Libano: cristiani, facciamoci un nostro Stato Cronaca di Amedeo Ardenza
Testata: Libero Data: 10 dicembre 2024 Pagina: 3 Autore: Amedeo Ardenza Titolo: «Cristiani, facciamoci il nostro Stato in Libano»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 10/12/2024, a pag. 3, con il titolo "Cristiani, facciamoci il nostro Stato in Libano", l'analisi di Amedeo Ardenza.
Parigi, Bruxelles, Amsterdam, e ancora Vienna, Berlino, Helsinki, Londra e Istanbul. La fine del regno sanguinario di Bashar Assad fuggito a Mosca con i suoi famigliari ha scatenato la gioia dei profughi siriani in tante capitali europee. La Siria è distrutta e oltre metà della sua popolazione è rifugiata all’estero (l’altra metà è sfollata interna): è naturale che il crollo di un regime responsabile di morte e distruzione sia stato celebrato dai profughi siriani nel mondo. Dopo mezzo secolo di culto della personalità nel segno degli Assad, Damasco si dà nuovi padroni e un’orbita diversa. Fuori gli alleati dell’Iran sciita, dentro quelli della Turchia sunnita. Un cambio di cavallo che ha provocato reazioni di rilievo nei due paesi più vicini alla Siria: Israele e il Libano.
A Beirut si è fatto sentire Samir Geagea, leader delle Forze libanesi, partito politico cristiano maronita libanese riconducibile alla milizia omonima tra i protagonisti della guerra civile libanese (1975-1990). Ospite di MTV libanese, Geagea è partito dalla nuova situazione in Siria per mettere in guardia la milizia sciita libanese Hezbollah dall’intervenire nella crisi a Damasco con il pretesto di proteggere gli sciiti siriani. Al contrario, ha scandito il leader di Forze libanesi, è venuto il momento per Hezbollah di abbandonare la lotta armata e di diventare solo e unicamente un partito politico (come fatto in passato dalla formazione guidata da Geagea).
Il politico maronita non ha risparmiato critiche al governo di Beirut per non aver fermato Hezbollah oltre un anno fa, quando la milizia ha riaperto le ostilità contro Israele trascinando una volta ancora il paese dei Cedri in una guerra distruttiva contro lo stato ebraico. Quindi ha insistito sul bisogno di applicare l’intesa mediata dagli Usa che impone il disarmo di Hezbollah «in tutto il Libano, non solo a sud del fiume Litani: questo accordo è chiaro ed esplicito, e tutti devono aderirvi per garantire la sovranità dello stato libanese su tutto il suo territorio».
Secondo Geagea, le Forze armate libanesi (Laf) sono in grado di dare applicazione a quell’accordo. «Di certo non accetteremo un ritorno alla situazione prima dell'8 ottobre 2023», ha sottolineato ricordando la data in cui Hezbollah ha riaperto le ostilità contro Israele. Nelle sue parole qualcuno ha letto un ultimatum: o la situazione cambia o i cristiani maroniti disconosceranno le vacillanti autorità libanesi – il paese è privo di un presidente dal 2022 e il primo ministro è al potere per l’amministrazione ordinaria – creando una nuova entità. Occhi puntati dunque sul 9 gennaio, giorno in cui il presidente del Parlamento, lo sciita Nabih Berri, ha messo in agenda l’elezione di un nuovo capo dello Stato.
Più pragmatica la reazione di Israele: pur celebrando la fine dell’arco sciita che da Teheran passava da Damasco arrivando fino a Beirut, l’esecutivo Netanyahu ha dato ordine alle forze di difesa di prendere controllo «a titolo temporaneo» della zona cuscinetto fra il Golan e la Siria. Jet con la stella di Davide hanno poi bersagliato depositi di munizioni siriane per impedire ai jihadisti di servirsene. Ieri tre soldati israeliani sono stati uccisi da Hamas a Gaza mentre altri quattro hanno perso la vita mentre sgomberavano armi di Hezbollah in un tunnel nel sud del Libano.
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