Una storia israeliana Intervista di Micol Flammini
Testata: Il Foglio Data: 15 febbraio 2025 Pagina: 1/4 Autore: Micol Flammini Titolo: «Una storia israeliana»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/02/2025, a pag. 1/4, con il titolo "Una storia israeliana", l'intervista di Micol Flammini a Oran Almog.
Micol FlamminiOran Almog ci racconta l’attentato che uccise la sua famiglia: il colpevole è stato liberato nell’ambito dell’accordo con Hamas. La tragedia gli portò via il padre, il fratello minore, i nonni e il cugino. Nonostante l'immane tragedia che lo ha colpito, è riuscito a rifarsi una vita
Roma. “Eravamo la versione israeliana del sogno americano”, dice Oran Almog al Foglio mentre inizia a raccontare la sua storia. “Avevo dieci anni, avere una bicicletta mi rendeva felice, andavo in una buona scuola, avevo una famiglia numerosa e unita. Poi un sabato di inizio ottobre, dopo essere stati in spiaggia, siamo andati al ristorante Maxim di Haifa e nulla è più tornato come prima”. Una terrorista che fingeva di essere incinta si fece saltare in aria, morirono ventuno persone, tra cui cinque membri della famiglia di Oran: “Mio padre, mio fratello minore, i miei nonni e mio cugino. Mia madre e mia sorella furono ferite gravemente, io persi la vista”. Il ristorante Maxim era gestito da un arabo e da un israeliano, era uno dei tanti esempi di convivenza spontanea che puntellano la città di Haifa. La terrorista, fingendosi incinta, aveva oltrepassato i controlli di sicurezza, ma il piano non era suo, era stato messo a punto da Sami Jaradat, arrestato poco dopo l’attentato. “La condanna all’ergastolo mi era sembrata naturale, non si prova sollievo quando si sa che l’assassino della tua famiglia ha ottenuto il massimo della pena, pensi solo che così deve funzionare la giustizia e pensi che quindi rimarrà davvero in carcere tutta la vita”. Invece no. Jaradat è stato scarcerato, incluso nello scambio previsto dall’accordo tra Israele e Hamas: i terroristi rilasciano gli ostaggi rapiti, gli israeliani scarcerano un numero superiore di palestinesi, alcuni in galera per reati minori, altri terroristi condannati all’ergastolo. “Era un sabato quando mi hanno detto che Sami Jaradat sarebbe uscito. Non ho sentito rabbia, neppure delusione. Prima sono rimasto senza parole, poi ho sentito qualcosa che si rompeva dentro di me e faceva un gran fracasso. Infine ho rimesso in ordine i pezzi e ho capito che la vita deve vincere sempre sulla morte: tenere Sami Jaradat in prigione non avrebbe riportato la mia famiglia in vita, ma scarcerarlo avrebbe permesso agli ostaggi di tornare vivi in Israele”.
I terroristi liberati sono una nuova minaccia, ogni scarcerazione ricorda a tutto il paese che anche Yahya Sinwar era in prigione ed è uscito assieme ad altri terroristi per colpire ancora, per colpire più forte: “Ora sta allo stato fare in modo che questi terroristi scarcerati non tornino a farci del male”. Appena uscito di prigione, Jaradat si è fatto intervistare per raccontare le condizioni delle carceri israeliane e oscurare la tragedia degli ostaggi.
Il 4 ottobre del 2023, Oran Almog stava commemorando i vent’anni dall’attentato al ristorante Maxim. Non pensava a Jaradat, pensava a cosa non avrebbe mai riavuto indietro. Per sostenerlo erano arrivati a Haifa alcuni suoi parenti del kibbutz Kfar Aza. In Israele tutto si lega, la tragedia e la vita si inseguono, e quel giorno Oran mai avrebbe immaginato cosa sarebbe accaduto il sabato successivo, il 7 ottobre: “Hamas ha ucciso Nadav e Yam e rapito Chen, Agam, Gal e Tal”. Chen e i suoi tre figli sono stati liberati nella prima tregua conclusa con i terroristi nel novembre del 2023. “Il sabato del 7 ottobre non credevo fosse possibile quello che stava succedendo.
Il giorno della liberazione, quando ho saputo che la mia famiglia era salva assieme ai soldati israeliani, ho sentito una gioia raggiante. Ecco, forse è perché ho provato quell’emozione, quel senso di incredulità che diventa realtà che ho capito che la scarcerazione dell’assassino di mio padre, dei miei nonni, di mio fratello e di mio cugino era parte di un dolore che avrei dovuto mettere in un angolo della mia mente. E’ giusto che altri provino la sensazione di veder tornare un figlio, una madre, un fratello vivi”.
Quando Oran Almog racconta, a volte ride, scherza, “eh sì, mi sono accadute molte cose”. Come si sopravvive? “Sai la mia vita non è solo disgrazie, ho anche vinto campionati mondiali di vela per ciechi, in Sicilia. Il dolore è una parte significativa della mia esistenza, ma non è tutta la mia vita. Vuoi sentire il resto?”. Ci fermiamo ad ascoltare “il resto”, di progetti, startup, aziende, vela. Anche questo “resto” è un’autentica storia israeliana.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante