L’ondata globale di antisemitismo (musulmano) e la cecità morale dell’Occidente Analisi di Catherine Perez-Shakdam
Testata: israele.net Data: 01 marzo 2025 Pagina: 1 Autore: Catherine Perez-Shakdam Titolo: «L’ondata globale di antisemitismo (musulmano) e la cecità morale dell’Occidente»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo di Catherine Perez-Shakdam tradotto dal Times of Israel, dal titolo "L’ondata globale di antisemitismo (musulmano) e la cecità morale dell’Occidente".
Catherine Perez-ShakdamI “Protocolli dei Savi di Sion” in vendita alla Fiera Internazionale del Libro del Cairo. In gran parte del mondo musulmano non c’è differenza tra antisionismo e antisemitismo. Ma una società che coltiva fantasie antisemite è una società malsana che abbandona il pensiero critico a favore di autoritarismo, stagnazione economica, declino intellettuale e corruzione morale. Questo è ancora l'Egitto
L’antisemitismo, un odio antico e insidioso, ha dimostrato una notevole capacità di evolversi attraverso il tempo e la geografia.
Oggi, non è solo una corrente sotterranea di pregiudizio. Si è metastatizzato in un fenomeno globale, che prospera in modo sproporzionato nelle nazioni a maggioranza musulmana.
Gli ultimi dati dell’Anti-Defamation League offrono una conferma sconfortante di ciò che molti sospettavano da tempo: gli atteggiamenti antisemiti non sono solo prevalenti, ma profondamente radicati in aree che vanno dal Nord Africa al Sud-est asiatico.
Anche i cosiddetti paesi moderati e storicamente tolleranti, come l’Indonesia, oggi mostrano tassi di sentimento antisemita che raggiungono livelli sbalorditivi, con il 96% degli intervistati che sostiene complotti, falsità e ostilità antiebraiche.
Questa realtà statistica non nasce dal niente, né può essere avulsa dai più generali costrutti socio-politici e teologici che le hanno permesso di incancrenirsi.
Se in Occidente l’antisemitismo è stato spesso legato a specifici momenti storici – che si trattasse di supersessionismo cristiano (teologia della sostituzione), di capri espiatori economici o del razzismo pseudo-scientifico del XIX e XX secolo – in gran parte del mondo musulmano l’antisemitismo si è istituzionalizzato all’interno di quadri culturali, religiosi e politici che raramente vengono chiamati in causa e indagati.
A differenza dei flussi e riflussi del sentimento antisemita in Occidente, dove gli atteggiamenti sociali possono essere influenzati dall’istruzione, dalle leggi e dal discorso pubblico, l’antisemitismo in gran parte del mondo islamico permane fisso e indisturbato.
La forza duratura di queste convinzioni deriva da una convergenza di dottrina religiosa, propaganda di stato e dall’assenza di comunità ebraiche con cui confrontarsi direttamente (le antiche comunità ebraiche nel Medio Oriente arabo-islamico sono state quasi completamente cancellate nel corso del XX secolo ndr)
In molti di questi paesi, gli ebrei non esistono come vicini di casa, colleghi o concittadini: esistono solo come un’astrazione, un’entità mitica che funge da eterno nemico in una narrazione perpetuata da chierici, politici e organi di informazione.
L’assenza di interazione umana diretta consente all’antisemitismo di prosperare incontrollato, immune dalla forza correttiva dell’esperienza vissuta.
La persistenza di questi atteggiamenti è ulteriormente rafforzata dal modo in cui l’antisemitismo è diventato un principio organizzativo su cui si strutturano rimostranze e recriminazioni politiche e sociali.
Laddove un tempo l’antisemitismo era legato a dispute teologiche cristiane o presunte gerarchie razziali europee, nel mondo musulmano è diventato il meccanismo standard per spiegare/giustificare declino, fallimento e crisi.
Che si tratti di stagnazione economica, corruzione politica o umiliazione militare, la figura dell’ebreo è usata per rendere conto di tutte le disgrazie.
In questo contesto l’antisemitismo non è semplicemente un pregiudizio, ma una caratteristica strutturale del discorso politico contemporaneo.
Ciò è particolarmente evidente nel fascino intramontabile dalle teorie cospirative antisemite che vengono ripetute e riconfezionate attraverso le generazioni.
Non si tratta di idee marginali confinate ai margini, ma di cliché mainstream spacciati da intellettuali, chierici e capi di stato.
