Onu: palazzaccio di vetro contro Israele Analisi di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 08 febbraio 2025 Pagina: V Autore: Giulio Meotti Titolo: «Il palazzaccio di vetro»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 08/02/2025, a pag. V, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "Il palazzaccio di vetro".
Giulio MeottiOstaggi dell’Onu, il club dei dittatori. L’anno della gang “umanitaria” che vuole farla finita con Israele, da Guterres che giustifica Hamas fino a Volker Türk, l’alto commissario Onu per i diritti umani, che incriminò Israele di crimini di guerra e contro l'umanità solo un mese dopo il 7 ottobre
Anneliese Dodds, ministro per lo Sviluppo del governo inglese, si è entusiasmata per il “ruolo vitale” che l’Unrwa svolge a Gaza e ha ordinato a Israele di lasciarla lavorare. Uno dei “ruoli” che l’agenzia dell’Onu ha svolto, consapevolmente o meno, è la fornitura a Hamas di strutture per privare un’ebrea britannica della sua libertà per quindici mesi. Emily Damari ha rivelato di essere stata tenuta prigioniera nelle strutture delle Nazioni Unite a Gaza in una telefonata al primo ministro britannico Keir Starmer. Damari gli ha raccontato di essere stata tenuta prigioniera nelle strutture dell’Onu dopo essere stata catturata negli attacchi del 7 ottobre, senza che le siano state fornite cure mediche, giusto una bottiglietta di disinfettante, nonostante fosse ferita alla gamba e avesse due dita in meno. Non sappiamo cosa Starmer abbia risposto, speriamo qualcosa del tipo: “Cosa? L’agenzia dell’Onu a cui ho appena dato milioni di sterline?”.
Prima un video del 7 ottobre che mostra un dipendente delle Nazioni Unite che mette il corpo di un israeliano, Jonathan Samerano, nel retro di un suv. Poi un’inchiesta del New York Times che rivela che un consulente scolastico dell’Unrwa a Khan Younis ha rapito una donna israeliana. Poi il corpo dell’ostaggio tedesco-israeliano Shani Louk che viene ritrovato (senza testa) in un edificio dell’Onu. La madre di Shani, Ricarda Louk, ha detto alla West tedesca: “Che un’organizzazione umanitaria fosse così coinvolta nel terrorismo è scioccante”. Poi Ditza Heiman, la nonna deportata a Gaza dal kibbutz Nir Oz, che ha rivelato di essere stata tenuta prigioniera da un insegnante dell’Onu: “Il terrorista che mi ha tenuto in ostaggio per 53 giorni lavorava come insegnante per l’Unrwa”. E quello che sappiamo non è ancora tutto, ma non è poco: il cadavere di Noa Marciano che è stato trovato vicino a un ospedale dell’Unrwa, Romi Gonen e Doron Steinbrecher che sono state trattenute in rifugi delle Nazioni Unite destinati ai civili, il quartier generale dell’Unrwa a Gaza che era sopra un centro di comando di Hamas, personale dell’Unrwa che è stato filmato mentre partecipava all’omicidio e al rapimento di israeliani il 7 ottobre e un membro che si è rivelato essere un comandante di Hamas. Non è ancora tutto, ma è più che sufficiente.
Appena un mese dopo il 7 ottobre, l’alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Türk, diceva che Israele era già colpevole di “crimini di guerra e contro l’umanità”. Al suo ufficio ci è voluto un anno (novembre 2024) per citare Hamas. Inutile aspettare la Corte di giustizia dell’Onu, che indaga sulle accuse di “genocidio” a Israele e che ha dato la guida dell’organismo a un giudice libanese diventato poi premier del Libano, Nawaf Salam. La relatrice speciale delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, ha detto a Emmanuel Macron che “le vittime (del 7 ottobre) non sono state uccise a causa del loro ebraismo, ma in risposta all’oppressione di Israele”. Il capo ad interim degli aiuti delle Nazioni Unite Joyce Msuya ci ha messo del suo: “L’intera popolazione palestinese nella Striscia di Gaza settentrionale è a rischio imminente di morire di malattie, carestia e violenza”. L’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), collegata all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, aveva previsto una carestia a Gaza tra marzo e luglio 2024. Una copertura stampa pazzesca ha seguito questa dichiarazione. Un secondo studio dello stesso Ipc, a giugno, non ha avuto alcuna copertura mediatica. Lo studio stavolta non interessava a nessuno. L’Ipc ha ammesso: “In questo contesto, le prove disponibili non indicano che sia in corso una carestia”.
