Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "No alla Pasqua, sì al Ramadan. Ciao ciao, Europa".

Giulio Meotti

“Per loro l’essenziale è la demografia, e l’istruzione; il sottogruppo demografico che dispone del miglior tasso riproduttivo, e che riesce a trasmettere i propri valori, trionfa; per loro è tutto qua, l’economia e la stessa geopolitica non sono che fumo negli occhi: chi controlla i bambini controlla il futuro, stop”.
“E in pratica cosa vogliono?”.
“Secondo la Fratellanza Musulmana, ogni bambino francese deve avere la possibilità di beneficiare, dall’inizio alla fine dell’età scolare, di un insegnamento islamico. E l’insegnamento islamico è, da tutti i punti di vista, molto diverso dall’insegnamento laico. Per prima cosa, non può assolutamente essere misto; e solo alcuni indirizzi saranno aperti alle donne. Le regole riguardanti il regime alimentare delle mense e il tempo dedicato alle cinque preghiere quotidiane dovranno essere rispettate; ma, soprattutto, il programma scolastico in sé dovrà essere adattato agli insegnamenti del Corano”.
Così Michel Houellebecq in Sottomissione immaginava una dolce conquista islamica dell’Europa.
Ora il romanzo di Houellebecq è cronaca reale nelle nostre scuole. E chissà se anche questa è “l’Europa” celebrata nella piazza di Michele Serra.
In una scuola di Berlino, la sottomissione all’Islam da parte dello Stato ha raggiunto nuovi minimi.
Alla scuola Carl Zuckmayer, tutti gli studenti sono costretti a rompere il digiuno del Ramadan il 28 marzo. I bambini e i genitori sono convocati. “Questo incontro è obbligatorio perché le altre lezioni sono annullate”, ha scritto la scuola.

Il padre di uno studente ha reso pubblico sulla Bild quanto succede. “A scuola non si festeggia né il Natale, né la Pasqua: in Germania non ci sono eventi obbligatori per nessuna delle feste cristiane. Ma i nostri figli devono andare al Ramadan, dove viviamo?”.
Poco prima delle elezioni federali, la politica della SPD di Berlino Sawsan Chebli, ex Segretario di Stato di Berlino, 46 anni e che ha radici palestinesi, aveva scritto: “La demografia creerà fatti”.
Eccoli, i “fatti”.
E sono spaventosi. Natale, San Martino, Pasqua: nessuna di queste feste viene celebrata e si invoca la “neutralità della scuola”, invece si ordina agli studenti non musulmani di partecipare al Ramadan.
“Vogliamo la sharia nelle scuole: ragazze velate, segregazione sessuale e preghiera di venerdì”. Così un anno fa raccontavo quello che avviene nelle scuole tedesche. Peggio che in Sottomissione.
“Berlino come Houellebecq”, sintetizza il corrispondente del Wall Street Journal Bojan Pancevski sulla scuola di Berlino.
Il drammaturgo tedesco Carl Zuckmayer, che dovette fuggire dalla Germania nazista, scrisse un libretto intitolato Natale a Berlino.
Oggi sarebbe Ramadan a Berlino.
Il grande e compianto storico Walter Laqueur nel suo magnifico Gli ultimi giorni dell’Europa scrive: “Si dovrebbe discutere quali tradizioni e valori europei si possono ancora salvare, non parlare dell'Europa come esempio fulgente per tutta l'umanità, la superpotenza morale del XXI secolo. L'epoca delle illusioni è finita. Chiunque abbia ancora dei dubbi dovrebbe fare un giro a Neukölln, indice plausibile del futuro”.
La scuola Zuckmayer che impone il Ramadan a tutti sorge a Neukölln, quartiere di Berlino ad alta concentrazione multiculturale dove si trova la scuola visitata nel 2015 da Angela Merkel mentre apriva le frontiere al milione di siriani. Il quotidiano Bild ha tentato un esperimento: quanto tempo “resiste” una bandiera israeliana esposta a Neukölln? 42 minuti. I cronisti del primo quotidiano tedesco hanno appeso la bandiera all'ingresso della metropolitana a Hermannplatz. Chi la strappa, chi la calpesta, chi le dà fuoco.
A Neukölln, i manifestanti hanno distribuito i dolci ai passanti per festeggiare i massacri di Hamas del 7 ottobre.
A Neukölln, una squadra di calcio ebraica è stata messa sotto protezione della polizia dopo che un gruppo armato di bastoni e coltelli ha inseguito i membri della squadra gridando “Palestina libera” e“fottuti ebrei”.
A Neukölln un arabo ha aggredito due persone che parlavano ebraico con una bottiglia di birra e una sedia.
A Neukölln hanno ospitato gli atleti del Maccabi all'Estrel, l'hotel più grande della Germania, ma prima della gara gli organizzatori li hanno avvertiti di non indossare kippah o stelle di David vicino all'hotel: “Non sarebbe particolarmente intelligente!".
Niente Natale, Pasqua, kippah o parlare ebraico, ma sì al Ramadan obbligatorio nelle scuole e perché no, anche convertire le chiese in moschee. Questo sì che è particolarmente intelligente!
A Neukölln, le prime chiese sono state vendute ai musulmani per farne moschee. “In Neuköllner Flughafenstrasse 43, solo le canne d'organo ricordano che qui si tenevano le funzioni cristiane” racconta il Tagesspiegel. “La navata è vuota, dove c'erano i banchi c'è un tappeto rosso-marrone. Al posto dell'altare c'è una scala per l'imam. All'esterno, i segnali indicano che donne e uomini dovrebbero utilizzare ingressi separati. Due settimane fa l'edificio è stato venduto all'Associazione musulmana dei centri interculturali per 550.000 euro”.
Ma come dice il sindaco di Amburgo, “Der Ramadan ist an Schulen auch eine Chance”. Il Ramadan è un’opportunità anche per le scuole. E per i campi da calcio?
Dopo otto minuti dall'inizio della partita di Champions League tra Lille e Borussia Dortmund l'arbitro ha interrotto il gioco. Il motivo è il Ramadan che i giocatori di fede musulmana praticano nel mese di marzo. Poco dopo il fischio d'inizio, il direttore di gara, Sandro Scharer, ha permesso agli atleti interessati di ristorarsi approfittando di una pausa di un minuto.
Non solo i politici si stanno sempre più superando a vicenda – preferibilmente in arabo e turco – con i saluti del Ramadan, mentre non esce una parola dalle loro labbra sulle festività cristiane. Così accade per ogni cosa: ciò che all'inizio era un'eccezione, a poco a poco diventa la regola, come i richiami del muezzin e le preghiere pubbliche di massa.

