Doccia fredda di Putin su Trump Commento di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 19 marzo 2025 Pagina: 17 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Doccia fredda sulla Casa Bianca»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/03/2025, a pag. 17, con il titolo "Doccia fredda sulla Casa Bianca", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
La telefonata fra Trump e Putin viene celebrata dal presidente americano come un grande primo passo verso la pace. In realtà la guerra continua e Putin ottiene solo qualche concessione a suo favore, come lo stop ai raid ucraini sulle sue raffinerie. Chiunque dovrebbe vedere che questo primo negoziato è stato solo una doccia fredda sulle intenzioni di Trump.
Trump non riesce a ottenere da Putin la tregua in Ucraina e deve accontentarsi solo di un primo passo avanti con il cessate il fuoco sulle infrastrutture energetiche.
Mettendo in evidenza come il vero ostacolo alla fine della guerra siano le condizioni del Cremlino.
Il presidente Usa, nelle vesti di mediatore e forte dell’accordo strappato al leader ucraino Volodymyr Zelensky, ha proposto al leader russo di sottoscrivere da subito una “tregua totale di trenta giorni”. Ma le ricostruzioni di Casa Bianca e Cremlino sono univoche nel descrivere quale è stata la gelida reazione di Putin: non può esservi una completa cessazione del fuoco senza la fine “totale” delle forniture occidentali di armi a Kiev. Il linguaggio dei portavoce del Cremlino su questo punto lascia poco all’immaginazione: “Bisogna porre fine al riarmo delle forze ucraine” grazie alla “completa cessazione dell’aiuto militare e della cooperazione di intelligence” da parte dei Paesi occidentali.
È stato questo niet di Putin a obbligare Trump a ripiegare su una tregua limitata agli attacchi reciproci contro le infrastrutture energetiche con l’aggiunta di un imminente “negoziato in Medio Oriente” per arrivare a estenderla anche alle acque del Mar Nero puntando a raggiungere “un pieno cessate il fuoco e una pace permanente”. La maratona telefonica di due ore e mezza fra i due leader è così riuscita solo a rompere il ghiaccio sul conflitto, introducendo per la prima volta dopo oltre tre anni un accordo su una riduzione dell’intensità della guerra. Si tratta, certo, di un passo avanti e di una concessione di Mosca. Ma quello che inizia assomiglia ad un processo di “de-escalation”, che resta in bilico.
Per il semplice motivo che la “condizione” posta dal Cremlino punta a far venir meno all’Ucraina le armi per resistere all’aggressione e dunque non può essere accettabile né da parte di Zelensky né degli alleati europei, determinati a garantire indipendenza e sovranità di Kiev.
Senza contare che il cessate il fuoco parziale concordato al telefono giova non solo all’Ucraina — in difficoltà sull’energia — ma anche a Mosca che ha visto le proprie infrastrutture in Russia più volte bersagliate con temibile efficacia dagli attacchi dei droni avversari.
Le prime reazioni giunte da Londra e Bruxelles sono eloquenti: l’Europa non può accettare di lasciare l’Ucraina senza armi perché consentirebbe a Mosca, terminato il cessate il fuoco, di riprendere la guerra in situazione di evidente vantaggio per ottenere quella “completa de-nazificazione dell’Ucraina” che è stata il motivo dell’attacco del 24 febbraio 2022 e di cui ancora oggi parla il ministro degli Esteri Sergej Lavrov come un obiettivo irrinunciabile. E a ben vedere questa rigidità di Putin sta creando anche un problema politico interno a Trump perché, per la prima volta dall’agosto 2022, Gallup indica un aumento — fino al 46 per cento — degli americani che lamentano di “fare troppo poco per l’Ucraina” mentre chi sostiene che “si fa troppo” scende del 7 per cento rispetto a dicembre, toccando il 30 per cento.
A meno di 60 giorni dall’insediamento a Washington Trump si trova così a dover constatare che è Putin il suo ostacolo più difficile. Nel tentativo di tenere comunque in piedi la difficile tela negoziale, la Casa Bianca fa sapere di essere ottimista sulla possibilità di “raggiungere la pace” e di aver discusso con Mosca “importanti accordi economici” su scala globale così come di aver concordato un approccio all’Iran “per rendergli impossibile distruggere Israele” ovvero per neutralizzare il suo programma nucleare. E il Cremlino assicura che “sotto la guida di Trump e Putin il mondo è più sicuro”, facendo trapelare di aver discusso l’ipotesi di una partita di hockey Usa-Russia per tentare di favorire un nuovo clima di distensione.
Ma è indubbio che il mancato accordo sul completo cessate il fuoco è una doccia fredda per Trump e rafforza la posizione di Zelensky sul fatto che “sono le condizioni di Putin il vero ostacolo alla fine della guerra”. Tanto più che il disaccordo sulle forniture di armi all’Ucraina è solo l’antipasto di un negoziato che avrà la sua parte più delicata sulla definizione dei confini per il semplice motivo che Mosca vuole conservare ciò che Kiev non può accettare: l’occupazione dei territori ucraini conquistati dal 2022. È questa cornice che spiega perché l’Europa rilancia la richiesta più strategica: “Al tavolo del negoziato deve esserci anche l’Ucraina” osserva il presidente francese Emmanuel Macron, con l’avallo di Londra.
Mentre a Berlino si modifica la Costituzione per togliere il freno al debito e consentire alla Germania di aiutare l’Europa ad accelerare sul piano per la difesa comune.
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