Rafforziamo le difese contro Hamas Analisi di Amedeo Ardenza
Testata: Libero Data: 18 gennaio 2025 Pagina: 16 Autore: Amedeo Ardenza Titolo: «Israele aspetta gli ostaggi ma deve riaprire le carceri Bibi: rafforziamo le difese contro l’ingresso di Hamas»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 18/01/2025, a pag. 16, con il titolo "Israele aspetta gli ostaggi ma deve riaprire le carceri Bibi: rafforziamo le difese contro l’ingresso di Hamas", la cronaca di Amedeo Ardenza.
Nella lista degli ostaggi che dovrebbero essere liberati domani ci sono anche i due fratellini dai capelli rossi, Ariel e Kfir Bibas. Ariel ha cinque anni e Kfir solo due. Il suo compleanno è oggi, il 18 gennaio. Due anni, ovvero 730 giorni, 470 dei quali vissuti da prigioniero. Forse in un tunnel al buio. Pochi mesi dopo il loro sequestro avvenuto durante il pogrom del 7 ottobre 2023 era circolata la voce, poi ritirata, che i due fratellini erano morti.
E Hamas, gruppo del terrore che si alimenta della morte dei propri martiri, di quella dei palestinesi di Gaza usati come scudi umani e soprattutto della morte violenta degli ebrei, sa essere crudele anche mentre patteggia una tregua: a oggi non è dato sapere chi e quanti dei 33 ostaggi in via di liberazione nei primi 42 giorni della tregua (la cosiddetta fase uno) sono vivi o morti.
LA DESTRA CONTRARIA
Ieri il gabinetto di sicurezza in Israele ha approvato a maggioranza l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza, sollecitando il governo a fare lo stesso.
Hanno espresso voto contrario i ministri Itamar Ben-Gvir (Pubblica sicurezza) e Bezalel Smotrich (Finanze), favorevoli a riprendere le ostilità contro Hamas alla fine dei 42 giorni pattuiti. Una posizione condivisa da tanti nel Paese: se tutti gli israeliani sperano nel rientro degli ostaggi, il timore è che Hamas approfitti della tregua per riorganizzarsi e riarmarsi, rendendo vana la morte di 407 militari caduti dall’inizio delle operazioni di terra a Gaza a fine ottobre 2023.
Consolidata una tregua di durata, anche sotto il profilo diplomatico per Israele sarebbe più difficile giustificare la ripresa del conflitto. Oltre che di tregua, il gabinetto presieduto dal premier Benjamin Netanyahu si è occupato di sicurezza in Cisgiordania. Secondo l'emittente Kan, «sarà aggiunto il seguente obiettivo di guerra: danneggiare in modo significativo le capacità delle organizzazioni armate in Cisgiordania e rafforzare la difesa e la sicurezza, ponendo l'accento sul mantenimento della sicurezza dei viaggi e degli insediamenti. Un apparente tentativo del premier di acquietare i ministri dissenzienti, popolari fra gli elettori degli insediamenti oltre la Linea Verde. Sempre con un occhio agli scricchiolii sul lato destro della coalizione, durante la riunione Bibi ha letto parti delle sue conversazioni con il presidente degli Usa Joe Biden e con il presidente eletto Donald Trump, spiegando di aver concordato su un punto: se i negoziati sulla seconda fase falliranno, Israele tornerà a combattere il gruppo terrorista.
Punto dolente è la liberazione dei detenuti palestinesi: ieri il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, ha presentato alcuni dati al gabinetto di sicurezza, spiegando che «l'82% di coloro che sono stati rilasciati nel 2011 nell’ambito dell’accordo per la liberazione di Gilad Shalit sono tornati al terrorismo» e che il 15% di loro ha compiuto attacchi dopo il rilascio. Ore dopo, il ministero della Giustizia ha diffuso la lista dei nomi dei primi 98 da liberare nel quadro dello scambio. La maggior parte dei prigionieri sulla lista sono donne, e solo un prigioniero sulla lista di età inferiore ai 18 anni al momento dell’arresto è stato condannato per omicidio, ha scritto la testata Ynet.
Sono però mille i detenuti che Israele dovrà liberare nel quadro dell’accordo etra questi non mancano i condannati per omicidio.
Come ha scritto il politologo statunitense Daniel Pipes, sono ormai 15 mesi che Netanyahu cerca di seguire due priorità incompatibili: distruggere Hamas da una parte e liberare gli ostaggi dall’altra, il che comporta però un accordo con Hamas. Solo nelle ultime settimane, però, Bibi ha acconsentito a una tregua.
Perché? «Perché ha paura di Trump», prosegue Pipes, secondo cui le minacce del presidente eletto a Hamas – «se non restituite gli ostaggi scatenerò l’inferno» – sarebbero solo di facciata.
SHABBAT INTERROTTO
Ma il suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, «ha obbligato Netanyahu a interrompere lo Shabbat per un incontro in cui è stato costretto ad accettare un piano che aveva ripetutamente rifiutato nell'ultimo semestre». Bibi, insomma, si sarebbe a lungo opposto al timido presidente Joe Biden per cedere al “cowboy” Donald Trump, che può insediarsi rivendicando una tregua. Eppure, conclude Pipes, Trump dimentica che «l'accordo libera molte centinaia di criminali islamici incalliti; quasi assicura la permanenza di Hamas a Gaza; aumenta il morale degli islamisti in tutto il mondo e umilia il principale alleato dell'Occidente in Medio Oriente».
Nel pomeriggio di ieri il governo si è riunito per dare luce verde all’accordo ma la seduta è cominciata con quattro ore di ritardo.
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