A ciò si aggiunge la punizione inflitta ai tedeschi che rispettano le usanze e le tradizioni locali: ad Amburgo, un giardiniere è attualmente accusato di violazione di proprietà privata presso il tribunale regionale perché ha osato allestire un albero di Natale davanti a un asilo nido per far piacere ai bambini. In cambio, la direzione dell'asilo lo ha portato in tribunale.
Nel frattempo, gli assembramenti di massa dei musulmani sono ormai gli unici raduni pubblici che non richiedono la protezione della polizia, mentre tutte le altre forme di eventi pubblici, dalle feste popolari ai mercatini di Natale, devono temere attacchi islamisti.
Il 3 marzo avevo raccontato come in Germania il Carnevale fosse stato cancellato per le strade addobbate a festa per il Ramadan.
Ubriachi di tolleranza e dopo questa indigestione di relativismo, barcolliamo verso la nostra rovina, in questo strano ultimo atto del multiculturalismo.
Un tempo Monfalcone era nota per i suoi cantieri navali, orgoglio dell'industria italiana. Oggi è al centro dell'attenzione per qualcosa di completamente diverso: la creazione della prima lista politica tutta islamica d'Italia. Questa piccola città del Friuli Venezia Giulia, con una popolazione di 30.000 abitanti, è ora un banco di prova per quella che molti temono sia la strisciante islamizzazione dell'Italia. Ciò che sta accadendo a Monfalcone non è un evento isolato, è un avvertimento.
La trasformazione di Monfalcone è stata drammatica. Negli ultimi due decenni, un massiccio afflusso di immigrati, in particolare dal Bangladesh, ha alterato la composizione demografica della città. Quasi il 30 per cento dei residenti di Monfalcone è nato all'estero e tra loro predominano i musulmani, principalmente bengalesi. Le scuole raccontano una storia ancora più cruda: gli studenti non italiani rappresentano il 65 per cento del totale e il 75 per cento delle ragazze in alcuni istituti indossa il niqab. Questo non è multiculturalismo; è sostituzione.
Per comprenderne il significato, bisogna comprendere il concetto islamico di Hijra. Storicamente, si riferisce alla migrazione di Maometto dalla Mecca a Medina, un momento cruciale nella storia islamica in cui un gruppo minoritario in cerca di rifugio alla fine ottenne il predominio. Nell'Islam politico moderno, Hijra è stata reinterpretata come una migrazione strategica: i musulmani si spostano in terre non musulmane non solo per assimilarsi, ma per espandere la loro influenza religiosa e politica. Monfalcone è ora al crocevia di questa dinamica storica. L'ex sindaco Anna Maria Cisint, ora europarlamentare per la Lega, sostiene che Monfalcone è un banco di prova per ciò che accadrà altrove in Italia se non si interviene.
Se non vuoi toccare il fondo, smetti di scavare.
La soluzione è chiara: fermare l’immigrazione dai paesi che non condividono i valori occidentali. E soprattutto, svegliarsi alla realtà che l'islamizzazione non avviene da un giorno all'altro, ma è un processo lento e, oltre una certa soglia, tanto più assurdo quanto inesorabile.
La geografia - e la sua cintura islamica che si estende da Algeri a Islamabad - delinea la forza di una demografia che potrebbe traboccare fino a noi.

Qualche sera fa, in un teatro di Berlino, alcuni scrittori tedeschi, tra cui il Premio Nobel Herta Müller, si sono ritrovati per esprimere solidarietà a Boualem Sansal, un uomo la cui presa in ostaggio è la metafora futura del nostro destino se non avremo più la forza di essere ciò che siamo e che ho definito “lo scrittore che sta morendo in galera per aver difeso anche la nostra libertà”.
E proprio Sansal ci ha avvertito come andranno le cose: “L’Islam è come l'umidità in una casa. Inizialmente la minaccia è invisibile, penetra nei muri che, a poco a poco, si sgretolano. Quando te ne rendi conto è troppo tardi”.
La newsletter di Giulio Meotti è uno spazio vivo curato ogni giorno da un giornalista che, in solitaria, prova a raccontarci cosa sia diventato e dove stia andando il nostro Occidente. Uno spazio unico dove tenere in allenamento lo spirito critico e garantire diritto di cittadinanza a informazioni “vietate” ai lettori italiani (per codardia e paura editoriale).
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