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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.12.2024 La retrovia iraniana
Analisi di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 dicembre 2024
Pagina: 11
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «La retrovia iraniana, le mosse di Erdogan: quali sono gli attori e gli scenari della crisi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/12/2024, a pag. 11, con il titolo "La retrovia iraniana, le mosse di Erdogan: quali sono gli attori e gli scenari della crisi" l'analisi di Guido Olimpio

Terrorismi» di Guido Olimpio in libreria - Corriere.it 
Guido Olimpio

Iran e Assad, un'alleanza di lunga data. Ma adesso? Tutto è di nuovo in gioco, si muovono Russia, Turchia e Israele per riempire il vuoto lasciato dalla ex dittatura. E si attendono le mosse di Trump, quando si insedierà il mese prossimo.

Un regime durato 54 anni, caduto in una dozzina di giorni, ora la necessità di rimpiazzarlo in un teatro geografico dove ognuno aggiunge o sottrae qualcosa contribuendo alla fragilità.

1 Quali passi hanno compiuto i ribelli?

Abu Mohammed al Jolani, leader del movimento dominante (Hts), procede con la transizione. Ha decretato l’amnistia per i militari ma ha promesso punizioni per gerarchi e torturatori. Ha insediato un primo ministro e aperto il dialogo con le altre fazioni nell’intento di evitare, almeno per ora, l’esplodere di tensioni che sono state accantonate in nome della vittoria.

Ha promesso regole di vita meno ortodosse sotto il profilo della religione islamica, gesto inevitabile per allontanare le paure della Sharia. È inseguito dal suo passato qaedista e dunque dovrà mostrare di avere sul serio rotto con quel periodo. Lo giudicheremo dai fatti, hanno avvisato molti governi con messaggi diretti. Al Jolani, oltre all’esame «straniero», ha davanti a sé una montagna di problemi economici, sociali, di vita quotidiana e di ordine pubblico.

2 Perché i curdi sono nel mirino?

Rappresentano il lato meno stabile. Hanno tre nemici: lo Stato islamico, le fazioni filoturche appaiate ad Ankara, una parte dei ribelli sunniti. Hanno un amico (per ora): gli Usa, che mantengono nel loro territorio avamposti. Devono anche fare i conti con realtà locali, clan tribali che possono cambiare casacca.

I curdi sono parte dell’Sdf, sigla che include anche combattenti arabi, e dispongono però di formazioni indipendenti. Vogliono difendere la loro enclave e il vincolo ideologico con i curdi di Turchia del Pkk presenti in questo territorio. Da giorni sono sotto attacco e indiscrezioni sostengono che siano stati costretti dagli americani a lasciare Manbij altrimenti avrebbero perso il supporto, mentre ieri si sono ritirati da Deir el Zor per la defezione dei loro alleati arabi passati con Hts.

3 Che obiettivi persegue Erdogan?

Ha diversi obiettivi: impedire la nascita del Kurdistan siriano (per questo insiste sull’integrità territoriale della Siria); usare le sue milizie come pedine o «agenti di influenza» nel Grande Gioco; confermare il ruolo di attore principale; far tornare a casa i 4 milioni di profughi siriani che ha accolto durante gli ultimi anni.

Le ricostruzioni sulla fine degli Assad non sono omogenee: una attribuisce a Erdogan il ruolo di ispiratore, una seconda — maggioritaria — insiste nel ritenere che si sia aggregato in una seconda fase. Certamente prima e dopo è stato protagonista del negoziato che ha coinvolto molti Stati e ha portato, alla fine, alla partenza del leader. L’interrogativo avanzato da molti esperti riguarda la sua capacità di controllare le iniziative dell’Hts.

4 Cosa cerca di fare Mosca?

È ancora in mezzo al guado. Ha accolto il dittatore e forse lo ha costretto a partire quando si è resa conto che era diventato un cadavere politico. Indiscrezioni sostengono che Assad avrebbe proposto di resistere nell’enclave a ovest, attorno alle basi russe, da Latakia a Hmeimim. Idea respinta.

Mosca, però, non ha perso le speranze di mantenere le installazioni militari e ha cambiato tono verso i vincitori: non sono più «terroristi» — ora li definisce gruppi armati — e ieri ha affermato che valuteranno se toglierli dalla «lista nera». In attesa di una soluzione ha fatto partire la flottiglia di sei unità che di solito sostava negli scali siriani. Il senso è che il Cremlino vuole recuperare terreno dopo l’umiliazione sofferta e ritiene che vi siano spazi di manovra. Magari non subito.

5 Come reagisce l’Iran?

I pasdaran sono infuriati per aver perso la loro posizione strategica e lo sono ancora di più per l’incompetenza dei soldati di Assad. Devono trovare il modo di aiutare l’Hezbollah non disponendo più di questa retrovia, useranno agenti e simpatizzanti rimasti in Siria, oscilleranno tra posizioni negative verso gli insorti e possibili contatti pragmatici, si appoggeranno per quanto possibile alle fazioni amiche in Iraq che hanno accolto numerosi «fratelli» fuggiti dopo la sconfitta. Secondo una tesi potrebbero accelerare, come risposta indiretta, il programma nucleare. Ma se lo fanno rischiano di fornire nuove munizioni a Donald Trump e Tel Aviv.

6 Perché Israele colpisce?

Ha voluto battere tutti sul tempo distruggendo «l’80 per cento dell’arsenale» siriano con raid massicci e creando una fascia di sicurezza occupando un altro pezzo del Golan. Afferma che si tratta di una missione temporanea, condizionata dagli sviluppi futuri. È scontata la paura di ritrovarsi una Siria jihadista. La zona cuscinetto serve per tenere lontani eventuali incursori e diventare strumento di pressione in qualche trattativa. Nell’epoca di missili e droni, però, la profondità ha minore rilevanza, il nemico ti colpisce comunque.

7 E la strategia degli Stati Uniti?

Anche gli Usa vivono una transizione, da Biden a Trump, leader con visioni differenti. The Donald non ha mai escluso un ritiro del piccolo contingente dalla Siria ma questo era prima che Assad venisse spodestato. L’amministrazione uscente ha confermato il patto con i curdi, ha proseguito nel contrasto dello Stato islamico e ha inviato numerose delegazioni parlando un po’ con tutti. Insegue la «stabilizzazione», è attenta ai passi dello schieramento ribelle. Tra poche settimane la «mina» finirà sul tavolo del neopresidente.

 

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