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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Due o tre cose sulla crisi afgana 21/03/2007
 Subito dopo la liberazione del giornalista di “Repubblica”, Daniele  Mastrogiacomo, per quindici giorni prigioniero dei talebani in Afghanistan, un esponente di quella sinistra conservatrice e reazionaria che milita nei “movimenti” e nelle varie sigle comuniste, dichiarava trionfante in TV: “Vedete che risultati si possono ottenere senza l’uso delle armi?”.

Una proposizione preoccupante perché quell’esponente politico non metteva nel conto dell’uso di armi la decapitazione dell’autista di Mastrogiacomo, catturato insieme a lui e assassinato davanti a lui dai suoi rapitori. La spada o l’ascia, usate come giurisprudenza, processo, sentenza ed esecuzione, non sono armi? O non lo sono perché usate contro americani e affini e quindi assolte e benedette?

Ma non sono queste dichiarazioni a costituire sorpresa e preoccupazione.

Sorpresa e preoccupazione determinate invece da altri elementi.

Il primo è la debole espressione di cordoglio e sdegno per la decapitazione dell’autista afgano. E’ arrivata a questo punto  l’indifferenza delle persone?

Si poteva pensare che dopo le molte “indifferenze” nei confronti delle tragiche dittature del XX secolo in Europa fosse seguito un risveglio delle coscienze, un  recupero di decenza.

Questa indifferenza nutre e sostiene l’assalto di chi sta vistosamente stringendo d’assedio una Europa che nella miope difesa del  suo benessere non esita ad accettare ogni cedimento, a subire quasi con gioia ogni ricatto, a spregiare come infette anche le armi che potrebbero (potranno) servirci per difendere, ad adorare il dio “Pace”, così simile al “Peace in our time” di Monaco ’38.

Un secondo elemento di preoccupazione è dato dalle dichiarazioni-capitolazioni di personaggi politici di spicco della maggioranza di governo, che le hanno palesemente rilasciate a scopo strumentale (come parte del prezzo di riscatto per il rilascio del giornalista rapito), ma che ora ribadiscono.

Davvero i D’Alema e i Fassino pensano a una tavola negoziale sull’Afghanistan con la partecipazione dei talebani? E a quando una  tavola negoziale di pace in Italia con la partecipazione di mafiosi e camorristi? Non  rappresentano forse anche loro una fetta d’Italia? Assicurandogli una rappresentanza istituzionale forse smetterebbero di delinquere.

Collegato ai fatti afgani, ed è il terzo elemento, c’è sempre il  “problema dei problemi”, quello del conflitto israelo-palestinese. Il problema che, se risolto (a qualunque prezzo per Israele), restituirebbe pace e felicità alla regione e oltre.

Sono molte le voci che “tifano” per un pronto riconoscimento del nuovo governo di coalizione palestinese e per la cessazione delle sanzioni imposte per il rifiuto di Hamas, che è maggioritario nella coalizione, di riconoscere il diritto all’esistenza d’Israele, di cessare i lanci di missili Kassam contro il territorio israeliano. di rispettare i precedenti accordi presi dall’Autorità palestinese con Israele.

Questi tre “no” nessuno del nuovo governo li ha rinnegati e Hamas ha chiesto per buona misura anche il ritorno entro i confini israeliani pre-1967 di tutti i cinque o seicentomila palestinesi fuggiti o espulsi da Israele nel ’49 e nel ’67, (proprio quanti erano gli ebrei espulsi negli stessi anni dai paesi arabi), e sono diventati ora quattro milioni, quattro milioni e mezzo. Infine si esige che sia Gerusalemme la capitale del costituendo Stato palestinese.

 Ma non è solo dai “movimenti” che si plaude al governo di coalizione palestinese e si incitano i terroristi di Hamas a partecipare all’imminente festino insieme ai gentiluomini di Al Qaeda ed ai decapitatori talebani.

Non sono solo loro. Anzi.

Una festa. Proprio una bella festa.


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