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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Il mio 1938 - prima parte 25/06/2008

Cominciamo con l’antefatto. Sono nato nello stesso anno del più piccolo dei figli di Mussolini, Romano, che da grande sarà il padre di Alessandra.

E questa è stata la mia prima disgrazia: Una disgrazia che quindi si può a buon diritto chiamare disgrazia fascista.

Il fatto è che quando avevo cinque anni, appunto come Romano, avevo già imparato per conto mio, osservando una mia cugina più grande che faceva i compiti, a leggere e scrivere. Tanto che mio padre, forse equivocando sulla mia grandezza intellettuale, non si limitava a regalarmi libri per bambini piccoli, ma essendo lui di madrelingua francese, mi regalava i libri di Jules Verne, appunto in francese.

Arrossisco nel dirlo (e aggiungo subito che poi non ho più fatto niente di notevole nella vita), ma riuscivo a leggerli e a capirli.

Cosa c’entra tutto questo con Romano Mussolini? C’entra, c’entra. Difatti sembra che anche lui fosse una specie di piccolo genio e anche lui sapesse leggere e scrivere a cinque anni.

Che cosa succede? Succede che per lui il ministero dispone di autorizzarlo a entrare nelle scuole nel Regno non a sei anni, come tutti i comuni mortali, ma a cinque. E siccome l’Italia era una paese democratico, bongré malgré lo stesso permesso viene accordato a tutti i nati nell’anno 1927

Così lui ed io (lui naturalmente a Roma e io a Genova) entrammo trionfalmente in prima elementare. Non so cosa accadde a Romano, quanto a me, siccome la maestra vedeva che mi annoiavo a fare aste (era la maledizione di allora in prima elementare), mi scaraventò in seconda.

Si può dire che io abbia maturato un ottimo curriculum alle elementari, ma le mie batterie hanno incominciato a scaricarsi poco dopo, per esaurirsi nel giro di pochi anni e a ridurmi all’ombra della famosa caverna.

Comunque nel 1936 conseguo la licenza elementare e supero persino l’esame di ammissione ai corsi superiori (era proprio così! Tremate bambini), nei quali non si dice più “signora maestra”, ma “professore” o “professoressa” che suona meno bene, tanto che oggi tutti dicono giustamente “prof” e tanti saluti.  Ma per l’epoca era proprio un trauma.

E così eccomi nel mare grande del Sapere. Scelgo la lingua straniera: lo spagnolo. Erano molto di moda gli spagnoli nel 1936/37 (avrete presente la guerra civile, Francisco Bahamonde Franco, Guernica bombardata da aerei tedeschi, Guadalajara con la battaglia tra italiani delle Brigate Internazionali e quelli ordinati “volontari” da Mussolini. l’assedio dell’Alcazar, con l’accento sulla seconda “a” mi raccomando.

Nell’insieme me la cavavo. Meno bene era il sabato quando dovevo andare all’adunata fascista, con tanto di divisa, berretto svolazzante e giberne. Un caldo, una noia. Tutta una mattina a stare fermi e dritti in Piazza della Vittoria (della I guerra mondiale, avete ancora presente?) ad aspettare qualche federale o, dio ne scampi, lo stesso Duce.

Ebbene, devo dire che nasce allora, tra i nove e i dieci anni, il mio antifascismo. E nasce da ragioni lontanissime dalla politica.

Le ragioni erano due. La prima, come dicevo, erano la noia e, in primavera, il caldo sulla piazza assolata. Ricordo che, quando dopo quattro,  cinque ore era tutto finito, dalle giberne uscivano sbuffi di vapore.

La seconda ragione era un po’ più complessa. Ribadisco: avevo tra i nove e i dieci anni. In quegli anni, ve lo assicuro, i bambini di quell’età non erano come quelli di oggi che, o per via del cinema o della televisione, non hanno più nulla da imparare su tutte le variabili del sesso (che non sono poi infinite in verità). Noi eravamo ignari e le poche informazioni date dai compagni più grandi erano sbagliate o incomprensibili.

