Liberare 100 terroristi per salvare 1 dei nostri oggi e sacrificarne 100 domani Newsletter di Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti Data: 03 febbraio 2025 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Liberare 100 terroristi per salvare 1 dei nostri oggi e sacrificarne 100 domani»
Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Liberare 100 terroristi per salvare 1 dei nostri oggi e sacrificarne 100 domani".
Giulio Meotti
Terroristi palestinesi di nuovo in libertà. Torneranno a uccidere, come dimostrano tutti i casi precedenti. Per Israele, la vita non ha prezzo e pur di salvare un concittadino dalle mani di Hamas, è disposto a rilasciare 100 prigionieri per ogni ostaggio. Ma ognuno dei prigionieri rilasciati, nel prossimo futuro, potrà provocare altri morti, in azioni terroristiche.
Il ristorante Maxim è un locale attaccato a una pompa di benzina a Haifa, grandi vetrate sul mare, Il proprietario è un arabo cristiano ed è un noto punto di incontro di ebrei, cristiani e musulmani. Il 4 ottobre 2003 è un sabato di sole, la spiaggia è affollata degli ultimi bagnanti della stagione, quando una donna palestinese, Henadi Jaradat, arriva al Maxim. Un cameriere arabo le prende l’ordinazione. La terrorista mangia con calma, scruta le famiglie israeliane che consumano ignare il loro ultimo pasto. Poi si fa esplodere. Una strage che ha distrutto famiglie intere. Gli Zer-Aviv, i Biano, gli Almog. 21 morti, tra cui 5 bambini.
Oran Almog aveva 10 anni al momento dell'attentato, fu accecato dall'esplosione, perse due nonni, il padre, il fratello e il cugino
La testa con la coda di cavallo della terrorista schizza sul marciapiede di fronte. Ovunque i resti delle vittime: una scarpa, un pacchetto di sigarette, un rossetto, un biberon... In un colpo è distrutta la famiglia Zer-Aviv. Liran aveva appena celebrato il suo quarto compleanno. Noya aveva un anno. Racconterà un vicino degli Zer-Aviv: “Quando ho visto quel carnaio di bambini ho riconosciuto il biberon di Noya, chi conosce la vita del kibbutz sa che il nome è inciso sulla bottiglia”.
Il terrorista che li ha condannati a morte mandando la cugina a farsi esplodere, Sami Jaradat, da questa settimana è di nuovo un uomo libero.
Liri Albag, rilasciata nella seconda tregua tra Israele e Hamas dopo 477 giorni a Gaza, racconta: “In uno dei posti dove eravamo segregate, c'erano anche un bambino di otto anni e dei bambini di quattro anni che ci insultavano tutto il tempo, ‘gli ebrei’”. Amit Soussana, che al New York Times aveva raccontato dello stupro subìto da uno dei suoi carcerieri, questa settimana al Channel 12 israeliano rivela che un altro carceriere, che si faceva chiamare “Amir”, aveva una figlia che era stata operata in un ospedale israeliano per un cancro. Amir ha legato Soussana mani e piedi a una sbarra per picchiarla con il calcio del fucile.
Mia Shem, rilasciata nella prima tregua dopo 54 giorni, a Gaza venne operata senza anestesia e il chirurgo prima di iniziare le ha detto: “Non tornerai mai viva a casa”. Ofelia Roitman, 78 anni, ha raccontato: “Quando mi hanno rapita mi avevano sparato ed ero ferita a una mano. Arrivati a Gaza mi hanno portata dentro a uno dei tunnel. C’era una stanza attrezzata come una sorta di ambulatorio. La dottoressa (palestinese) ha detto, in inglese, ‘l’ebrea non la curo’”.
Il ricatto mostruoso che Israele ha accettato di pagare alla Jihad di Gaza si nutre anche del tormento psicologico di chi è tornato. Nessun altro paese accetterebbe di sapere che 251 dei propri cittadini stanno vivendo tutto questo.
E poi ci sono i nomi che tormentano un paese, anche a distanza di quarant’anni.
Ron Arad e Yishai Aviram si lanciarono dal loro jet israeliano sopra il Libano meridionale. Un elicottero israeliano si avvicinò abbastanza da permettere ad Aviram, ma solo ad Aviram, di scappare come in un film: afferrò l’elicottero e si tenne stretto mentre volava verso casa. Era il 16 ottobre 1986 e fu l'ultima volta che Arad sarebbe stato visto da un altro israeliano, vivo o morto.