I Protocolli dei Savi di Sion, il famoso falso dell’impero russo (ampiamente sbugiardato), circolano ampiamente nelle librerie dal Cairo a Giacarta.
La negazione della Shoah non è un tabù, ma un normale argomento di dibattito televisivo.
L’idea che gli ebrei controllino le istituzioni finanziarie e politiche del mondo non viene respinta, ma assunta come una verità innegabile, insegnata nelle scuole e avallata dai media sostenuti dallo stato.
Ad aggravare il problema c’è il ruolo di Israele come punto focale ideologico dell’antisemitismo moderno.
In gran parte del mondo musulmano l’antisionismo non è, e nemmeno finge di essere, una critica politica alle politiche israeliane, quanto piuttosto un rifiuto dell’esistenza stessa della sovranità ebraica.
La linea di demarcazione tra antisionismo e antisemitismo non è sfocata: non esiste del tutto. In moltissimi contesti, i termini sionista ed ebreo vengono usati come sinonimi. Israele non è semplicemente criticato: è disumanizzato, vilipeso e demonizzato in un modo in un modo che va ben oltre l’ambito dell’opposizione politica.
L’odio diretto contro Israele spesso segue i contorni precisi dell’antisemitismo classico: accuse d’essere assetati di sete di sangue, di esercitare controllo globale, di ordire complotti malvagi.
L’ebreo dell’Europa medievale, accusato di avvelenare i pozzi, assassinare bambini cristiani e diffondere la peste è stato semplicemente rieditato come l’israeliano accusato di genocidio, apartheid e ogni crimine concepibile contro l’umanità.
E tuttavia, la caratteristica più sorprendente di questo fenomeno è la sua quasi totale immunità. Mentre in Occidente l’antisemitismo viene perlomeno deplorato e si cerca di porvi rimedio, per quanto in modo imperfetto, nel mondo musulmano non esiste nessun serio contrasto all’antisemitismo.
Non viene messo in discussione, contestato o confutato. Viene semplicemente accettato come parte del tessuto sociale.
Le istituzioni occidentali, nell’ansia di assecondare gli alleati diplomatici e di evitare accuse di insensibilità culturale, rimangono ostentatamente in silenzio.
Il risultato è un paradosso grottesco: società praticamente senza ebrei rimangono tra le più virulentemente antisemite, mentre le istituzioni globali che affermano di sostenere i diritti umani universali si rifiutano di riconoscere, e tanto meno di affrontare, la portata del problema.
Il prezzo di questo odio incontrollato è profondo. Non è solo un problema ebraico, è un barometro del decadimento della società.
Storicamente, la presenza di antisemitismo non è mai stata il segno di una civiltà sana e funzionante. È sempre stato il sintomo di una disfunzione più profonda: autoritarismo politico, stagnazione economica, declino intellettuale e corruzione morale.
Una società che si abbandona a fantasie antisemite è una società che ha abbandonato il pensiero critico.
Una nazione che insegna ai propri figli a odiare gli ebrei è una nazione che faticherà a produrre cittadini capaci di innovare, dialogare e impegnarsi in modo significativo nel mondo moderno.
L’incapacità di affrontare l’antisemitismo nel mondo musulmano non è solo un fallimento morale, ma strategico. Ha permesso che intere generazioni venissero cresciute con una dieta a base di paranoia e rancore alimentando l’estremismo, legittimando la violenza e ostacolando la pace.
Gli Accordi di Abramo hanno dimostrato che una leadership pragmatica può superare anche le barriere ideologiche più profonde. Ma nessuna svolta diplomatica può avere successo in un clima culturale in cui l’odio per gli ebrei rimane l’impostazione di default dell’immaginario pubblico.
E’ tempo, e non da ora, di un redde rationem. I decisori politici occidentali devono abbandonare la loro viltà morale e chiedere conto ai loro alleati.
Le nazioni a maggioranza musulmana che affermano di voler perseguire modernizzazione e integrazione nell’economia globale devono essere tenute allo stesso standard di ogni altra.
L’antisemitismo non è una stravaganza culturale o un deplorevole sottoprodotto del conflitto: è un veleno che corrompe tutto ciò che tocca.
Finché non verrà affrontato con la serietà che richiede, il sogno di un Medio Oriente stabile e prospero rimarrà solo questo: un sogno.
(Da: Times of Israel, 16.2.25)
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