Medio Oriente, l’incognita resta Erdogan Analisi di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 19 gennaio 2025 Pagina: 3 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Medio Oriente, l’incognita resta Erdogan»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/01/2025, a pag. 3 dell'inserto Longform, con il titolo "Medio Oriente, l’incognita resta Erdogan", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Una strategia in tre tappe per trasformare il Medio Oriente da culla dei conflitti a perno di una rinnovata proiezione globale degli Stati Uniti: questo è l’intento del nuovo presidente, Donald Trump, che per riuscire fa leva su un’idea di leadership basata, come ripetono i collaboratori, sulla «minaccia dell’uso massiccio della forza economica e militare» per siglare intese e superare resistenze. Le tappe sono quelle che Trump ha indicato in una raffica di dichiarazioni tese a preparare il terreno con avversari e alleati affinché non vi siano dubbi sulle sue intenzioni: fine della guerra a Gaza, intesa Israele-Arabia Saudita e neutralizzazione del nucleare dell’Iran.
Il momento iniziale è l’accordo sul cessate il fuoco a Gaza perché, sebbene fragile, serve a innescare un percorso più ampio per allontanarsi dalla guerra regionale innescata dal pogrom jihadista del 7 ottobre 2023 e riprendere il cammino degli Accordi di Abramo – siglati nel 2020 da Israele con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco durante il primo mandato di Trump – al fine di estenderli all’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman, leader dei sunniti, portando alla normalizzazione dei rapporti con Israele.
L’intesa Gerusalemme-Riad si propone di cambiare l’assetto, strategico e economico, del Medio Oriente ed è complementare alla terza tappa: ridimensionare l’Iran, obbligandolo a rinunciare – con le sanzioni economiche o un intervento militare – al programma nucleare considerato da Trump il maggior fattore di pericolo, a causa dei legami fra la Repubblica Islamica e più organizzazioni terroristiche. Se dunque Hamas ha lanciato l’attacco del 7 ottobre per impedire l’intesa Riad-Gerusalemme, favorendo Teheran, ora Trump vuole riprendere quel cammino, anche per tentare di aggredire l’irrisolta questione palestinese almeno con una soluzione “in più tempi” come suggeriscono alcune persone attorno a lui.
L’intento di fondo è ambizioso perché il 47° presidente Usa ha in mente un Medio Oriente dove gli Accordi di Abramo diventino il pilastro di un’intesa a più dimensioni. Sul fronte della difesa dando vita a un patto di sicurezza comune fra Israele e Paesi sunniti sul modello della Nato. Sul fronte interreligioso innescando una stagione di dialogo fra Islam, Ebraismo e Cristianesimo capace di rovesciare la dinamica della violenza jihadista. E sul fronte dell’economia rendendo possibile l’integrazione fra le risorse delle monarchie del Golfo e la tecnologia di Israele al fine di realizzare il progetto di infrastrutture “I2U2” – acronimo di Israele, India, Usa ed Emirati Arabi Uniti – creando un corridoio di scambi e sviluppo da Mumbai a Haifa, attraverso la Penisola arabica, per realizzare un’alternativa tanto alla Via della Seta promossa da Pechino quanto alla dorsale Golfo- Iran-Russia-Artico a cui lavora il Cremlino. È questa prospettiva di sviluppo integrato regionale, che lega stabilità e commerci, a spiegare la determinazione con cui Trump si è impegnato per la tregua a Gaza dopo aver ottenuto il cessate il fuoco in Libano fra Hezbollah e Israele. Sempre in stretto coordinamento con l’amministrazione uscente di Joe Biden.
La posta in palio non potrebbe essere più alta: trasformare il Medio Oriente in un polmone della crescita globale fra il motore dell’India e i mercati di Europa e Nordamerica. Tutto ciò offre un ruolo attivo agli alleati europei: non solo per contribuire con le loro forze alla stabilizzazione delle aree a rischio – Gaza, Libano e Siria – ma anche per essere protagonisti del corridoio “I2U2” moltiplicando lo scambio di beni e servizi con l’India partner privilegiato al posto della Cina. Per non parlare delle risorse, dal gas naturale al greggio, dall’alta tecnologia alla desalinizzazione. Il progetto Trump però include rischi: gli ostacoli più prevedibili vengono da Teheran, Pechino e gruppi jihadisti ma c’è anche l’incognita di Recep Tayyip Erdogan. Perché il leader turco, partner della Nato, ha una propria ambizione egemonica sul Medio Oriente, espressione dei Fratelli musulmani rivali dei sauditi e avversari di Israele, che non prevede compromessi. E potrebbe tentare di cavalcare l’irrisolta questione palestinese per ostacolare e condizionare le mosse di Trump.
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