La cattura di Arad da parte dei terroristi libanesi, i falliti negoziati per il suo rilascio e la sua scomparsa (si dice sia morto in Iran) hanno perseguitato Israele, fino a oggi. Aveva vent’anni, Ron, e una bambina di pochi mesi. Ogni anno in Israele, nel giorno che si ricorda la cattura di Ron, volano in cielo migliaia di palloncini azzurri con la scritta: “Free Ron Arad”.
7.747 terroristi palestinesi sarebbero stati scambiati per 147 ostaggi o soldati, vivi o morti. Nel 2011 scambiarono 1.027 terroristi per un solo israeliano. Nella prima fase dell’accordo durante l’attuale guerra di Gaza, 1.904 palestinesi per 33 ostaggi.
Qui non si evoca nessuna “risposta sproporzionata”. Nessuno di coloro che sono tanto indulgenti verso Hamas quanto critici verso Israele, proclama a gran voce che “una vita vale una vita”, stupito della terribile perequazione della restituzione di un civile innocente per trentadue terroristi (per i soldati vivi, il prezzo sale).
Nel romanzo dello scrittore americano William Styron, “La scelta di Sophie” (da cui fu tratto il film con Meryl Streep), Sophie è costretta, ad Auschwitz, a scegliere quale dei suoi due figli sarebbe stato mandato nella camera a gas e quale sarebbe sopravvissuto. Se si fosse astenuta dallo scegliere, sarebbero morti entrambi.
Questa è la natura della scelta che Israele deve affrontare nel negoziare accordi sugli ostaggi da quando 251 persone sono state rapite il 7 ottobre.
Abbas Muhammad Alsayd, rilasciato nel 1996, è stato coinvolto in tre attacchi terroristici, tra cui l’attentato del 2002 a un Seder di Pesach a Netanya, dove morirono numerosi sopravvissuti alla Shoah. Nel 1998, Iyad Sawalha è stato rilasciato come gesto di “buona volontà”: nel 2002 ha fatto esplodere una bomba che ha ucciso diciassette persone. E nel 2003, Ramez Sali Abu Salmin è stato rilasciato: sette mesi dopo si è fatto esplodere in un bar di Gerusalemme, uccidendo sette persone. Tornano sempre a fare terrorismo.
Venerdì scorso, il direttore dello Shin Bet Ronen Bar ha presentato al gabinetto di sicurezza israeliano le statistiche che indicano che “l’82 per cento di coloro che sono stati rilasciati nell'accordo Gilad Shalit nel 2011 sono tornati al terrorismo”.
Il più infame dei prigionieri rilasciati nel 2011 è ovviamente il leader di Hamas, Yahya Sinwar, e decine di suoi uomini saliti alla guida del gruppo negli ultimi anni. Il leader militare di Hamas Ahmed Jabari all'epoca si vantava che i terroristi rilasciati in base a quell’accordo erano stati responsabili dell'uccisione di 569 israeliani. Sinwar avrebbe pianificato poi la morte di 1.200 israeliani.
Fra i terroristi palestinesi che nel 2011 Israele liberò per riavere il caporale Gilad Shalit, prigioniero di Hamas per cinque anni, c’erano anche Abed al Hadi Ganaim, che scaraventò un autobus israeliano da un dirupo uccidendo 16 persone; Abd al Aziz Salaha, che fece a pezzi due riservisti israeliani che avevano preso la strada sbagliata a Ramallah (sue sono le mani sporche di sangue mostrate da una finestra); Musab Hashlemon, sedici ergastoli per due kamikaze a Beersheba; Ibrahim Jundiya, dodici ergastoli per l’attacco alla stazione degli autobus a Gerusalemme; Fadi Muhammad al Jabaa, diciotto ergastoli per la strage in un autobus di Haifa; Husam Badran, che fece strage di venti ragazzini russi al Dolphinarium di Tel Aviv e quattordici che pranzavano al ristorante Matza di Haifa.
Al centro dell’inferno al Dolphinarium di Tel Aviv si è trovato un gruppo di liceali russi che volevano divertirsi in una serata estiva e dimenticare per qualche ora la tensione degli studi. Decine di ebrei russi aspettavano di entrare, fieri e felici di essere liberi nella terra che tanto avevano atteso e con fatica raggiunto. E un luogo di felicità fu trasformato in un mattatoio. Giovani senza mani e con la faccia in poltiglia, una lago di sangue, cadaveri e tronchi umani. Quando hanno visto il terrorista, pensando che fosse uno dell’orchestra, alcuni ragazzi gli hanno chiesto che strumento suonava. “Il tamburo”, ha risposto. Il piazzale davanti alla discoteca era tutto coperto di sangue. Sulle carrozzerie delle auto in sosta ci sono frammenti umani dilaniati. Per ore a terra rimasero i vestiti sporchi di sangue, le borsette delle ragazzine e i portafogli. Alle quattro di notte si stava ancora cercando di togliere le enormi pozze di sangue.