Le Nazioni Unite hanno celebrato la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo con una mostra nell’atrio del loro edificio a New York, ma senza alcun riferimento alle vittime israeliane del terrorismo. D’altronde, “Hamas non è un gruppo terroristico per noi… è un movimento politico”, ha detto Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti delle Nazioni Unite. In un’intervista a Sky News, Griffiths ha anche detto che Gaza è “peggio degli orrori dei Khmer Rossi” (un terzo della popolazione cambogiana sterminata).
Poi ci si è messa la “Commissione indipendente d’inchiesta sui territori palestinesi occupati e Gerusalemme est”, istituita dal Consiglio per i diritti umani e presieduta da Navi Pillay, sudafricana che nel 2020 ha firmato una petizione che invoca sanzioni contro “l’Israele dell’apartheid”. Un collega di Pillay, Miloon Kothari, indiano, nel 2022 ha detto: “Siamo sconfortati dai social che sono controllati in gran parte dalla lobby ebraica”. Kothari si è anche detto contrario al fatto che Israele sia membro dell’Onu.
“Fuck him”: così Tlaleng Mofokeng, relatrice speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla salute, qualche settimana fa si è rivolta a Benjamin Netanyahu. Per due mesi dopo il 7 ottobre, i rappresentanti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile si sono rifiutati di incontrare le donne israeliane per sentire degli stupri di Hamas. Le Nazioni Unite decidono di celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: non una parola su Hamas. Alla relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, la giordana Reem Amsalem, ci sono voluti mesi per riconoscere che le donne israeliane erano obiettivi speciali dei terroristi. Amsalem ha però dichiarato che dal 7 ottobre “l’assalto alla dignità e ai diritti delle donne palestinesi ha assunto dimensioni nuove e terrificanti”. Per leggere due righe di Sima Bahous, anche lei giordana e direttrice di UN Women, ci sono volute le inchieste del New York Times, altrimenti era il silenzio.
Poi Pramila Patten, rappresentante delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, si è ritirata da una sessione in programma al Consiglio di sicurezza in cui avrebbe dovuto parlare degli ostaggi deportati a Gaza da Hamas. “Le proteste nei campus universitari sono state duramente represse”, ha affermato intanto la relatrice per la protezione del diritto alla libertà di opinione, Irene Khan, che da segretaria di Amnesty ebbe a definire Guantanamo “il Gulag del nostro tempo”. L’Onu è una gigantesca porta girevole.
Prendiamo l’ex funzionaria della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, Agnès Callamard, oggi segretaria di Amnesty International. O l’ex direttore dell’Unrwa, Pierre Krähenbühl, oggi direttore della Croce rossa internazionale (a novembre UN Watch ha pubblicato una sua foto a Beirut con alcuni capi delle organizzazioni terroristiche). O l’ex direttore dell’Unrwa, Filippo Grandi, oggi a capo dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati. Entrano ed escono dalle strutture dell’Onu per entrare in quelle delle ong che accusano Israele di “genocidio”.
Intanto il segretario generale dell’Onu, António Guterres, per il quale il 7 ottobre non era avvenuto “dal nulla”, ha incluso Israele nella lista nera dei paesi e delle organizzazioni che danneggiano i bambini nelle zone di conflitto. La lista, redatta da Virginia Gamba, comprende Isis, al Qaida, Boko Haram e l’unica democrazia del medio oriente. Intanto un altro rapporto delle Nazioni Unite dello scorso settembre dice che ci vorranno “350 anni” per riportare l’economia di Gaza al livello in cui si trovava nel 2022.
