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La Stampa Rassegna Stampa
18.01.2025 Ostaggi (forse) ritorno a casa dei sopravvissuti
Cronaca di Fabiana Magrì

Testata: La Stampa
Data: 18 gennaio 2025
Pagina: 6
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: «Ritorno a casa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/01/2025, a pag. 6, con il titolo "Ritorno a casa", l'intervista di Fabiana Magrì.

Fabiana Magrì
Fabiana Magrì

Da domani, domenica 19, inizia il cessate-il-fuoco con la liberazione dei primi ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Saranno vivi? Inizia anche l'angoscia delle famiglie in attesa dei loro cari.

Ci sono tre famiglie in Israele che, ieri sera, potrebbero aver spezzato per l'ultima volta il pane dello shabbat senza i loro cari. Solo oggi sapranno di essere loro, quando Hamas fornirà ai negoziatori i nomi dei primi tre ostaggi che saranno rilasciati domani. Fino a quel momento, la loro identità non sarà resa pubblica da Israele. Fino a quando i rapiti, a bordo dei pickup della Croce Rossa Internazionale, vettori di Hamas come a novembre del 2023, avranno varcato il confine tra Gaza e Israele. Dove? Fino all'ultimo minuto sarà un'altra incognita. Dipende dal percorso di rilascio. Le possibilità previste dall'esercito sono tre, lungo il confine con la Striscia, dove sono state allestite le strutture di accoglienza: alla base di Reim, al valico meridionale di Kerem Shalom e a quello settentrionale di Erez. Da lì, gli ostaggi saranno scortati negli ospedali, dove incontreranno le famiglie. Lo Sheba Medical Center ha curato ogni dettaglio: colori pastello, salottini, soprammobili con la scritta "Love", cuscini a forma di cuore e poster con scritto «Che bello che siete tornati a casa». Coccole prima ancora che cure. In un ambiente caldo e confortevole, i sopravvissuti riceveranno «vestiti nuovi e freschi, prodotti per l'igiene, pasti bilanciati sulle loro condizioni», anticipa il portavoce della struttura sanitaria.

Il copione, se tutto andrà per il meglio, scandirà le sei settimane di tregua. Altri quattro ostaggi dovrebbero essere liberati il 26 gennaio. Poi di nuovo tre ostaggi il 2, il 9, il 16 e il 23 febbraio. Infine, gli ultimi 14 rapiti sono attesi, tutti insieme, il 2 marzo alla scadenza della prima fase di 42 giorni. Tra loro, nessuno sa chi siano i vivi e chi i morti anche se Israele nutre una discreta dose di speranza (e di intelligence) che la maggior parte di loro torni a casa per riabbracciare la famiglia. L'accordo prevede che al settimo giorno dall'avvio del cessate il fuoco Hamas fornisca informazioni complete sullo stato di tutti i nomi della lista. Israele ha chiesto che siano i sopravvissuti a essere restituiti per primi.

«Ognuno di loro è un mondo», è la frase che spesso dicono i sostenitori della campagna per il rilascio degli ostaggi. Ma è innegabile che alcune storie abbiano toccato corde profondissime e speciali nell'opinione pubblica globale. I due fratellini pel di carota, tanto per cominciare. Kfir e Ariel Bibas sono gli unici due minori a non essere stati liberati nella prima tregua. I palloncini arancioni, ispirati al colore dei loro capelli, sono diventati il simbolo dell'infanzia seviziata e di ogni manifestazione in loro onore. Le dieci giovani donne, tutte tra i 19 e i 33 anni. Tra loro le cinque sentinelle soldate, rapite dalla base militare di Nahal Oz, ferite e sotto choc nei video girati da Hamas. La più giovane, Liri Elbag era arrivata in caserma da due giorni. Naama Levy ha perfino tentato di comunicare con i terroristi, di convincerli a lasciarle andare con l'approccio puro e ingenuo di una ventenne: «Ho amici in Palestina». Altre cinque sono donne civili. Tra loro Shiri Silberman Bibas, la mamma di Kfir e Ariel. Anche il marito, Yarden, è sulla lista. Romi Gonen è una degli ostaggi del Nova ed è stata vista viva a Gaza da altri rapiti che sono tornati. Dal festival nel deserto sono stati portati via anche Eliyah Cohen, Or Levy, Omer Shem Tov e Omer Wenkert, quattro giovani uomini che potrebbero essere liberati - vivi o morti - nel corso della prima fase dell'accordo. Emily Damari è l'unica cittadina britannica rimasta a Gaza. Sagui Dekel-Chen è uno dei tre americani che si pensa siano ancora vivi nelle mani di Hamas. Sasha Trufanov, invece, è l'unico russo. Nella lista ci sono anche Hisham Al-Sayed, beduino arabo, e Avera Mengistu, etiope-israeliano, entrambi entrati volontariamente a piedi a Gaza, rispettivamente nel 2015 e nel 2014, ma poi mai lasciati liberi di tornare indietro. Tornerebbero quindi in Israele dopo dieci anni in cattività.

Saranno 65 gli ostaggi oggetto delle successive fasi dell'accordo, ancora da negoziare. Le voci registrate, metalliche, di Michel Illouz che parla al telefono con il figlio Guy, 26 anni, rapito il 7 ottobre del 2023 durante l'irruzione di Hamas al Nova Festival, riecheggiano nella piazza degli Ostaggi a Tel Aviv. È l'ultima conversazione di un padre con il figlio. Una telefonata sussurrata, per paura che i terroristi lo individuassero, nascosto tra i cespugli nel deserto. Il ricordo di Guy, ferito e preso prigioniero, poi morto in un ospedale di Gaza, continua a vivere in quella breve registrazione sonora. Rimpianto, e allo stesso tempo consolazione. «Questo accordo - dice Illouz padre - arriva troppo tardi per mio figlio Guy. Non gli salverà la vita. Ma può riportarlo a casa per una degna sepoltura».

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