Il terrorista palestinese portava una grossa sacca, è riuscito a superare i controlli delle guardie private all’ingresso del Park Hotel di Netanya. Ha fatto una cinquantina di passi e, varcato l’atrio, è entrato nella sala da pranzo. C’erano decine di persone, famiglie intere, tanti bambini. Stavano ascoltando la lettura della Hagadah, il racconto delle sette piaghe bibliche che colpirono l’Egitto per convincere il faraone a consentire agli ebrei di partire, abbandonando la schiavitù. Tra gli altri, c’è un passo molto significativo: “Ognuno in questa sera consideri sé stesso come uscito in prima persona dall’Egitto”. Il terrorista attese un istante prima di azionare il detonatore. Le biglie e i chiodi nascosti nella bomba hanno raggiunto le persone più lontane. La hall venne devastata, saltate finestre e vetrate, scardinati i lampadari, il soffitto crollato per metà. Un tappeto di sangue e resti umani. Si creò una enorme pozza di sangue. Un testo della Hagadah e un pezzo di matza, il pane azzimo, erano immersi nella pozza, come nei peggiori proclami della propaganda antisemita. Netanya è una località favorita da anziani ebrei immigrati religiosi. 30 morti in un istante, molti sopravvissuti alla Shoah. È stata la più grande singola strage di ebrei dalla Seconda guerra mondiale, almeno fino al 7 ottobre. I soccorritori si trovarono di fronte una scena indescrivibile. Decine di corpi a terra e i loro telefoni cellulari che suonavano all’impazzata.
Nel 2011, Israele “condonò” 924 ergastoli per riavere solo uno dei suoi. Ora si pone il tema, di nuovo: quanti altri moriranno per la liberazione di tremila terroristi palestinesi in cambio degli ostaggi?
Il primo a comprendere quanto fosse sensibile (per lui debole) l'opinione pubblica israeliana sulla questione degli ostaggi e dei dispersi in azione fu Ahmed Jibril, il leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Nel 1978, Israele iniziò una campagna militare per cacciare i terroristi palestinesi dal Libano meridionale, da dove stava lanciando attacchi mortali contro i civili israeliani. Cinque soldati israeliani, Avraham Amram e altri quattro, furono catturati dai terroristi. Quando iniziarono le trattative per il rilascio dei soldati, gli israeliani speravano di mantenere qualsiasi scambio su uno di due parametri. Un israeliano per un terrorista incarcerato. Ed essere disposti, se necessario, a scambiare tutti i palestinesi catturati in questa operazione con gli israeliani catturati nello stesso lasso di tempo. I terroristi palestinesi, guidati da Jibril, rifiutarono lo schema. Alla fine, gli israeliani capitolarono, scambiando 76 prigionieri per Amram e i corpi degli altri.
Jibril aveva imparato una lezione importante.
Il più grande successo di Jibril arrivò a metà nel 1985, quando in cambio di tre soldati israeliani chiese il rilascio di 1.150 prigionieri. Il gruppo comprendeva alcuni dei terroristi più infami detenuti da Israele, tra cui il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, e Kozo Okamoto, un membro dell'Armata Rossa giapponese che partecipò al massacro di 26 israeliani nella sala arrivi dell'aeroporto di Lod nel 1972. Fu liberato anche Ziad Nakhaleh, l'attuale leader della Jihad islamica palestinese.
Due anni dopo lo scambio esplose la prima Intifada, in cui ebbero un ruolo chiave i terroristi rilasciati. 160 i civili israeliani uccisi.
Benjamin Netanyahu intanto pubblicò un libro intitolato Terrorism: How the West Can Win, in cui sosteneva di non negoziare con i terroristi in nessuna circostanza. Netanyahu scrisse: “Questa è una politica che in effetti dice ai terroristi che non cederemo alle vostre richieste. Insistiamo affinché liberiate gli ostaggi. Se non lo farete pacificamente, siamo pronti a usare la forza. Stiamo offrendo un semplice scambio: la vostra vita per la vita degli ostaggi. In altre parole, l'unico ‘accordo’ che siamo disposti a fare con voi è questo: se vi arrendete senza combattere, rimarrete vivi”.
