Parla Jonathan Peled, ambasciatore d’Israele Intervista di Maurizio Caprara
Testata: Corriere della Sera Data: 17 dicembre 2024 Pagina: 13 Autore: Maurizio Caprara Titolo: «Se vincessero i nemici il prossimo bersaglio sarebbe l’Occidente»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/12/2024, a pag. 13, con il titolo "Se vincessero i nemici il prossimo bersaglio sarebbe l’Occidente" l'intervista di Maurizio Caprara a Jonathan Peled.
Maurizio Caprara
«Sulle prospettive per il Medio Oriente sono prudentemente ottimista. Sulle relazioni tra Israele e Italia assolutamente ottimista», dice il nuovo ambasciatore dello Stato ebraico a Roma. Jonathan Peled, 63 anni, è stato mandato a rappresentare il Paese governato dal conservatore Benjamin Netanyahu dopo aver ricoperto, tra l’altro, la carica di consigliere politico aggiunto di Shimon Peres quando lo statista di formazione laburista era ministro degli Esteri. A differenza del candidato originario per la sede di Roma Benny Kashriel, al quale non è stato dato il gradimento perché molto legato agli insediamenti in Cisgiordania, Peled è un diplomatico di carriera. Già maggiore dell’Aeronautica, abitava in un kibbutz della Galilea a soli 36 chilometri dal Monte Hermon sul cui versante siriano, due domeniche fa, soldati israeliani hanno innalzato una bandiera con la stella di Davide. Peled ha presentato le credenziali al Quirinale il 5 dicembre e questa è la sua prima intervista nel nuovo incarico.
Lei rappresenta uno Stato alle prese con una guerra a Gaza e una in Libano mentre in una nazione confinante, la Siria, è crollato un regime nemico e ci si interroga su come governeranno i ribelli islamici che ne hanno preso il posto. Per il 2025 cosa ha nella sua agenda uno che fa il suo lavoro?
«Dobbiamo riportare le relazioni tra Israele e Italia a prima delle stragi compiute da Hamas il 7 ottobre 2003, mentre si era concentrati su nuove tecnologie, spazio, energia, acqua. Apprezziamo molto la posizione avuta dal governo italiano dal 7 ottobre e la forte amicizia tra i rispettivi popoli. Adesso c’è da riprendere un forte flusso di scambi accademici, commerciali, tecnologici, politici. Per fine ottobre 2023 era previsto un incontro da noi tra i due governi. Non fu possibile tenerlo. Speriamo si possa nel 2025».
La Corte penale internazionale ha chiesto l’arresto di Netanyahu per crimini di guerra. Se il suo primo ministro venisse a Roma lei si aspetta che in Italia sarebbe catturato?
«Al momento non ci sono inviti sul tavolo. È una domanda ipotetica che andrebbe posta alle autorità italiane».
Israele il 7 ottobre 2023 è stato attaccato con ferocia, ma nella continuazione della guerra di Gaza la sua immagine è stata percepita negativamente in settori di larga parte dell’Occidente. Per invertire la tendenza suo avviso quali azioni servirebbero?
«Innanzitutto si dovrebbe distinguere tra il diritto di Israele all’autodifesa, la guerra che il Paese combatte per l’Occidente e anche per l’Italia, e la sua leadership politica. Non è un segreto che la nostra è una democrazia molto autocritica. Parti di Israele criticano il governo, tuttavia nessuno mette in dubbio che Israele stia facendo ciò che deve fare a Gaza e su un totale di sette fronti, dagli attacchi degli Houthi dallo Yemen a quelli di milizie irachene. Questa guerra la stiamo vincendo, però se non la vincessimo il prossimo nemico di chi ci attacca sarebbe l’Occidente».
Anche se i numeri di vittime forniti da Hamas sono difficili da verificare, a Gaza i palestinesi morti sono tanti.
«Proviamo rimpianto per ogni morte di innocenti. La popolazione civile non viene colpita intenzionalmente. Facciamo il nostro massimo per ridurre al minimo le vittime civili anche quando questi sono usati come scudi umani. La guerra è tragica e in guerra viene uccisa gente, sebbene incolpevole. Poi ci sono disinformazione, incitamento all’odio. Noi stiamo combattendo una guerra asimmetrica. Nessuna altra democrazia viene aggredita ai suoi confini da soggetti non statali, come Hamas e Hezbollah, che possono nascondersi tra la popolazione, non rispettare nostri valori, norme, prigionieri e civili né obblighi di moderazione o della Convenzione di Ginevra».
L’Italia ha un migliaio di militari nella Forza di interposizione delle Nazioni Unite in Libano, Unifil. Come potrebbe contribuire al consolidamento del cessate il fuoco o al mantenimento degli accordi di pace in Medio Oriente una volta raggiunti?
«L’Italia sta ricoprendo un ruolo costruttivo, ne può avere ancora dal “giorno dopo”. Sia come parte di Unifil, sia come membro di un comitato di coordinamento, sia nello sviluppo delle forze armate libanesi».
E Unifil, che negli ultimi anni ha potuto soltanto misurare l’espansione degli arsenali di Hezbollah, rimarrebbe com’è?
«Più che la quantità di personale da impiegare, il problema è che cosa deve fare, e questo non spetta a Israele stabilirlo. Certo, dovrebbe cambiare le sue regole di ingaggio e avere compiti più efficaci».
Ambasciatore, nei canali diplomatici quali spiegazioni ha dato dei colpi sugli italiani partiti da unità israeliane in Libano?
«Abbiamo reso molto chiaro che si è trattato di incidenti, e non di atti intenzionali. Non dimentichiamo che Hezbollah si nascondeva dietro le postazioni di Unifil».
Lei prevede che nel 2025 si occuperà di Iran?
«Dobbiamo essere sicuri che non disponga di armi nucleari e agiremo affinché le sue “guardie rivoluzionarie” vengano sanzionate per gli attacchi all’estero. Unione Europea e Italia, per noi, su questo sono importanti».
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare: 02/62821, oppure cliccare sulla e-amil sottostante