Netanyahu, un leader democratico Editoriale del Jerusalem Post
Testata: israele.net Data: 12 dicembre 2024 Pagina: 1 Autore: Redazione del Jerusalem Post Titolo: «Deposizione dell’imputato Netanyahu: un imperativo morale, un atto di responsabilità, un’affermazione dello stato di diritto»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'editoriale del Jerusalem Post dal titolo "Deposizione dell’imputato Netanyahu: un imperativo morale, un atto di responsabilità, un’affermazione dello stato di diritto".
Quella che è forse la saga legale più polarizzante della storia d’Israele ha preso martedì la sua piega più drammatica quando l’imputato n. 1, il primo ministro Benjamin Netanyahu, è salito sul banco dei testimoni per iniziare a difendersi nel processo penale a suo carico.
Il dramma del primo premier in carica chiamato a testimoniare in un processo a suo carico, sette anni dopo l’inizio delle indagini, è destinato a occupare la scena del discorso pubblico del paese per il prossimo futuro.
La deposizione di Netanyahu per difendersi dalle accuse di corruzione, frode e abuso d’ufficio – dopo anni di ritardi e battute d’arresto, compresa domenica scorsa quando alcuni ministri hanno tentato di posticipare la data della testimonianza a causa degli eventi in Siria – non è una mera formalità legale: è un imperativo morale, un gesto di responsabilità e una dimostrazione di rispetto per lo stato di diritto, che costituisce il fondamento della democrazia israeliana.
A quasi cinque anni dalla prima incriminazione, i procedimenti giudiziari in corso a carico del primo ministro hanno gettato un’ombra sulla governance di Israele, ma allo stesso tempo hanno messo in luce la tenuta democratica del paese.
Poche democrazie possono vantare la capacità di sottoporre un leader in carica, o anche un ex leader, a un esame giudiziario così rigoroso.
Questo processo è sia una macchia che un distintivo d’onore: una prova lampante di discordia interna, ma anche la prova di una magistratura pronta a chiamare il potere a rendere conto, un pilastro della società israeliana ritenuto sacro sin dai primi giorni di vita dello Stato.
La testimonianza di Netanyahu dovrebbe dare a ogni cittadino maggiore fiducia nelle istituzioni israeliane, dimostrando che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il primo ministro più longevo della nazione e tuttora in carica.
Nonostante le costanti grida di “caccia alle streghe” ogni volta che viene mossa un’accusa contro un membro qualsiasi della coalizione al potere, e in particolare il primo ministro, la democrazia israeliana continua a prosperare grazie al suo solido quadro giudiziario.
Pur non essendo perfetto, è un sistema che protegge dalla tirannia e impone al potere di rispondere dei propri atti, un sistema – non dimentichiamolo – che questo governo ha tentato di modificare radicalmente, quasi trascinando il paese in disordini civili prima del massacro di Hamas del 7 ottobre.
I critici potrebbero sostenere che la tempistica del processo, che coincide con l’impegno di Israele in una guerra su più fronti contro Hamas e Hezbollah e altri, nonché con sconvolgimenti regionali, è inappropriata.
Tuttavia, mettere in pausa il processo giudiziario minerebbe il ruolo della magistratura come arbitro imparziale della giustizia. Invece, il paese deve trovare un equilibrio, assicurando che il processo proceda in modo equo e dando al contempo la giusta priorità alle esigenze di governance e sicurezza di una nazione in guerra.
Sebbene sia imperativo che giustizia venga fatta nel nome della legge – e i due giorni in cui Netanyahu sarà in tribunale non dovrebbero distoglierlo troppo a lungo dalle esigenze di sicurezza di Israele – gli israeliani hanno esigenze molto più pressanti della quotidiana soap opera politica che esiste in questo paese.
Israele si è trovato sulla prima linea di sfide esistenziali, combattendo contro Hamas, Hezbollah e altri gregari iraniani e monitorando al contempo gli sviluppi in Siria dopo l’improvvisa caduta del regime di Assad.
Questo precario ambiente geopolitico del Medio Oriente richiede una saldissima attenzione da parte della leadership nazionale.
Il processo a Netanyahu rischia di distogliere l’attenzione da queste questioni urgenti, come dimostrano le recenti tensioni in tribunale e le controversie legali che hanno dominato i titoli dei giornali.
Israele è ancora un paese traumatizzato. Siamo ancora in attesa del ritorno di cento ostaggi nelle mani dei terroristi palestinesi. Stiamo ancora combattendo quotidianamente contro il feroce terrorismo di Hamas a Gaza e stiamo mettendo in sicurezza il nostro confine con il Libano per consentire ai cittadini del nord di tornare finalmente a casa.
La risoluzione del caso giudiziario è fondamentale per evitare un’ulteriore erosione della fiducia pubblica.
Per Netanyahu, testimoniare può rappresentare un momento decisivo in cui rispondere direttamente alle accuse, dissipare i dubbi e dare priorità alla stabilità nazionale rispetto alle battaglie legali personali, e nessuno meglio di Bibi sa stare su un palco a parlare.
I nemici giurati di Israele stanno osservando attentamente, come hanno fatto nei mesi precedenti il 7 ottobre, e qualsiasi percezione di caos interno potrebbe incoraggiare coloro che vorrebbero approfittarne.
Per decenni, Netanyahu si è posto come il garante della sicurezza e della prosperità di Israele. Ora deve impersonare quelle stesse qualità di leadership affrontando in modo trasparente le accuse mosse contro di lui.
Testimoniare in tribunale non solo gli consentirà di presentare la sua versione dei fatti, ma dimostrerà anche la sua fedeltà ai valori democratici che afferma di abbracciare.
(Da: Jerusalem Post, 10.12.24)
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