Testata: Libero Data: 13 gennaio 2025 Pagina: 1/5 Autore: Fausto Carioti Titolo: «Il prossimo bersaglio è il Giorno della Memoria»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/01/2025, a pag. 1/5 l'analisi di Fausto Carioti dal titolo “Il prossimo bersaglio è il Giorno della Memoria”
Fausto Carioti
Lunedì 27 gennaio, giorno della Memoria. Il pensiero di tanti ebrei italiani è già lì. L’attacco alla sinagoga di Bologna e le scritte in vernice rossa («Justice Free Gaza») lasciate dai manifestanti incappucciati nella strada dove c’è la sede della comunità ebraica hanno fatto scattare l’allarme. Il pericolo, la paura, è che persino il ricordo della Shoah si trasformi in un’aggressione contro gli ebrei e Israele. Il terreno è già stato arato nelle università e nelle strade, dai collettivi di sinistra e non solo: Netanyahu è come Hitler, Israele è uno Stato genocida, i «sionisti» che lo difendono sono suoi complici. L’ambasciatore di Israele a Roma, Jonathan Peled, avverte che quello avvenuto a Bologna è «un grave attacco antisemita, che deve essere condannato con assoluta fermezza». Chi ha incoraggiato certi comportamenti ha aperto un abisso.
Daniele De Paz, presidente della comunità ebraica di Bologna, non ci gira attorno: «Quello che succede qui non succede in nessun’altra città italiana. Il livello di tensione è troppo alto, siamo preoccupati. Il giorno della Memoria potremmo trovare un clima non adeguato per una simile ricorrenza istituzionale.
Che non è, ricordiamolo, una carezza al popolo ebraico, ma un impegno civico e civile che il nostro Paese assume rispetto alle responsabilità che ebbero anche l’Italia e il suo governo, promulgando le leggi anti-ebraiche». La situazione è tale, avverte De Paz, che «il 27 gennaio rischiamo di trovarci in situazioni nelle quali la parola “genocidio” non è più legata ai sei milioni di ebrei morti nei campi di sterminio, ma viene usata per parlare di altro».
A maggio il sindaco Matteo Lepore ha appeso la bandiera palestinese sulla facciata di palazzo d’Accursio, sede del Comune. L’amministrazione della rossa Bologna ha fatto la sua scelta di campo: la bandiera d’Israele non c’è, non c’era nemmeno dopo i massacri, i rapimenti e gli stupri del 7 ottobre. Del resto, se l’avessero esposta sarebbe stata bruciata subito dai collettivi di sinistra. Adesso il Comune prepara le celebrazioni per il giorno della Memoria, il calendario è ricco di eventi. «C’è un problema di coerenza, però», spiega De Paz. «Perché se si vogliono coinvolgere le comunità ebraiche immaginando che possano esprimersi in un modo o nell’altro sul conflitto israelo-palestinese, allora non può esserci risposta».
È il motivo per cui il primo gennaio la comunità ebraica bolognese ha scelto di non partecipare alla Marcia della Pace. «Ci saremmo trovati in forte disagio nel partecipare a una manifestazione che si è svolta proprio sotto la bandiera della Palestina appesa da Lepore», racconta De Paz. «Lì sventolavano altre bandiere palestinesi e ci sono stati interventi anche piuttosto duri da parte dei rappresentanti della comunità islamica, come quello del presidente dell’Ucoii, Yassine Lafram. Se qualcosa di simile, malauguratamente, dovesse ripetersi nel contesto della giornata della Memoria, sarebbe un problema enorme».
Il messaggio che arriva da Bologna dice che il lato oscuro della sinistra, nutrito da omertà, complicità e ammiccamenti, è diventato così grande che non può più nascondersi. Lì punta il dito anche Raffaele Fiano, ex parlamentare del Pd, presidente dell’associazione Sinistra per Israele: «Non ci sono cause giuste per attacchi antisemiti a una sinagoga», dice riferendosi alla manifestazione che era stata organizzata in solidarietà a Ramy Elgaml ed è finita con gli incappucciati che assaltavano via de’ Gombruti. Fiano chiede «una presa di coscienza collettiva sulla pericolosa diffusione di pulsioni antisemite ad un livello mai visto prima, e a noi», avverte, «interessa principalmente che lo faccia la sinistra».
Pochi, da quella parte, hanno la stessa onestà intellettuale. Il giornalista Gad Lerner scrive sui social network che «è semplicemente orrendo, spaventoso, che una manifestazione di solidarietà per il giovane Ramy sia stata usata a pretesto per assaltare la sinagoga di Bologna. E che su quel luogo di preghiera abbiano scritto “Giustizia per Gaza”».
Gli risponde David Di Segni, direttore di HaTikwa, il giornale dei giovani ebrei italiani: «È surreale cadere dalle nuvole dopo l’esplicito antisemitismo che questi gruppi hanno sempre dimostrato e manifestato a gran voce. Sarebbe ora di capire che non hanno alcuna intenzione di dialogare né di battersi per la pace».
Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, firma assieme a De Paz una dichiarazione durissima per commentare le parole con cui Lepore ha condannato l’assalto alla sinagoga: «Non bastano espressioni di vicinanza del giorno dopo come quelle del sindaco di Bologna. Serve una totale e sincera coerenza, che invochiamo da mesi e che invece è risultata mancante dinanzi al crescente dilagare di odio antiebraico». Quanto avvenuto nel capoluogo emiliano, avvisano, «preoccupa molto anche in vista del Giorno della memoria, per quanto essa verrà calpestata e sostituita con esplicitazioni di odio, violenza e distorsione».
La bandiera palestinese che il piddino Lepore ha appeso in segno di protesta contro il governo israeliano («perché restare in silenzio di fronte a questa violenza vuol dire accettarla») è diventata così il simbolo di un partito e di un’istituzione che anziché amministrare la città forniscono la giustificazione ideologica a chi aggredisce i simboli di Israele e dell’ebraismo. Victor Fadlun, presidente della comunità ebraica di Roma, si unisce a De Paz e chiede a Lepore di «non esporre più in sedi istituzionali la bandiera palestinese, che nelle piazze italiane è diventata ormai simbolo e incitazione dell’odio anti-ebraico». Risponde l’assessore «alla educazione alla pace e alla non violenza», Daniele Ara, per dire che «la scelta di esporre la bandiera palestinese non ha nulla a che fare con l’odio, ma con una doverosa presa di posizione in favore del rispetto dei diritti umani». Continuano a non capire, a non vedere il mostro che hanno accudito.
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