venerdi 03 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






 
Luciano Tas
Le storie raccontate
<< torna all'indice della rubrica
Il mio 1938 - terza parte 27/06/2008
Il 1938 è stato un anno strano, assolutamente singolare. Non è durato dodici mesi, come tutti gli anni che si rispettano, ma ottantaquattro. Vale a dire che è incominciato il 1° gennaio del 1938 ed è finito il 9 maggio del 1945. Sì, è finito con la fine della seconda guerra mondiale. E’ finito come finisce un brutto sogno, come finisce un incubo.

Al principio il ‘38 non era tanto male, tutto sembrava andare proprio come l’anno precedente, quando tutti i giorni, dopo la scuola e dopo aver  mangiato, attraversavo la strada e andavo di corsa a casa di un mio amico dove troneggiava una radio (una radio! A casa mia non c’era ancora e sarebbe stata comprata solo mesi dopo, appena in tempo perché la polizia ce la portasse via) che trasmetteva a puntate “I quattro moschettieri” di Nizza e Morbelli, una parodia che ci pareva irresistibile, e forse lo era davvero.

Per me dunque la prima metà del 1938 non mi pareva diversa dall’anno precedente, anche se un ragno malefico stava già tessendo la sua tela alle mie spalle. Andavo a scuola, ero in buoni rapporti con compagni e professori, anche se i miei amici del cuore continuavano ad essere quelli della strada, in Corso Torino a Genova, dove in fondo c’era il mare e dove, quando ero molto piccolo, mio nonno mi aveva portato tenendomi sul collo a cavalluccio, a vedere il varo di qualche nave, proprio laggiù, alla Foce (‘a fuxe, x come je francese)).

I mesi passavano pigri come sempre, e mia madre aveva già provveduto a rinnovare, come tutti gli anni, l’abbonamento di tre mesi allo stabilimento balneare “Benvenuto”, in Corso Italia. Era stato lì, ai bagni “Benvenuto”, che a quattro anni avevo imparato a nuotare perchè una mia amichetta di spiaggia, quattro anni come me, nuotava e io no. Intollerabile per un vero macho. Così un giorno ero entrato coraggiosamente in acqua, arrancando fino alla boa, nuotando come i cani: avevo visto come facevano loro.

Ora non ricordo se tutto è cominciato a giugno o  a luglio (facile andare a controllare), ma la prima sgradevole realtà della mia vita con cui mi sono dovuto confrontare – avevo undici anni, lo ripeto – era stato il Manifesto della Razza, dove un certo numero di sedicenti scienziati (e almeno uno vero) avevano messo la firma sotto un cumulo di sciocchezze infami. Sciocchezze per esempio scrivere che gli italiani sono una razza pura (e le invasioni nei secoli?), che “è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti”, che gli ebrei non sono italiani e men che meno “ariani” (nessuno sapeva chi e cosa fossero questi ariani), e fa niente che non tutti i veri italiani fossero alti, biondi, sportivi e così via.

Infamie perché quel Manifesto, il cui testo merita di essere ricordato e messo sotto gli occhi di tutti, anticipava senza tanti complimenti quei guai per gli ebrei che sarebbero seguiti poche settimane dopo.

Per esempio con l’espulsione da “tutte le scuole del Regno” dei bambini e ragazzi ebrei stranieri. Poi con l’espulsione dall’Italia di tutti gli ebrei stranieri entrati nel nostro paese dopo il 1919. Tra questi c’era mio padre. Il fatto che mio padre si fosse fatto tutti e cinque anni della prima guerra mondiale sul fronte francese, spalla a spalla con una divisione garibaldina, non era importante.

Per il primo provvedimento, quello scolastico, niente paura. Non erano passati tanti giorni che, ecco, toccava anche agli ebrei italiani, studenti e docenti, dall’asilo in su, di essere buttati tutti fuori per non contaminare la razza.

L’anno scolastico 1938/39 non era ancora incominciate. I primi provvedimenti contro gli ebrei avevano dunque avuto la delicatezza di precedere l’apertura delle scuole per evitare che agli studenti ariani fosse risparmiata la scena dell’uscita dai banchi dei loro compagni ebrei, scena che forse  avrebbe potuto traumatizzarli.

Per l’espulsione degli ebrei stranieri era stato un po’ più complicato, ma alla fine, grazie all’intervento di alcuni clienti di mio padre, fascisti ma per bene e soprattutto ricchi e quindi potenti, il decreto di espulsione fu (purtroppo) revocato.

Per me non c’è stato invece niente da fare. In un primo momento pareva che all’Istituto Nautico si potesse venire accettati, ma dopo una decina di giorni fu chiaro che si trattava di una leggenda metropolitana. Con tutte le buone maniere possibili ero stato invitato a non farmi più vedere. Finiva qui la mia carriera marinara.

Si costituirà invece una scuola ebraica, i cui locali in un primo momento erano disseminati in diversi appartamenti  abbastanza capienti da reggere il peso di una o due classi.

Dalla Marina sono dunque rientrato in terza ginnasio. Compagni e professori erano tutti ebrei.

Beh, tutte queste cose capitate in poche settimane avevano prodotto su di me tre effetti. Il primo era stato lo stordimento, la confusione. Il secondo la spiacevole constatazione che era stata compiuta una colossale, inspiegabile ingiustizia. Il terzo lo sbalordimento nel registrare l’allontanamento di molti, di quasi tutti i conoscenti “ariani”, di tutti gli ex compagni di scuola.

Totale: mi sentivo un appestato. Ma qui si apre un altro capitolo, che si potrebbe intitolare: “Lasciare o non lasciare l’Italia?”.

 Luciano Tas

taslevi@alice.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT