Trump punta su Bin Salman Cronaca di Mirko Molteni
Testata: Libero Data: 11 marzo 2025 Pagina: 7 Autore: Mirko Molteni Titolo: «Trump punta su Bin Salman per stabilizzare il Medio Oriente»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/03/2025, a pag. 7 con il titolo "Trump punta su Bin Salman per stabilizzare il Medio Oriente" la cronaca di Mirko Molteni.
Mirko Molteni
Mohammed bin Salman torna al centro della scena, ospitando i negoziati sull'Ucraina. Sarà lui, per scelta americana, anche il principale attore del processo di stabilizzazione nel Medio Oriente, anche perché ha tutto l'interesse di combattere contro l'Iran, la maggior minaccia per l'Arabia Saudita oltre che per Israele.
La possibilità espressa dal presidente americano Donald Trump che i colloqui col collega russo Vladimir Putin possano tenersi in Arabia Saudita ha riportato al centro della scena un attore spesso dimenticato, ma cruciale negli equilibri mondiali. Riad vanta un rapporto privilegiato con Washington, in parte ostacolato sotto l’amministrazione democratica di Joe Biden a causa delle critiche per la gestione dei diritti umani nel regno custode dei luoghi sacri dell’Islam, la Mecca e Medina.
Col pragmatismo di Trump alla Casa Bianca, le relazioni sono tornate ai massimi livelli, come quando il presidente americano nel 2017, al suo primo mandato, fece visita al re Salman esibendosi con i dignitari di corte nella danza “ardah”. Al tempo stesso, i sauditi hanno buoni rapporti con Mosca, condividendone interessi petroliferi. Da novembre 2024 l’Arabia Saudita è diventata il maggior importatore di petrolio russo, raffinato e destinato al consumo interno mentre i sauditi preferiscono destinare alle esportazioni il proprio greggio.
DAL DESERTO AL MONDO
L’Arabia Saudita fin dal 5 febbraio s'era detta contraria al piano Trump d'evacuazione della popolazione palestinese dalla Striscia di Gaza, rammentando che «non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele senza arrivare a uno Stato palestinese». Lo stesso giorno il presidente USA ha auspicato di poter «visitare presto Gaza e l’Arabia Saudita».
Per ora la delegazione atterrata a Riad è formata dal segretario di Stato americano Marco Rubio, dal consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e dall’inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff.
Trump punta sul rapporto col vero padrone dell’Arabia, il giovane principe Mohammed Bin Salman, 39 anni, figlio dell’anziano re, 89 anni. Come primo ministro lavora al piano di modernizzazione “Vision 2030” con cui diversificare l’economia nazionale. Esalta il progetto della mega città-palazzo Neom, pensata per 9 milioni di abitanti all’insegna di energie rinnovabili e intelligenza artificiale. Ma Bin Salman ha bisogno degli Stati Uniti come sbocco degli immensi capitali sauditi, tanto che il 23 gennaio 2025 è stato annunciato un piano quadriennale per investire in America 600 miliardi di dollari, in settori ancora non dichiarati. Il principe di Riad se la intende con Trump anche nel contrasto ai clandestini. A fine gennaio il ministero dell’Interno ha arrestato 21.000 immigrati stranieri per irregolarità, rimandandone altri 27.000 ai consolati dei rispettivi paesi per rimettersi in regola. Riad procede a espulsioni di etiopi e yemeniti.
Sorta grazie all’influenza britannica, a seguito del crollo dell’Impero Ottomano nel 1918, e infine unificatasi nel 1932 sotto la dinastia degli Al Saud dopo annidi lotte tribali, l’Arabia Saudita crebbe in importanza man mano che le sue riserve petrolifere entravano in circolo nell’economia mondiale. Nel dopoguerra l’influenza inglese fu superata da quella americana, stante il fatto che gli Stati Uniti si videro garantito dai sauditi il riferimento in dollari del prezzo del greggio. Così, lo status di “petroldollaro” ha permesso negli ultimi 50 annidi sostenere il valore della moneta statunitense nonostante dal 1971 non sia più convertibile in oro. Se quindi gli Usa possono stampare a volontà dollari senza che siano considerati cartaccia, lo si deve molto all’asse con l’Arabia Saudita.
La sua popolazione di 35 milioni di persone, di cui il 30% lavoratori stranieri, è concentrata in poche città.
Quasi tutto il territorio, 2 milioni di km quadrati, ovvero 7 volte l’Italia, è un desolato deserto bruciato dal sole. Ma il sottosuolo cela riserve di petrolio per 267 miliardi di barili, seconde solo ai 303 miliardi di barili del Venezuela. Come produzione, al dicembre 2024 l’Arabia era, con 10,8 milioni di barili al giorno, seconda all’America, sui 13 milioni, e appena avanti alla Russia, sui 10,7 milioni. Il rilancio degli idrocarburi promesso da Trump al grido di «drill, drill, drill», «perforare, perforare, perforare», manterrà ancora per molti anni Riad a un livello di potenza regionale.
L’influenza di Riad può essere decisiva sia nella risoluzione della guerra russo-ucraina, grazie all’amicizia con Mosca e Washington, sia nella stabilizzazione del Medio Oriente.
Con Israele l’Arabia può far leva sulla promessa di aderire agli accordi di Abramo già stipulati dallo stato ebraico con altri Paesi arabi, nel 2020-21, sotto il primo mandato di Trump. Ma può anche capitalizzare la sua posizione di potenza militare del Golfo Persico per equilibrare l’Iran, offrendo assist a Israele. Nel 2023 Riad e Teheran hanno firmato una distensione mediata dalla Cina, allentando una tensione ereditata dalla competizione per il Golfo e dalla guerra civile in Yemen. I rapporti saudito-iraniani non sono comunque tranquilli, anche se nel novembre 2024 il capo di Stato Maggiore delle forze armate saudite, generale Fayyad Al Ruwaili, ha incontrato a Teheran il parigrado iraniano Mohammad Bagheri.
ATOMICA VIRTUALE
L’Arabia spende in armi 75 miliardi di dollari l’anno, ben il 7% del Pil, superata solo da USA, Cina, Russia e India. Su tutto aleggia l’ombra dell’atomica virtuale saudita, che farebbe da contrappeso al numeroso arsenale atomico israeliano e a una futura atomica iraniana. Il 14 gennaio 2025 il ministro saudita dell’Energia, Abdulaziz Bin Salman, ha dichiarato che il paese punta a produrre e arricchire uranio, di cui ha giacimenti. Ciò presuppone la creazione di reattori nucleari di cui ancora i sauditi non dispongono. Ma è noto che Riad ha finanziato le armi nucleari del Pakistan col tacito accordo di poter ottenere testate già pronte.
Di fatto, una compartecipazione all’arsenale atomico di Islamabad conferisce ai sauditi un potere nucleare rapidamente dispiegabile in caso di crisi. Indizio importante è l’esistenza di una forza armata indipendente saudita dedicata ai missili balistici strategici, armi che trovano il loro vero significato solo se portano armi atomiche. Sono decine di missili a medio raggio Dongfeng DF-3 e DF-21 che l’Arabia Saudita ha comprato dalla Cina fra il 1988 e il 2007, con gittata fra 1.700 e 4.000 km, pronti a montare testate nucleari fornite dagli amici pachistani.
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