Ma anche Netanyahu avrebbe firmato due dei più grandi scambi di terroristi della storia israeliana.
Nel periodo 1993-1999, dei terroristi liberati in seguito a vari accordi 854 di loro sono tornati a uccidere. Nel settembre 1997, Hadi Nasrallah, figlio del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, fu ucciso in uno scontro con le truppe israeliane. Gli israeliani speravano che, con il suo corpo nelle loro mani, i negoziati per la restituzione dei corpi dei soldati israeliani detenuti da Hezbollah avrebbero accelerato. Yaakov Perry, l'ex capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interna di Israele, era responsabile del caso all'epoca. “Eravamo ottimisti. Pensavamo che avrebbe avvicinato una soluzione, ma Nasrallah era indifferente. Ha ordinato ai suoi uomini di non mettere il nome di suo figlio in cima alla lista e di trattarlo come tutti gli altri caduti. In seguito ho sentito che quando la bara di Hadi è arrivata in Libano, suo padre ha sollevato il coperchio, ha guardato il corpo del suo amato figlio e lo ha chiuso. Non un muscolo del suo viso si è mosso". Il capo dell'intelligence tedesca dell'epoca, August Hanning, che mediava un accordo tra Israele e Hezbollah, disse a Perry con sconcerto che, sebbene Nasrallah fosse profondamente addolorato per il figlio, “il corpo è un'altra questione” gli disse il capo terrorista. “Voi israeliani avete un atteggiamento molto insolito su questa questione”.
Ecco il cuore della storia, la differenza fra la civiltà della vita e quella della morte. Nasrallah lo aveva detto: “Gli ebrei amano la vita, quindi è questo che gli toglieremo. Vinceremo, perché loro amano la vita e noi amiamo la morte”. La stessa frase che ricorre da Osama bin Laden all’ayatollah Khamenei.
Nasrallah lo sapeva bene e si vantava di avere anche “pezzi di corpi di israeliani” da scambiare.
Nel 2004 Israele ha liberato 400 terroristi palestinesi in cambio di Elhanan Tannenbaum, che era tenuto prigioniero da Hezbollah, e dei corpi di tre soldati rapiti sul monte Dov. L’ex capo del Mossad Meir Dagan ha affermato che uno di quelli rilasciati in quell'accordo, Luay Saadi, ha continuato a creare una cellula terroristica che ha ucciso trenta israeliani.
La prima guerra del Libano del 2006 scoppiò con il rapimento di due soldati israeliani: due anni dopo, Hezbollah riuscì a scambiare i loro corpi con i terroristi vivi, fra cui Samir Kuntar, il terrorista del massacro di Nahariya.
Era il 22 aprile 1979 , quando il terrorista Kuntar guidò un gruppo di quattro terroristi che, partiti da Tiro a bordo di un gommone, sbarcarono a mezzanotte sulla spiaggia di Nahariya, città israeliana una decina di chilometri a sud del confine libanese. I quattro si imbatterono in un agente di polizia israeliano che uccisero all’istante. Entrarono in un edificio al numero 61 di via Jabotinski e fecero irruzione nell’appartamento della famiglia Haran. I terroristi presero in ostaggio Danny insieme alla figlia Einat di quattro anni. La madre, Smadar, fece in tempo a nascondersi in un soppalco sopra la stanza da letto insieme alla figlia Yael, di due anni. Racconterà Smadar: “Sapevo che se avessero sentito Yael piangere avrebbero gettato una granata nel nostro nascondiglio uccidendoci tutte. Così tenni la mano sulla sua bocca per non farla gridare. Acquattata là dentro, mi tornavano alla mente i racconti di mia madre su quando si nascondeva dai nazisti durante la Shoah”. Smadar provocò la morte per soffocamento della figlia, accorgendosene solo troppo tardi. Nel frattempo Kuntar e i suoi uomini trascinarono Danny e la piccola Einat sulla spiaggia, dove ingaggiarono una sparatoria con agenti e soldati israeliani. Fu in quel momento che Kuntar sparò a bruciapelo alla schiena di Danny davanti agli occhi della figlioletta, immergendolo in mare per assicurarsi che fosse morto. Subito dopo uccise la piccola sfondandole il cranio contro le rocce della spiaggia. Samir Kuntar è morto da uomo libero in Libano.
