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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Il mio 1938 - seconda parte 26/06/2008

Il 1937 già propone agli ebrei italiani qualche ombra. Di colpo (saprò solo molti anni dopo che tutto era stato combinato per “ordini superiori” di quel “Ministero della Cultura Popolare” sprezzantemente chiamato Minculpop) i giornali incominciano a contare gli ebrei, ad osservare che sono troppo numerosi, in rapporto al loro numero, nelle Università, nelle Assicurazioni, nelle banche, nell’esercito. Tra gli ebrei, e quindi a casa mia, c’è qualche preoccupazione. D’altronde che in Germania gli ebrei siano già diventati cittadini di seconda classe, poi di nessuna classe e infine perseguitati, lo si sapeva già. Preciso: lo sapevano, perché io nel 1937 avevo dieci anni e certe raffinatezze di pensiero non potevo averle. Per me nel 1937 niente era cambiato. Nei mesi di scuola (forse ottobre) anzi, partecipavo con uno dei viaggi organizzati da quella che si chiamava ancora Opera Nazionale Balilla (ONB si leggeva sulla maglietta bianca di ginnastica), e poi sarebbe diventata GIL, Gioventù Italiana del Littorio, che suonava meno mammona e più virile, a un viaggio a Roma. Come tutti i compagni della mia scuola, ero in divisa e moschetto e guanti quasi fino al gomito (per questo eravamo balilla moschettieri, forse con vago riferimento ai Quattro Moschettieri della famosa parodia radiofonica della Perugina). E poi tutti a Piazza Venezia ad applaudire il Duce. Infine visita di Roma e di nuovo tutti in treno verso Genova. Questo è stato per me il 1937. Sì, con i miei amici di strada (il figlio del portiere del palazzo accanto al mio, il figlio del lattaio, il figlio del carbonaio, che d’estate ci portava il ghiaccio per la ghiacciaia, il figlio del calzolaio, comunisti fin d’allora padre e figlio) giocavamo, correvamo in monopattino, sulle strisce disegnate con il gesso sul controviale mandavamo i tappi di bottiglia a correre il Giro d’Italia. Insomma, facevamo quello che più o meno continuano a fare i bambini di tutto il mondo. Ero felice? Posso dire di sì, ero felice. Mio padre era un uomo molto dolce che una sera mi aveva fatto il più bel regalo della mia vita (lo confermo tuttora), portandomi il primo numero di una nuova rivista edita da Nerbini di Firenze, “L’Avventuroso”, con le storie aerospaziali (sì, le stesse che hanno condizionato von Braun, quello tedesco dei missili) di Gordon e Dale, dell’Uomo Mascherato, di Cino e Franco e la Pattuglia dell’Avorio. Un evento. A ottobre 1937 entro in seconda ginnasio. La mia carriera scolastica continua, più lentamente ma continua, tanto che avendo avuto l’anno precedente la media del 7 ho metà esenzione delle tasse scolastiche. Sono esonerato da Religione e i miei compagni m’invidiano e mi chiedono se sono nato a Gerusalemme. Ma no, spiego in genovese, sono nato qui, mia madre è nata qui, solo mio padre è nato ad Anversa, in Belgio, e i miei nonni materni a Livorno, ma cercate di perdonarli. E poi sono genoano, di quella squadra di calcio che si è chiamata “Genoa”, in inglese come ora e che dopo le “inique sanzioni” era stat ribattezzata “Genova”, come l’”Inter”, che riecheggiava una pericolosa “Internazionale” era diventata “Ambrosiana” e il”Milan” “Milano. A scuola dunque tutto bene. E siccome la scuola era una succursale locata in uno dei vicoli genovesi allora malfamati dove pullulavano i bordelli, due dei quali proprio ai fianchi del nostro ingresso, mi si aprirono finalmente gli occhi sui misteri della vita. E la campagna giornalistica? Ancora non ero arrivata alla lettura dei quotidiani, ma mio padre comprava un giornale francese, “Le Journal”, molto borghese ma prudentemente antifascista che riuscì a conquistarmi ala causa dei governativi spagnoli per motivi, come dire, dannunziani, perché fin a piccolo mi entusiasmavo di certe parole (poi, da più grande, dalla Pioggia nel Pineto). E per a guerra civile spagnola avevo sposato la parola “gouvernementaux” (credo ancora che si scriva così). Per conseguenza ero conto Franco e conto i fascisti. Vedete come sono pian piano diventato antifascista per motivi estetici? Bene, eccoci finalmente arrivati al fatidico 1938. Abbiate ancora un po’di pazienza. Ve lo racconto alla prossima.

Luciano Tas

taslevi@alice.it


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