Chi dissente da questa campagna, è fuori. Lo scorso novembre, Guterres ha rifiutato di rinnovare il contratto della Consigliera speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio, la keniota Alice Wairimu Nderitu, perché si è rifiutata di definire “genocidio” la guerra di Israele a Gaza. Dopo aver partecipato all’80esimo anniversario della liberazione di Auschwitz, Nderitu ha deciso di raccontare la storia del suo controverso mandato all’Onu in un’intervista esclusiva alla Free Press. Nderitu aveva viaggiato nei campi profughi in Bangladesh e Iraq; in Serbia, Montenegro e Bosnia ed Erzegovina per valutare l’entità della negazione del genocidio; e in Ciad, per valutare il rischio per le varie popolazioni del Darfur in Sudan. Poi arrivò il 7 ottobre 2023. Nderitu condanna i crimini di Hamas. Quella notte, un funzionario dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite inviò a Nderitu un’email, inviata in copia a diversi alti funzionari, tra cui l’alto commissario delle per i diritti umani e il sottosegretario generale per gli affari umanitari (a febbraio 2023, quel sottosegretario avrebbe creato scalpore affermando, in un’intervista a Sky News, che “Hamas non è un gruppo terroristico per noi, è un movimento politico”). Il funzionario dell’Onu descrisse la dichiarazione di Nderitu come “unilaterale”, suggerendo che “potrebbe causare un rischio all’immagine delle Nazioni Unite come organismo indipendente, neutrale e imparziale”. Così avrebbero ottenuto la testa dell’unica relatrice dell’Onu che non si è bevuta la propaganda di Hamas.
Dal 7 ottobre, il Consiglio di sicurezza ha adottato non meno di quattordici risoluzioni sul medio oriente. Sette riguardano l’obbligo di combattere la minaccia che il terrorismo rappresenta per la sicurezza globale, escluso ovviamente il terrorismo palestinese. Nessuna di queste risoluzioni menziona il 7 ottobre, i terroristi palestinesi, Hezbollah o l’Iran. Le altre sette risoluzioni affrontano direttamente il “conflitto armato” fra i terroristi e Israele, ma non il fatto che i terroristi sono coloro che quel conflitto lo hanno iniziato. L’Assemblea generale ha approvato a larga maggioranza le risoluzioni del 27 ottobre e del 13 dicembre che chiedevano un cessate il fuoco immediato che avrebbe lasciato Hamas armato e al potere. Gli Stati Uniti hanno posto il veto a due risoluzioni del Consiglio di sicurezza che chiedevano anch’esse un cessate il fuoco immediato. Nessuna di queste risoluzioni ha condannato gli attacchi di Hamas, ha menzionato il gruppo terroristico per nome o affermato il diritto di Israele all’autodifesa.
Nel 2024, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato diciassette risoluzioni su Israele e solo sei sull’intero resto del mondo, tra cui la Corea del Nord, l’Iran, la Siria, il Myanmar, la Russia per l’occupazione della Crimea e gli Stati Uniti per l’embargo su Cuba. All’Onu, Israele è il male. Nel 2024, su un totale di 23 risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che criticano paesi, 17 di esse, ovvero tre quarti, erano incentrate su un singolo paese, l’unico stato ebraico del mondo.
Dal 2015, l’Assemblea generale ha approvato 141 risoluzioni contro Israele, che è più del doppio del numero di risoluzioni di condanna rivolte a tutti gli altri paesi messi insieme. E il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (da cui Israele si è ritirato questa settimana) ha approvato 104 risoluzioni contro Israele, rispetto alle 99 contro altri paesi.
Capitava intanto che l’Iran venisse eletto alla “Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione femminile e l’uguaglianza di genere”. Poi capitava che la Repubblica islamica fosse eletta alla presidenza del “Forum sociale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite”. Prima i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu hanno osservato un minuto di silenzio per il defunto presidente iraniano, Ebrahim Raisi. Poi l’ambasciatore del Mozambico, che deteneva la presidenza di turno del Consiglio, ha chiesto ai membri di alzarsi in piedi per onorare Raisi. Poi c’è stata la bandiera a mezz’asta dell’Onu. Poi, il segretario Guterres è andato nella sede della delegazione iraniana, si è seduto al tavolo con le foto di Raisi e ha firmato il libro di condoglianze. Poi è stata la volta della vicesegretaria dell’Onu, Amina Mohammed, che ha anche pregato. Infine, l’Assemblea generale ha tenuto un incontro per rendere omaggio a Raisi. “Le Nazioni Unite sono un enorme club per dittatori”, afferma Thor Halvorssen, fondatore della Human Rights Foundation.
Osservando l’ultimo anno al Palazzo di vetro, dittature e islamisti sono al settimo cielo e iniziano a sognare: se soltanto tutto il mondo fosse come l’Onu, i nostri piani andrebbero decisamente più velocemente del previsto.
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