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Bet Magazine Rassegna Stampa
11.03.2025 Tutta la commedia (e la tragedia) umana alla corte di Rabbi Pinkos
Recensione di Fiona Diwan

Testata: Bet Magazine
Data: 11 marzo 2025
Pagina: 22
Autore: Fiona Diwan
Titolo: «Tutta la commedia (e la tragedia) umana alla corte di Rabbi Pinkos»

Riprendiamo da BET Magazine di marzo 2025, a pagina 22, la recensione della direttrice Fiona Diwan dal titolo: "Tutta la commedia (e la tragedia) umana alla corte di Rabbi Pinkos"

Vita e sogni, poesia e regole: l'etica della riconoscenza nel Talmud |  Kolòt-Voci
Fiona Diwan

C’è il racconto dei due innamorati che, pur amandosi, rompono il fidanzamento solo a causa della gretta spilorceria del padre di lei. C’è un raffinato e ricco bibliofilo che non smette di mettere mano al proprio testamento solo per divertirsi all’idea di programmare ogni minimo dettaglio del proprio funerale. C’è il tormento di una giovane timorata e devota che, sedotta da un polacco, partorisce in gran segreto un bimbo che poi è costretta ad abbandonare. O ancora, c’è il mistero di due oche a cui è stato tirato il collo e che tuttavia, come possedute da un demone, continuano a starnazzare anche post mortem. E che dire dell’inspiegabile ostinazione di quell’anziana che per pura voluttà sacrificale verso il vecchio marito decide di divorziare da lui, pur amandolo con tutta se stessa, per consentirgli di sposare una donna più giovane? O ancora, la vicenda di quel devoto chassid che, contravvenendo alle regole ebraiche, decide di dormire accanto al cadavere della moglie appena defunta?

La porta si apre… ed è un intero universo ashkenazita quello che irrompe, con il suo tumulto vitale, nella stanza in penombra del Bet Din di casa Singer, un mondo che si arrabatta, litiga, piange e trema, entrando e uscendo dalla corte rabbinica di rabbi Pinkos Menachem e sotto gli occhi stupefatti di Itchele, il piccolo Isaac che assiste al vortice di passioni umane che si agita in quella stanza. E che, una volta diventato grande, trascriverà in una travolgente serie di racconti . “Questo libro racconta la storia di una famiglia e di un tribunale rabbinico così vicine tra loro che era difficile dire dove finisse l’una e dove cominciasse l’altra. La corte rabbinica, il cosiddetto Bet Din…, era una specie di connubio tra tribunale, sinagoga, casa di studio e, se volete, lettino dello psicanalista dove le persone con l’animo turbato potevano andare a sfogarsi”, scrive Isaac Bashevis Singer nella nota che precede questi celeberrimi racconti.

I misteri della Torà che sono tutt’uno con i misteri del mondo, le nuvole, il luccichio delle stelle, il biancore della luna che rifulge nella luce della candela dell’Havdalà, gli angeli che cullano segrete nostalgie, i desideri umani che scivolano in speranzosa attesa nella nuova settimana che inizia dopo lo Shabbat… È un pianeta a sé quello che ruota in questa corte chassidica di Varsavia, quella del padre di Isaac Bashevis.

Sono trascorsi 55 anni dall’ultima traduzione in italiano dei meravigliosi racconti di Alla corte di mio padreoggi racchiusi in questa nuova traduzione di Silvia Pareschi per Adelphi, voluta da Elisabetta Zevi, curatrice delle opere di I. B. Singer. Era davvero tempo di riproporre questo testo fondativo della produzione narrativa di Singer, tardivo gioiello della letteratura yiddish pubblicato in prima edizione inglese nel 1956. Ripercorrere questi racconti oggi resta ancora un’esperienza unica, malgrado le frequenti riletture avvenute nei decenni. La freschezza e la forza di questi testi resta oggi immutata, “è il magma incandescente di ricordi e nostalgie quello che lo possiede” e che Bashevis riversa “in una miriade di caratteri, maschili e femminili, nella continua rivisitazione di una realtà per sempre perduta…”, scriveva in esergo la studiosa Antonia Arslan in Eros e sopravvivenza in I. B. Singer (Guerini e Associati), a proposito del mondo dell’infanzia polacca di Bashevis, dallo shtetl di Bilgoraj ai vicoli brulicanti di vita del ghetto varsovita. Del resto, “soltanto i sognatori che sognano a occhi aperti evocano le ombre del passato e intrecciano con i fili mai dipanati nuove trame”, ripeteva lo stesso Bashevis.

È interessante notare come “secondo Isaac B. Singer, il senso dell’ebraismo poteva essere racchiuso nella parola isolamento: se gli ebrei non erano rinchiusi nei ghetti, se ne creavano uno di loro volontà… Il ghetto fisico lasciava posto a un ghetto interiore e, trasferendosi in letteratura, a un ghetto letterario, ghetto poetico evocato attraverso la distanza…”, ha sottolineato lo studioso di letteratura ebraica Luca De Angelis ne Il sentimento del ghetto (Marietti).

Inanellando questa collana di racconti sorprendenti, Singer torna a colmare quella sete di ascoltare storie che è propria di ogni essere umano. Con “una prosa che non ha un filo di grasso”, come diceva il critico letterario Jean D’Ormesson, con storie e “finali simili a trasfusioni”, come sottolineava Henry Miller, lo ritroviamo oggi con la sua via Krochmalna 10, quella leggendaria “miniera d’oro della mia immaginazione”, il pozzo inesauribile dentro cui Singer attingeva le vicende di un universo precipitato oltre l’orizzonte della memoria. Riuscendo a resuscitare quella balzachiana commedia umana che ancora oggi ci sa far ridere e commuovere. Perché a leggere Singer ci si ritrova “bulimici” senza volerlo.

 

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