Questo quadro l’ho tracciato per dire che il capo-manipolo della mia ciurma, un ragazzo di una ventina d’anni e quindi per me allora già sulla china discendente della vita, aveva uno strano comportamento con i ragazzini. Io, come quasi tutti  miei colleghi, nulla sapevamo delle vicende della vita. Non avevamo ancora scoperto da dove diavolo nascevano  bambini e come diavolo si faceva a sapere di un bambino appena nato se era maschio o femmina. Io non avevo sorelle e quindi per me il mistero restava fitto, dato che cavoli e cicogne non potevano bastare a persuadermi.

Bene, però vi dico che quel capo-manipolo poco mi piaceva (di lui però ricordo perfettamente il cognome) e mi sottraevo con la massima rapidità ai suoi tentativi di farmi carezze, come invece riusciva a fare ad alcuni “camerati” balilla moschettieri.

Da qui la mia ferma decisione: non sono mai più andato alle adunate.

Può considerarsi un atto politico? Non credo.

Così come non credo che l’incidente che mi è occorso in II ginnasio (non c’erano ancora le medie), pur con i suoi connotati apparentemente politici,  sia collocabile nella casella dell’antifascismo.

Era accaduto questo. In un momento di noia durante la lezione di latino (almeno credo che fosse latino) mi aggiravo con lo sguardo per tutta la classe. Soffermandomi sulla parete in cui, ai lati del crocifisso si affacciavano i ritratti di Mussolini e del Re, durante una pausa della professoressa me ne sono uscito col dire, purtroppo ad alta voce, Cristo tra i ladroni!>.

La professoressa, dopo essere sbiancata e poi diventata paonazza, aveva cercato di dire qualcosa, ma sembrava che soffocasse, mentre i miei compagni ridacchiavano felici del fuori-programma.

Io non mi ero minimamente reso conto di quello che avevo detto, perché volevo solo fare una battuta. Del resto da sempre mi piace farne, anche se il gusto delle battute non è apprezzato da tutti e alcune volte mi ha procurato dei danni.

Ma qui, come potete immaginare e se appena avete un’idea di cos’era l’Italia sotto il fascismo, il danno poteva essere grossissimo. Fortuna volle che la professoressa, comunque la pensasse davvero, non era fanatica. Si rendeva conto che avevo solo dieci anni e riteneva (comprensibilmente) che certo io avessi raccolto le briciole di quanto si diceva a casa. Ebbene, nemmeno questo era vero, perché tutti nelle case si  guardavano bene dal fare commenti politici in presenza di bambini. Stupido o non stupido che io fossi (lo ero, lo ero), rivendico il mio copyright esclusivo.

I miei erano talmente sconvolti che non la presero nemmeno male. Cioè, si dimenticarono di sgridarmi, come avrebbero fatto per cose molto meno gravi.

Io ebbi certo una sospensione, ma la motivazione restò confusa (tipo rissa o danneggiamenti), e anche il preside non volle infierire. Chissà che cosa gli avrà raccontato la professoressa. E poi Genova non è mai stata molto fascista.

E a casa? Beh,  antifascisti lo erano davvero, ma blandamente, come quasi tutti gli italiani, e mi raccomandarono solo di non ripetere l’impresa.

Fu un’impresa antifascista? Dite voi.

 E il 1938? Ci arriverò la prossima volta. A presto, vostro
Luciano Tas
taslevi@alice.it

 P.S. Molti e molti anni dopo, tipo 65 anni, mi sono rivolto a quella stessa scuola perché avevo bisogno delle pagelle dei due anni che l’avevo frequentata. Gentilissimi e addirittura affettuosi, mi mandarono le copie  di quelle pagelle, di cui non avevo da vergognarmi. In testa era stampato “Di razza ebraica”, proprio come (tuttora) nel certificato di nascita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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