Riprendiamo da BET Magazine di marzo 2025, l'analisi di Ugo Volli intitolata "La tradizione ermeneutica ebraica e la sua ricchezza: un dialogo (a distanza) tra Erri De Luca e Marc-Alain Ouaknin".

Ugo Volli

Al centro della vita e dell’identità ebraica c’è la Torà, il libro che da millenni leggiamo e commentiamo instancabilmente, traendone lezioni per la nostra esistenza e pensieri che ci definiscono. Ma questo rapporto è stato sempre oggetto di polemica da parte di altre culture che pure si ispiravano allo stesso testo.
Per i musulmani, la nostra Torà è semplicemente “falsificata”, perché il Corano la riecheggia ma con notevoli differenze; per i cristiani, gli ebrei danno delle loro Scritture una lettura “letterale” o solo “materiale”, senza comprenderle davvero, perché in questo caso dovrebbero vedervi l’anticipazione del Vangelo; per la cultura storicistica moderna, la fede ebraica nella verità della Torà occulterebbe le ragioni molto politiche ed economiche della formulazione dei differenti strati che la comporrebbero.
Queste polemiche hanno reso impossibile per millenni la comprensione della ricchezza e della profondità dell’ermeneutica ebraica. Per opera di numerosi traduttori, interpreti, commentatori e filosofi questa sordità si è invertita nel Novecento e ormai nella cultura occidentale c’è moltissima attenzione e addirittura fascino per il modo in cui la tradizione ebraica ha imparato a leggere i suoi testi, lavorando non solo sul significato letterale, ma anche sullo spessore espressivo della lingua com’è determinato da omofonie e “valori numerici” delle lettere, sugli echi che parole portano per il loro uso in tutto il testo biblico, sui significati mistici e morali nascosti nelle storie.
A chi volesse assaporare questi percorsi interpretativi, cogliendone la sorpresa e la pregnanza, mi sento di consigliare un piccolo volume pubblicato un paio di mesi fa da Giuntina. Si intitola Cucire un’amicizia ed è in sostanza un dibattito in forma di doppia intervista condotta dal giornalista Ruben Honigmann con Erri De Luca e Marc-Alain Ouaknin.
De Luca è un narratore napoletano molto noto che, senza essere ebreo, si è innamorato della lingua e della tradizione ebraica, studiandola al punto da pubblicare delle traduzioni di diversi libri biblici, molto originali per letteralità e consapevolezza linguistica. Ouaknin è rabbino, professore all’Università Bar Ilan, autore di libri molto fortunati sul Talmud e l’ebraismo.
In questo piccolo volume essi dialogano intorno all’episodio della Torre di Babele, al brano dell’Esodo in cui si racconta della manna e a un capitolo del Qohelet. Emergono alcuni nodi interpretativi, come quelli che riguardano i nomi della lingua (ripresi poi in un’appendice di Ouaknin sulla traduzione), della manna e di Abele, della fratellanza e del pane. Si tratta ovviamente solo di accenni rapidi, che si mescolano alla dimensione dell’esperienza personale (per esempio anche dell’alpinismo che è una passione di De Luca). Ma essi sono sufficienti per far capire al lettore che la tradizione ermeneutica ebraica è tutto il contrario della sua pretesa staticità letterale e anzi consente di ritrovare a ogni livello del testo significati generali e regole di vita. Il problema semmai è quello di disciplinare questa creatività linguistica, di non lasciarla degenerare in un flusso verbale in cui ogni cosa si potrebbe dire e dunque nulla avrebbe più senso. Ma per queste riflessioni in un opuscolo come questo non c’è davvero spazio.
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