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israele.net Rassegna Stampa
15.03.2025 Chiamare il male con il suo nome
Analisi di Mijal Bitton

Testata: israele.net
Data: 15 marzo 2025
Pagina: 1
Autore: Mijal Bitton
Titolo: «Amalek e la necessità di chiamare il male col suo nome»

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Mijal Bitton tradotta da Times of Israel dal titolo "Amalek e la necessità di chiamare il male col suo nome".

Mijal Bitton
Gli ebrei in Occidente devono capire, anzi ricordare, che esiste anche una forma di odio irriducibile che non ammette dialogo né compromessi. In tutto il mondo ci sono manifestazioni pro-Palestina in cui si inneggia al 7 ottobre; quel tipo di persone non ha alcuna intenzione di vedere la pace e fa il tifo perché Israele scompaia dalle mappe. Se ne facciano una ragione, Israele non scomparirà dalle carte geografiche

Il peggior errore commesso da Israele prima del 7 ottobre non è stata una mancanza dell’intelligence: è stata una mancanza di immaginazione.

Questa è stata una delle più dolorose cose che si sono capite quando, la scorsa settimana, sono stati resi pubblici al pubblico israeliano i primi risultati delle indagini sull’attacco.

Le Forze di Difesa israeliane avevano ricevuto avvertimenti. Ai vertici politici era stato detto che un attacco era imminente. Operativi di Hamas si muovevano in modo sospetto. Ma troppi leader israeliani erano intrappolati nei loro postulati, convinti che Hamas fosse troppo a suo agio col suo dominio su Gaza o troppo intimorita da Israele per rischiare una guerra totale.

Credevano che Hamas non avrebbe agito in modo irrazionale, che non sarebbe giunta al punto di sacrificare se stessa al solo scopo di massacrare ebrei.

Questo presupposto, l’incapacità di prendere in parola Hamas, era catastroficamente sbagliato.

Troppi in Occidente sono ancora intrappolati in questa stessa carenza di immaginazione, convinti che tutti i conflitti possano essere risolti attraverso il dialogo e incapaci di comprendere che esistono scontri che non ammettono compromessi.

Questa settimana, oltre alla Parashat Tetzaveh, leggiamo anche un brano del Deuteronomio. Inizia con una sola parola: zakhor – ricorda.

È un comandamento di Mosè agli Israeliti: ricorda cosa ti ha fatto Amalek quando uscivi dall’Egitto. Un comando paradossale: ricordare e, allo stesso tempo, cancellare il nome di Amalek dall’esistenza.

La Torah ci dice che Amalek attaccò Israele proprio mentre stava lasciando l’Egitto. Amalek si accanì sui più deboli: gli anziani, i bambini, coloro che si trovavano nelle retrovie dell’accampamento.

Perfino gli egizi, che hanno tenuto in schiavitù gli israeliti per secoli, non hanno lo stesso peso simbolico di Amalek. Il loro odio era dettato dalla convenienza: volevano manodopera e ricchezza.

Amalek, al contrario, rappresenta il tipo di odio per gli ebrei che non può essere spiegato. Zakhor ci ordina di ricordare che vi saranno sempre dei nemici con cui non si può ragionare. Nemici disposti a ridurre se stessi in cenere pur di trascinare con sé gli ebrei.

Amalek riemerge nel corso di tutta la storia ebraica. Il più famoso è il racconto di Purim in cui Haman, descritto come un agaghita, un discendente di Agag, re degli Amaleciti, cerca di annientare gli ebrei. Ecco perché leggiamo Zakhor, su Amalek, nello shabbat prima di Purim.

Il comandamento biblico riguardante Amalek è severo. Saremmo destinati a cancellare Amalek e uccidere la sua gente in quanto irrimediabilmente malvagia.

Questo comandamento si è evoluto. Già in epoca talmudica i saggi stabilirono che, siccome il re assiro Sennacherib ha rimescolato le nazioni, Amalek non può più essere identificato come stirpe. Questo significa un profondo cambiamento: Amalek non riguarda l’ascendenza genealogica, Amalek è una furia ideologica che ricorre nel corso della storia.

E così, mentre il comando della Torah di distruggere Amalek non si applica più a una nazione, l’ingiunzione di zakhor – ricordare – rimane pressante: ogni generazione conoscerà dei discepoli di Amalek. Costoro non cercano compromessi e non possono essere in alcun modo placati. Devono essere combattuti e sconfitti.

Combattere Amalek non ha a che fare con  la vendetta, ha a che fare con la sopravvivenza.

Gli israeliani, nel complesso, hanno ormai capito questa realtà. 

Lo scorso shabbat ho partecipato a un incontro settimanale a Gerusalemme a sostegno degli ostaggi. Dopo canti e preghiere, uno degli organizzatori ha sottolineato l’assoluta necessità di riportarli a casa anche a prezzo di un accordo politico molto costoso. Ma poi ha aggiunto (sintetizzo): questo impegno non può essere realizzato a costo di consentire ad Amalek, la roccaforte di Hamas a Gaza, di rimanere una minaccia.

Mi ha colpito la naturalezza con cui la folla, fra cui molti laici e di sinistra, ha annuito.

Ma in Occidente? Qui mi turba qualcos’altro. Non intendo dire che gli ebrei americani e occidentali devono riconoscere che Hamas è ideologicamente Amalek: penso che la maggior parte già lo faccia.

Intendo qualcosa di più profondo: qualcosa che ha a che fare con il modo in cui reagiamo all’antisemitismo in America e in Occidente.

Sono rimasta turbata da una certa indignazione che ho visto ultimamente sui social: non perché l’indignazione non sia giustificata, ma perché rivela un senso di attonita sorpresa. Come se fossimo ancora convinti che, se solo spiegassimo abbastanza bene la nostra causa, coloro che davvero ci odiano la smetterebbero.

Non voglio dire che la lotta all’antisemitismo sia inutile o che dovremmo smettere di cercare ampie alleanze o che tutti coloro che contestiamo sui social sono Amalek (ci mancherebbe!). C’è molto che possiamo fare, molti alleati da mobilitare e molte persone nel mezzo che possono essere coinvolte come partner nel combattere l’odio.

Ma dobbiamo smettere di sorprenderci: esistono persone che odiano gli ebrei per ragioni che non sono razionali, e non si lasceranno mai influenzare da argomentazioni morali né da informazioni storiche.

Non è una novità. È sempre stato così.

Quindi, se da un lato dobbiamo continuare a combattere l’antisemitismo, dall’altro dobbiamo smettere di esserne sorpresi.

Zakhor. Ricorda.

(Da: Times of Israel, 6.3.25)

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