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Informazione Corretta Rassegna Stampa
04.02.2025 Il diritto di esistere
Commento di Ben Cohen

Testata: Informazione Corretta
Data: 04 febbraio 2025
Pagina: 1
Autore: Ben Cohen
Titolo: «Il diritto di esistere»

Il diritto di esistere
Commento di Ben Cohen
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/the-right-to-exist/

The right to exist - JNS.org
Su più di 200 Stati nel sistema internazionale, la sopravvivenza di uno solo di essi, lo Stato di Israele, sembra essere messa sempre in discussione. Inutile dire che Israele è l'unica democrazia del Medio Oriente, e che i vicini arabi, belligeranti e intolleranti, fanno pace con Israele solo dopo aver registrato sonore sconfitte militari. Israele esiste perché resiste al continuo assedio che lo circonda

Gli avversari liberali e di sinistra di Israele inseguono un sogno persistente secondo cui un giorno lo Stato ebraico, che considerano falsamente uno Stato etnico costruito su un'ideologia di supremazia ebraica, verrà sostituito da un unico Stato di Palestina. Credono in modo fantasioso che ci sarà una democrazia multietnica che garantirà uguali diritti a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalla religione o dall'origine nazionale. Come succede per le fantasie, anche questa ha fatto molta strada, riemergendo ogni pochi anni nei periodi di maggiore tensione in Medio Oriente e catturando l'attenzione di una manciata di intellettuali.

Più di 20 anni fa, mentre in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza infuriava la Seconda Intifada, il defunto storico Tony Judt fece scalpore con un saggio sulla New York Review of Books, intitolato “Israele: l'alternativa”, che descriveva la politica israeliana come un anacronismo nazionalista che doveva essere smantellato.

