'Prima uccidiamo quelli del sabato, poi quelli della domenica’ Newsletter di Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti Data: 09 dicembre 2024 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «'Prima uccidiamo quelli del sabato, poi quelli della domenica’»
Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "'Prima uccidiamo quelli del sabato, poi quelli della domenica’".
Giulio Meotti
1971- 2024: è finita la dinastia Assad in Siria.
Le dittature non finiscono mai bene e per quanto resistenti (come il comunismo sovietico 80 anni) hanno sempre una data di scadenza, figuriamoci le dittature familiari e con il 10 per cento di alawiti che tiranneggia sull’80 per cento di sunniti.
Incredibile che Damasco sia caduta in una settimana senza combattere. Come l’Iraq sotto l’avanzata dell’Isis e la Kabul “occidentale” di fronte ai Talebani. La guerra civile siriana aveva trasformato la Siria in un regime fantoccio controllato da Iran e Russia.
Dopo la caduta, la Siria seguirà le linee demografiche e la demografia, in Medio Oriente ma anche in Europa, è sempre a vantaggio dell’Islam. Forse il paese si dividerà in enclave etnico-religiose o forse potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra civile o, molto probabilmente, in una terribile combinazione delle due. L’unica cosa per cui il Medio Oriente non è noto è la stabilità. E il caos è l’unica cosa su cui puoi scommettere in Medio Oriente. E soltanto degli occidentali marci fino al midollo non vedono che Israele è l’unica nostra roccia in quel pezzo di mondo così decisivo per la storia, la religione, l’energia e il terrorismo.
Chi vince e chi perde da questo momento spartiacque? Sono più quelli che perdono e anche quelli che vincono hanno molto da perdere.
Perdono gli iraniani, che usavano la Siria come base e passaggio. Se la caduta di Damasco sarà il “momento Kabul” della Rivoluzione islamica è da vedere.
Perdono i russi, non soltanto le basi sul Mediterraneo, ma un alleato storico dopo il 1991.
Perdono i curdi, che hanno tutto da temere dall’avvento di un regime islamico e che erano i nostri unici autentici alleati in questa guerra fra barbari. Erdogan e l’Islam non lo sopportano questo piccolo popolo che arma le donne, che ha i capelli al vento, che lascia la religione nella sfera privata e che ci ha aiutato a distruggere l’Isis. Un appello su Le Figaro firmato dagli intellettuali francesi Pascal Bruckner, Bernard Kouchner e Stephane Breton afferma: “I curdi di Siria hanno sconfitto gli islamisti che hanno causato i peggiori attacchi della nostra storia. Quando giovani combattenti curdi con un coraggio ammirevole vengono catturati dai jihadisti, vengono torturati, sventrati e fatti a pezzi. Questa barbarie è insostenibile. I curdi sono i nostri unici alleati nella regione e hanno dimostrato la loro efficacia sul campo. Se li abbandoniamo, non ci sarà nessuno ad aiutarci a contenere nuove esplosioni terroristiche contro di noi. Infine, i curdi di Siria stanno costruendo una società democratica che rispetta il pluralismo etnico e confessionale e l’uguaglianza tra uomini e donne”.
Perdono i cristiani e tutti coloro che non vogliono vivere sotto la Sunna e la Sharia: donne senza velo, minoranze sessuali e religiose, persone libere e laiche. Il motto dei vincitori della rivoluzione è “gli alawiti nella tomba, i cristiani in Libano”.
Perde l’Europa, che non sa dire niente e che accoglierà non soltanto i rifugiati, ma i terroristi che useranno la Siria come base per la Jihad. Impressionante che l’Europa non abbia più alcuna politica estera.
Vince Erdogan, che finanzia l’insurrezione islamica e può aggiungere un pezzo al puzzle del suo “Erdoganistan”.
Vince il Qatar, che ha sempre armato i ribelli islamici siriani.
Vince l’Isis, che già sfrutta la situazione per ricostituirsi (all’apice del suo potere controllava un terzo della Siria).
Vince e perde l’America, che è lontana e non è toccata da eventuali scossoni geopolitici mediorientali, che vince nel breve termine per la caduta di un pezzo dell’“asse del male” ma che potrebbe presto essere costretta a reintervenire contro un’armata terroristica.
