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Libero Rassegna Stampa
05.03.2025 Zelensky 'siamo pronti a firmare'. Vance lo invita a tornare
Cronaca di Matteo Legnani

Testata: Libero
Data: 05 marzo 2025
Pagina: 6
Autore: Matteo Legnani
Titolo: «Zelensky fa retromarcia: «Vogliamo la pace Siamo pronti a firmare»»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/03/2025, a pag. 6, con il titolo "Zelensky fa retromarcia: «Vogliamo la pace Siamo pronti a firmare»" la cronaca di Matteo Legnani.

Dopo la lite con Vance e Trump alla Casa Bianca, Zelensky accetta di firmare l'accordo (capestro) sulle risorse ucraine che vengono cedute agli Usa senza aver in cambio garanzie di sicurezza. Nel frattempo Trump aveva fermato tutti gli aiuti militari all'Ucraina, mentre Putin intensificava gli attacchi. Una bruttissima pagina per l'Occidente.

Ora, è vero che tra il dire il fare, come si dice, c’è di mezzo il mare. Ma la successione di dichiarazioni americane e ucraine tra la serata di lunedì e quella di ieri fa davvero pensare che la guerra tra Russia e Ucraina si sarebbe potuta fermare parecchio tempo fa se solo alla guida degli Stati Uniti Donald Trump fosse arrivato prima.
Andando con ordine, dopo lo scontro verbale con il leader ucraino Volodymyr Zelensky di venerdì scorso, lunedì sera il presidente americano ha rotto gli indugi annunciando uno stop (o meglio, «una pausa») degli aiuti statunitensi a Kiev.
Secondo indiscrezioni raccolte dalla Reuters, Usa e Ucraina avrebbero trovato l’accordo sui minerali che era saltato dopo il disastroso incontro nello Studio Ovale. Accordo che potrebbe essere stato già firmato e annunciato la scorsa notte da Trump durante il discorso sullo Stato dell’Unione.
Ieri, poi, il vicepresidente JD Vance ha addolcito l’amaro boccone, invitando Zelensky a «tornare al tavolo e iniziare a negoziare. Vogliamo che gli ucraini abbiano un Paese sovrano e indipendente. Pensiamo che le truppe ucraine abbiano combattuto molto coraggiosamente, ma siamo a un punto in cui né l’Europa, né gli Stati Uniti, né gli ucraini possono continuare questa guerra all'infinito», ha detto parlando coi giornalisti a Capitol Hill, prima di aggiungere e confermare che «il presidente Trump è impegnato nella direzione di un accordo sui minerali».

RIPENSAMENTO

Tempo qualche ora e, apriti cielo, da Kiev Zelensky ha dichiarato che il suo Paese è pronto a sedersi al tavolo sui negoziati per mettere la parola fine al conflitto con la Russia: «Nessuno desidera la pace più degli ucraini. La mia squadra e io siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per raggiungere una pace duratura», ha scritto su X, aggiungendo che Kiev vuole muoversi rapidamente per porre fine alla guerra (contraddicendo, così, quanto aveva detto appena 24 ore prima, e cioè che «la strada per la pace è ancora lunga»). Ha capito le conseguenze delle sue parole e ha annunciato di aver chiesto "informazioni ufficiali" sulla sospensione degli aiuti. Tra le prime misure proposte figurano il rilascio dei prigionieri, il divieto di attacchi missilistici e con droni a lungo raggio sulle infrastrutture civili e la cessazione delle ostilità in mare, a condizione che la Russia faccia altrettanto.
Zelensky ha anche ringraziato gli Stati Uniti per il sostegno militare ricevuto, ricordando il trasferimento dei missili Javelin durante la precedente presidenza Trump. «Il nostro incontro alla Casa Bianca non è andato come avrebbe dovuto. È deplorevole che sia andata in questo modo. È tempo di sistemare le cose. Vorremmo che la cooperazione e la comunicazione future fossero costruttive».
È fuor di dubbio che, tornato a casa dopo l’incoraggiante vertice di sabato con gli alleati europei che lo aveva ringalluzzito circa la possibilità di tenere ancora testa all’invasore russo, lunedì sera Zelensky si sia visto crollare il mondo addosso dopo aver sentito Trump pronunciare il fatidico stop degli aiuti americani al suo Paese. E, soprattutto, dopo aver fatto i conti su cosa e quanto gli sarebbe effettivamente venuto a mancare «con effetto immediato», secondo la formula recitata lunedì sera dal presidente americano. Quei conti li ha resi noti, ieri, il quotidiano britannico Times, che ha anche fatto luce su come funzioni il meccanismo degli aiuti americani all’Ucraina utilizzato dall’ex presidente Biden e stoppato lunedì da Trump.

TUTTI GLI AIUTI

Gli Stati Uniti forniscono assistenza militare attraverso l’autorità di smobilizzo presidenziale (PDA), un meccanismo che consente al presidentedi trasferire armi e attrezzature all’Ucraina dalle riserve per la difesa degli Stati Uniti. Quando Trump è tornato in carica a gennaio, c’erano ancora 3,85 miliardi di dollari di fondi disponibili per il PDA dalla precedente amministrazione. Esiste anche un programma separato di Finanziamento Militare Estero (Foreign Military Financing) tramite il Dipartimento di Stato, che attualmente dispone di 1,5 miliardi di dollari sotto forma di sovvenzioni o prestiti diretti.
Questo programma è sotto esame da parte del Segretario di Stato Marco Rubio. Infine, c’è l’Iniziativa di Assistenza alla Sicurezza dell'Ucraina (Ukraine Security Assistance Initiative), che fornisce fondi all’Ucraina per acquistare hardware militare direttamente dai produttori statunitensi.
Gli Stati Uniti hanno fornito 65,9 miliardi di dollari in assistenza militare all’Ucraina da quando la Russia ha invaso il Paese nel febbraio 2022, secondo i dati in possesso del Dipartimento di Stato contenuti in un documento, citato dal Times, che descrive in dozzine di pagine l’impressionante “macchina da guerra” messa in piedi dagli Usa per sostenere la resistenza militare ucraina.
Una cifra che si impenna a 174,2 miliardi se si considera anche l’assistenza finanziaria e umanitaria fornita in tre anni da Washington a Kiev. Tanta roba, per anche poter solo pensare di continuare una guerra facendone a meno.

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