Migliaia di terroristi liberati tra il 1993 e il 1999 hanno preso parte alla Seconda Intifada, durante la quale 1.500 israeliani sono stati assassinati. David Applebaum, capo del Dipartimento di medicina d'urgenza presso lo Shaarei Zedek Medical Center di Gerusalemme, e la figlia ventenne Nava, furono assassinati da un attentatore suicida il 9 settembre 2003, mentre si recavano al Café Hillel a Gerusalemme. Nava si sarebbe dovuta sposare il giorno dopo. L'assassino, Ramez Sali Abu Salim, di Ramallah, era stato liberato da una prigione israeliana nel 2002.
Abdullah Abd Al Kadr Kawasme fu arrestato nel 1988, in seguito all'omicidio del poliziotto israeliano Nissim Toledano ed esiliato. Fu responsabile di molti attacchi terroristici, tra cui l'infiltrazione nella comunità di Adura il 27 aprile 2002, dove furono uccise quattro persone, tra cui la bambina di cinque anni Danielle Shefi. Kawasme fu anche responsabile dell'infiltrazione nella comunità di Carmei Tzur il 6 agosto 2002, in cui furono uccise tre persone; due attentati suicidi effettuati a Gerusalemme il 18 maggio 2003, in cui furono uccise sei persone e un attentato suicida a Gerusalemme nel giugno 2003 in cui furono uccise 17 persone. Kawasme è stato finalmente eliminato da Israele il 21 giugno 2003.
Nel 2006, la famiglia di Gilad Shalit iniziò a fare pressioni sul governo per un accordo per liberare il figlio. I terroristi che lo rapirono appesero il giubbotto antiproiettile di Shalit sulla staccionata che divideva Israele e Gaza, inviando così un messaggio di sfida. I genitori non avrebbero permesso che Gilad fosse un altro Nachshon Wachsman, ucciso in un tentativo di salvataggio. Wachsman era figlio di Esther, nata in un campo della Croce Rossa da genitori sopravvissuti alla “soluzione finale” in cui le loro famiglie erano state cancellate. Il figlio fu rapito dai terroristi e mostrato in video da Hamas. Il rabbinato d’Israele chiese al popolo ebraico di leggere ogni giorno tre capitoli dei Salmi. Vecchi e bambini, uomini e donne, chassidim in nero e laici con le kippà, si radunarono al Muro occidentale per intercedere a favore della liberazione di Wachsman.
Al tempo dell’affare Shalit non si conoscevano ancora i nomi, i volti e le famiglie di coloro che sarebbero uccisi da alcuni dei 1.027 terroristi islamici rilasciati in cambio di Shalit nel successivo decennio. Tra aprile 2014 e luglio 2015, sei israeliani erano stati assassinati da prigionieri rilasciati nell'accordo con Shalit.
E poi arrivò il 7 ottobre 2023. Naturalmente ora conosciamo i nomi, i volti e le famiglie degli uccisi e dei 251 ostaggi rapiti in un’operazione pianificata dai prigionieri che Israele ha rilasciato nel 2011. Quelli che non conosciamo sono i nomi, i volti e le famiglie di coloro che saranno uccisi nel prossimo grande massacro organizzato da chi in questi giorni viene rilasciato.
Una notte, tra i deportati schierati lungo il treno del lager, Sophie teneva in braccio i due figli. Un ufficiale nazista le disse: “Mi consegni uno dei due bambini e salvi l’altro. E’ stato infatti detto: lasciate che i bambini vengano a me”. Intanto, di Ariel e Kfir Bibas non c’è traccia, mentre il padre ieri è uscito da Gaza. Kfir, che avrebbe compiuto due anni a gennaio, ha trascorso più tempo della sua breve vita ostaggio di Hamas che in Israele. Nell’album dell’orrore ci sono le immagini di Shiri Bibas, spaventata a morte, avvolta in una trapunta dai cui spuntano le teste rosse dei suoi piccoli che cercava di proteggere con l’unica cosa che aveva: una trapunta. Il volto del padre non è attraversato dal sorriso per la gioia della liberazione.
Dopo la sua liberazione sabato scorso da Gaza, Liri Albag ha detto ai genitori: “Non fatevi illusioni: là ci sono due milioni di terroristi. Mi sono trovata con bambini che insultavano e maledicevano ‘gli ebrei’”.
L’adagio dice che la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Ma ci sono popoli per i quali la storia si ripete sempre come tragedia. E dovrebbe importarci: non a caso gli ebrei sono chiamati “il canarino della miniera”.
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