sabato 22 febbraio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Libero Rassegna Stampa
13.02.2025 Paesi arabi: Trump avanza, Netanyahu lo segue
Analisi di Fausto Carioti

Testata: Libero
Data: 13 febbraio 2025
Pagina: 8
Autore: Fausto Carioti
Titolo: «L’America mette pressione sull’Egitto e la Giordania»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/02/2025, a pag. 8 l'analisi di Fausto Carioti dal titolo “L’America mette pressione sull’Egitto e la Giordania”


Fausto Carioti

Trump vuole che Gaza diventi proprietà americana? E' il modo per far avviare col turbo il negoziato sul futuro del territorio. Non è un "piano" di pace, ma un'idea da cui partire e a cui si cerca di fare adeguare anche Egitto e Giordania.

Donald Trump vuole che la Striscia di Gaza divenga «proprietà a lungo termine» degli Stati Uniti, mentre i palestinesi che vivono lì si stabilirebbero, in via permanente, in un territorio «bellissimo» messo a disposizione dai Paesi arabi vicini. Se Hamas si è opposta subito con proclami violenti, lo Stato di Israele si è mostrato interessato. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, di ritorno da Washington, ha spiegato che la proposta del presidente statunitense «è rivoluzionaria e creativa e ne stiamo discutendo. Ci apre molte opportunità». Un’accoglienza positiva, ma comunque attendista. Colloqui con fonti del governo israeliano consentono ora di saperne di più.
Innanzitutto, a Gerusalemme non ritengono quello di Trump un «piano» vero e proprio. È presto, spiegano, per chiamarlo così: mancano troppi dettagli. Al momento è un’«idea», alla quale, in ogni caso, riconoscono due enormi pregi. Il primo è l’abbandono dei vecchi slogan e dei vecchi schemi, quelli su cui si poteva discutere prima del 7 ottobre, quando Israele era convinto che limitate operazioni militari nella Striscia di Gaza, con cadenza più o meno regolare, bastassero a mantenere un ordine accettabile e consentire ai rapporti tra Israele e i palestinesi di progredire.
Oggi, in Europa, tanti credono che si possa e si debba tornare a quell’epoca, ma in Israele non è questa la posizione del governo, e nemmeno della maggioranza della popolazione. Dove la quota più numerosa è composta dai disillusi, quelli che vorrebbero un accordo duraturo di pace, ma non lo ritengono più possibile.
Troppa fiducia è andata distrutta dal giorno della strage a oggi, e niente garantisce che sia possibile ricostruirla. Per questo, ora l’ipotesi dei «due popoli e due Stati» è fuori da ogni scenario realistico. Condizioni affinché se ne possa tornare a parlare sono la liberazione di tutti gli ostaggi (Hamas ne avrebbe in mano ancora 76,34 dei quali sarebbero morti) e la fine del controllo dell’organizzazione terroristica su Gaza. Condizioni necessarie, ma non sufficienti: servirà anche altro.
Il secondo grande merito che Israele riconosce alla proposta di Trump è che essa chiama in causa direttamente i Paesi arabi. Quelli che da decenni chiedono una patria per i palestinesi, senza però fare nulla per aiutarli e senza impegnarsi ad assumere nemmeno una parte dell’onere, lasciando che questo ricada tutto su Israele e che i palestinesi siano l’unico popolo al mondo nel quale lo status di rifugiato si trasmette di padre in figlio.
Ora Trump chiede a questi Paesi di incaricarsi della soluzione, e per convincerli è pronto a usare tutta la capacità di persuasione degli Stati Uniti.
I primi chiamati in causa, per motivi geografici, sono Giordania ed Egitto. Due giorni fa, proprio per discutere di questo col presidente americano, re Abdullah II è entrato nello Studio ovale, primo leader arabo a incontrare Trump durante questo mandato. Il padrone di casa gli ha ribadito che la Giordania dovrà ospitare - per sempre - una parte dei palestinesi che lasceranno Gaza.
La Giordania, anche stavolta, è corsa a nascondersi dietro l’Egitto. La risposta del sovrano hashemita è arrivata ieri, in una dichiarazione congiunta assieme al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. I due confermano «l’unità delle posizioni egiziana e giordana» e invocano «un avvio immediato del processo di ricostruzione nella Striscia di Gaza, senza lo sfollamento del popolo palestinese dalla propria terra». Un “no” netto, insomma, seppure accompagnato dalla promessa di mantenere «una stretta collaborazione con il presidente statunitense Donald Trump».
Proprio al Cairo, il 27 febbraio, i due leader, assieme a quelli di Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, parteciperanno a un vertice nel quale al-Sisi proporrà un piano per ricostruire la Striscia nel giro di cinque anni. Ma la partita è appena iniziata e Trump è convinto di avere ottimi argomenti per imporre la propria linea. «Se non sono d’accordo», ha già detto riferendosi proprio a Giordania ed Egitto, «non è escluso che io sospenda gli aiuti» che gli Stati Uniti concedono a questi due Paesi.
Washington e Gerusalemme parlano all’unisono anche nei confronti di Hamas. Se i terroristi palestinesi non rilasceranno gli ostaggi entro sabato, Trump ha avvertito che «scoppierà l’inferno». E ieri il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha spiegato che la tregua a Gaza potrebbe interrompersi e la guerra riprendere, perché «Hamas continua a usare le sue reti per introdurre di contrabbando le armi e gli aiuti per ricostruirsi», e «Israele non può permettere che questo accada».
È il via libera al governo Netanyahu. Che permette a Israel Katz, ministro della Difesa israeliano, di avvisare che, se Hamas non rilascerà gli ostaggi israeliani nei termini previsti, «le porte dell’inferno si apriranno, proprio come promesso dal presidente degli Stati Uniti». I combattimenti ricominceranno e «non finiranno senza la sconfitta di Hamas e il rilascio di tutti gli ostaggi, e permetteranno anche la realizzazione della visione del presidente degli Stati Uniti Trump per Gaza».

Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@liberoquotidiano.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT