamente. Sette vedette erano state regolarmente consegnate, ma le altre cinque venivano approntate solo nel 1967, e precisamente dopo la guerra “dei sei giorni”, quando il Presidente francese De Gaulle, indispettito dal fatto che Israele (da lui definito “un popolo sicuro di sé e dominatore”) non gli aveva dato retta sferrando il primo colpo contro l’Egitto e la Siria, aveva già decretato l’embargo di ogni materiale bellico diretto nel Medio Oriente ai protagonisti del conflitto (mentre aerei da combattimento e carri armati francesi raggiungevano tranquillamente la Libia, che non aveva difficoltà a “girare” questi mezzi ai paesi arabi).
Le cinque vedette restano così alla fonda nel porto di Cherbourg.
Israele allora “vende” le cinque vedette a una società di comodo che provvede ad approntare gli equipaggi (civili) che vengono inviati a Cherbourg per la necessaria manutenzione delle imbarcazioni.
Una mattina le cinque vedette si muovono per le consuete “prove in mare”. Guida l’operazione un marittimo (israeliano), il capitano Ezra. Le vedette non sono ancora armate, non sono di proprietà del governo d’Israele e quindi con la nuova società armatrice non violano l’embargo. Nulla osta quindi all’uscita in mare. Solo che l’uscita dura un po’ più a lungo, e precisamente per il tempo necessario a percorrere le 3000 miglia che separano Cherbourg da Haifa. De Gaulle non ne sarà felice.
Sono questi gli anni della brillante inventiva israeliana. Il 23 gennaio un gruppo di incursori d’Israele sbarca nell’isoletta egiziana di Shadwan, dove era stato installato un radar di ultima generazione fornito da imprese europee e capace di esercitare il controllo di molti movimenti israeliani. Gli incursori distruggono il radar e le installazioni militari, poi tornano a casa.

Di nuovo i francesi non sono felici. Probabilmente per pura coincidenza in Francia si registrano nuove e originali manifestazioni di antisemitismo.
Ad Amiens. come già era accaduto non molto tempo prima ad Orléans, si sparge la voce che gli ebrei fanno sparire nei loro negozi le sventurate ragazze e giovani signore che vi mettono piede. Le fanno sparire e le vendono ai bordelli di Caracas e di Beirut. Così afferma dal pulpito il parroco della chiesa di St. Honoré, e così recitano le pagine del bollettino della chiesa che mettono in guardia i fedeli dal frequentare quei pericolosi negozi.
Inutile dire che le indagini della polizia fanno giustizia di queste cervellotiche accuse medievali.
Si è chiamato “l’equilibrio del terrore” quello che ha preservato il mondo dalla catastrofe di un’altra micidiale guerra combattuta con armi nucleari dai detentori del “segreto di fabbricazione”, cioè Unione Sovietica e Stati Uniti che, consci dei pericoli di un primo e secondo colpo, suscettibili di spazzare dalla Terra centinaia di milioni di persone, si sono limitati, dal  1945 in poi, a guatarsi sospettosi in una “guerra fredda” che ne evitava però una calda, anzi rovente.
Col passare degli anni il segreto della bomba finisce per non essere più tale, e alcuni paesi incominciano a darsi da fare per produrne una nazionale. Così i due giganti ritennero di sollecitare un “Trattato per la non proliferazione nucleare” che venne sottoscritto da un centinaio di paesi (che non disponevano di sufficiente know how per costruirsi la Bomba), ma non da Francia (orgogliosa di possedere una sua force de frappe deterrente, in altre parole la Bomba e i missili necessari a lanciarla, costituendo perciò un ragionevole deterrente), India, Cina, Brasile e Israele, che si accingono a raggiungere il medesimo obiettivo.

Curioso che in questo 1970 poco tranquillizzante (se mai ci sia un anno tranquillizzante) esploda invece in tutto il mondo un lacrimevole messaggio d’amore con l’astuto libro, “Love story”, di Eric Segal, divenuto un film festosamente pianto a nord, a ovest, ad est e a sud del pianeta. Forse la penosa fine della giovane eroina ha avuto una funzione esorcizzante di più estese tragedie. Ma la vita perigliosa continua. A luglio il colonnello Muammar Gheddafi, già autonominatosi primo ministro, in attesa di autonominarsi capo dello Stato libico nel ’77, sequestra tutti i beni degli italiani che vivono in Libia, prima di cacciarli o di costringerli ad andarsene (ì beni degli ebrei erano già stati sequestrati  nel ‘67 al momento di espellerli). Dal PCI viene lanciata come fosse una pubblicità l’immagine di Israele che passa “dal martirio razziale all’assassinio imperialista”. Lo si può leggere anche su un manifesto diffuso per le strade di Pisa dalla locale Federazione del PCI. Lo slogan avrà successo e continuerò a diffondersi. “Perché” si dirà “chi ha patito il nazismo fa le stesse cose dei nazisti?”.
Non sono pochi quelli che ci credono. Compresi alcuni ebrei, come quelli che a Milano nell’ottobre del 1967 avevano costituito un “Comitato antimperialista per una pace democratica nel Medio Oriente”, poi diventato “Comitato antisionista di sostegno ai rivoluzionari palestinesi e israeliani”, che sostiene: “Quando ci si riferisce alla questione palestinese, l’antimperialismo coincide con l’antisionismo” in quanto “l’ideologia sionista determina la logica razzista, sciovinista ed espansionista della politica israeliana”.
E’ una grande data il 20 settembre 1970. Sono cento anni giusti da quando il maggiore Segre dà l’ordine di aprire il fuoco contro il muro di Porta Pia a Roma, producendo quella “breccia” famosa attraverso la quale entrano le truppe italiane.

Era stato designato a dare l’ordine proprio un Segre perché la Curia romana aveva lanciato la scomunica contro il primo che avesse osato farlo. Essendo però ebreo, il maggiore Segre veniva considerato immune dalle scomuniche papali.
Il 20 settembre sarebbe poi stato commemorato ogni anno, ma mai prima del 2008 la preghiera in chiesa per le anime dei caduti era stata formulata solo per i caduti papalini. Le altre anime, quelle degli invasori italiani, peggio per loro.
Il 1970 vede la resa dei conti tra la Giordania e i militanti palestinesi – i cosiddetti fedayin – che, riparati nel Regno di Hussein , vi avevano costituito un vero e proprio “Stato nello Stato”, facilitati forse anche dal fatto che i due terzi degli abitanti la Giordania sono anche loro palestinesi.
Le tensioni tra il governo giordano e gli uomini di Yasser Arafat vanno crescendo e toccano il culmine quando i fedayin a giugno dirottano tre aerei di linea occidentali facendoli atterrare ad al-Zarqa, importante nodo strategico giordano e sede di una raffineria. Fatti scendere i passeggeri e gli equipaggi (ancora non era invalso l’uso di fare esplodere gli aerei in volo) i tre aeroplani vengono fatti saltare.
Re Hussein di Giordania (che sarà poi oggetto di decine di attentati, tutti però andati a vuoto) decide che è l’ora di finirla, perché la sovranità giordana è in gravissimo pericolo.

Le crescenti frizioni e gli scontri tra soldati giordani e militanti palestinesi diventano guerra aperta a settembre. Gli Stati Uniti dislocano la VI flotta nel Mediterraneo orientale e Israele offre alla Giordania aiuto militare, mentre la Siria invia in territorio giordano 200 carri armati, non si sa bene se per appoggiare Hussein o, più probabilmente Arafat, che assume il comando militare dell’Armata per la Liberazione della Palestina.

Il 16 settembre è guerra aperta, ma presto l’esercito giordano ha la meglio. Il 24 settembre l’ALP chiede a più riprese un cessate il fuoco, ma la Giordania è decisa a sbarazzarsi definitivamente dello scomodo e pericoloso ospite. Le azioni militari giordane continuano anche contro i campi profughi dove vivono i civili palestinesi rifugiati dopo la guerra dei sei giorni del 1967. La battaglia, ormai impari, diventa sanguinosa vendetta e le vittime palestinesi, armate o disarmate, diventano molte decine di migliaia. Il massacro sarà ricordato dall’OLP come il “Settembre nero”.
Arafat e i suoi sono quindi costretti a riparare in Libano, dove anche qui, stante l’estrema debolezza del governo libanese, finiranno per costituire uno “Stato nello Stato” che verrà usato come base di partenza per le incursioni terroristiche e per gli attacchi di artiglieria contro lo Stato ebraico.
Il 1970 si chiude con un clamoroso processo, quello di Leningrado di fine dicembre contro un gruppo di ebrei accusati di “intenzione di reato”, e per questo condannati.

 

 

Ne parleremo. Arrivederci al 1971.                                    taslevi@alice.it


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