Questa settimana, Peter Beinart, uno dei più nauseabondi avversari ebrei dello Stato ebraico, ha fatto più o meno lo stesso, seguendo un percorso simile, con un articolo sul New York Times, intitolato “Gli Stati non hanno il diritto di esistere. Le persone sì”. Per quanto deprimente sia ammetterlo, è importante respingere queste argomentazioni, non perché abbiano un valore intrinseco, ma perché forniscono, almeno all’apparenza , una cornice in cui le argomentazioni antisioniste possono essere articolate da coloro che sono troppo imbarazzati per urlare “Tornate in Polonia!” agli ebrei che sventolano bandiere israeliane, ma che fondamentalmente simpatizzano con quel sentimento. Beinart, che eccelle nel presentare delle banali ovvietà come sue intuizioni uniche, sostiene che gli Stati non hanno alcun valore intrinseco, ma che di certo ne abbiano le persone che vivono sotto il loro governo. Le origini di questa idea di Stato si trovano nei pensatori della tradizione liberale classica, da Immanuel Kant a John Stuart Mill a Isaiah Berlin, che hanno contrastato l'enfasi sugli esseri umani come servi dello Stato che si trova negli scritti di pensatori come il filosofo inglese del XVII secolo, Hobbes e il filosofo tedesco del XIX secolo, Hegel. Per quanto l'obiettivo di uno Stato minimalista e legalmente responsabile sia lodevole, come la maggior parte delle idee, esso potrebbe evolversi in direzioni bizzarre, impreviste dai pensatori che lo hanno formato; in questo caso, su oltre 200 Stati nel sistema internazionale, l'esistenza di uno solo, lo Stato di Israele, è oggetto di dibattito. Beinart è irritato dal consenso che c’è tra i politici statunitensi sul fatto che il diritto di esistere dello Stato di Israele debba essere difeso senza imbarazzo. Cita Cina e Iran come esempi di Stati le cui forme di governo, comunista e islamista, sono regolarmente attaccate dagli americani. Se è legittimo sostenere lo smantellamento di questi regimi, allora perché lo stesso principio non si applica a uno Stato gestito da un regime che enfatizza l'Ebraismo su tutto il resto? Il paragone è falso. C'è una distinzione fondamentale tra il concetto di “Stato” e quello di “nazione”, ma i due vengono spesso confusi perché lo Stato indipendente e sovrano è stato l'obiettivo incessante dei sostenitori dell'autodeterminazione nazionale. L'Unione Sovietica è scomparsa, ma le sue nazioni costituenti non lo sono (nonostante gli sforzi del presidente russo Vladimir Putin per schiacciare l'Ucraina), mentre il tanto gradito cambio di regime in Cina e Iran non avrebbe portato all'eliminazione di quelle nazioni. Implica anche una stupida simmetria morale tra un Paese come la Cina, che incarcera la sua minoranza musulmana uigura nei campi di concentramento, costringendola a mangiare carne di maiale e bere alcolici, e Israele, dove i diritti umani e civili fondamentali sono garantiti dalla legge per tutti i cittadini, ebrei o meno. Nella formula che Beinart raccomanda, tuttavia, non c'è alcuna garanzia che gli ebrei di Israele sopravvivrebbero come gruppo nazionale una volta che il nome “Israele”, che per Beinart e altri antisionisti è il simbolo ultimo della supremazia ebraica, venisse cancellato dalla carta geografica. In effetti, è molto più probabile che gli ebrei israeliani affronterebbero l'espulsione di massa e il genocidio per mano di Hamas e delle sue fazioni alleate, piuttosto che essere persone benvenute in una “Palestina” multinazionale. Beinart non riesce a comprendere che il pogrom del 7 ottobre 2023 di Hamas, di cui scrive in modo inquietantemente dissociativo, osservando semplicemente che “i combattenti di Hamas e della Jihad islamica hanno ucciso circa 1.200 persone in Israele e ne hanno rapite circa 240”, per la stragrande maggioranza degli israeliani è invece considerato come un segno di ciò che i terroristi hanno in serbo per tutti loro. Le recenti scene a Gaza, dove folle palestinesi urlanti e isteriche hanno circondato donne in ostaggio liberate dalla prigionia di Hamas in base all'attuale accordo di cessate il fuoco, ne sono una testimonianza. Beinart sostiene che la questione se Israele abbia il diritto di esistere è irrilevante. È più appropriato chiedersi: “Israele, in quanto Stato ebraico, protegge adeguatamente i diritti di tutti gli individui sotto il suo dominio?” In realtà, la domanda più pertinente è questa: i palestinesi, nutriti da una dieta di odio antisemita disumanizzante che si è espresso con perfetto orrore il 7 ottobre, possono accettare un accordo di convivenza con gli israeliani (uno Stato, due Stati, una federazione, un altro modello di governo) che sia sicuro e sostenibile? Oppure una sorta di deprogrammazione, simile alla denazificazione della Germania dopo la Seconda Guerra mondiale, è un primo passo necessario? È illuminante che mentre il saggio di Beinart veniva pubblicato, Donald Trump abbia sollevato l'idea di reinsediare i residenti di Gaza in altri Paesi, una soluzione che in questo momento è più gradita agli israeliani rispetto allo scambio di più terra per una pace inesistente. Ci sono, naturalmente, un mix equo di vantaggi e di problemi associati a una mossa così radicale, ma se i palestinesi vogliono rimuoverla dal tavolo, allora devono concentrarsi sul sottoporre la propria società a una riforma fondamentale. Perché questo è un altro aspetto che Beinart non è in grado di cogliere; la pazienza è finita, la disperazione sta aumentando e misure che prima andavano oltre ogni limite ora sembrano fattibili e, oserei dire, desiderabili a molti livelli. Come ha affermato il filosofo Karl Popper, un altro sostenitore dello Stato minimo vincolato dallo stato di diritto: “La tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Dobbiamo quindi rivendicare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare l'intolleranza.”

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen

takinut3@gmail.com

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