Vince e perde Israele: vince perché, dopo il colpo assestato a Hezbollah, viene meno uno storico alleato del khomeinismo. Perde, perché come scrive Herb Keinon sul Jerusalem Post, per l’enclave ebraica l’esito migliore sarebbe stato un Assad indebolito. E negli ultimi 30 anni, sul Golan c’è sempre stata una sostanziale “pace fredda”. Nessuno sa quello che può venire fuori da un regime islamico. Nel breve termine, divide et impera.
Vince, soprattutto, l’Islam politico. Assistiamo alla più grande fiammata islamica dal 2011, quando i Fratelli Musulmani salirono al potere in Egitto. Nelle strade della Siria si fa la rivoluzione al grido di “Allahu Akbar” guidata da ex luogotenenti di Al Qaeda e dell’Isis e sul cui leader pende ancora una taglia da 10 milioni di dollari da parte degli Stati Uniti. Se costruiranno una specie di Califfato sul Mediterraneo entreranno nella storia.
“Nelle rovine delle città come Aleppo, i cristiani che si rifiutano di convertirsi all’Islam venivano rapiti, giustiziati e decapitati dai ribelli islamisti”. Così scriveva dieci anni fa l’ambasciatore israeliano all'Onu Ron Prosor.
In Medio Oriente la storia si ripete sempre. “Vogliono restaurare il Califfato”, spiega Le Figaro. “Considerano i curdi e i cristiani come un’estensione dell’Occidente nelle terre musulmane”.
L’ultima volta non è finita bene. A Sadad, i cristiani sono finiti in fosse comuni nella piccola città a metà strada tra Homs e Damasco. “45 civili innocenti sono stati martirizzati senza motivo, tra loro donne e bambini, molti gettati in fosse comuni, altri sono stati minacciati e terrorizzati”, ha spiegato l’arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh, metropolita di Homs e Hama. Sadad è un antico villaggio risalente al 2000 a.C. con chiese, monumenti e siti archeologici.
Ma chi sono questi ribelli? Chi è il loro leader, Al Golani, così chiamato perché rivendica il Golan israeliano?
Ieri si chiamava Al Nusra, oggi si chiama Hayat Tahrir al-Sham (HTS), una propaggine di Al Qaeda. Curdi e cristiani hanno tutto da temere dall'avanzata degli islamisti, le cui comunicazioni online propongono il saccheggio e la distruzione sistematici dei villaggi cristiani e la schiavitù delle donne curde.
Asra Nomani spiega: “Perché la caduta della Siria è importante? L'escatologia islamica, o lo studio della profezia della ‘fine dei tempi’, ha due previsioni per la fine dei tempi, tra le tante: gli ebrei si nasconderanno dietro rocce e alberi in una battaglia con le forze del mahdi, o il ‘messia’ musulmano. Quando ho sentito che gli ebrei si sono nascosti dietro rocce e alberi il 7 ottobre per sfuggire ad Hamas, mi sono venuti i brividi. L’esercito del mahdi, il messia musulmano, verrà da Damasco. Al Jazeera, un braccio della propaganda per la Fratellanza Musulmana e gli islamisti, sta applaudendo perché la loro sharia ora governerà la Siria. Vedrete simpatizzanti islamisti negli Stati Uniti come applaudire il rovesciamento di Assad. Vogliono l’Islam al governo. Aspettatevi un regime talebano in Siria. La Siria passerà da una dittatura laica a una dittatura della sharia. Il popolo siriano NON conoscerà la libertà o la democrazia. Invece della tirannia di Assad, otterranno la tirannia islamica”.
Mark Dubowitz scrive: “Gli unici veri alleati di America e Israele nel conflitto siriano sono i curdi. Gli altri sono avversari: Erdogan, Assad, Putin, Khamenei, Hezbollah, le milizie sciite irachene e Golani. Il nostro fallimento nel sostenere i curdi nel corso degli anni è stato un grave errore”.
Ma vediamo chi ha preso il potere.
“I cristiani sono maiali. Non meritano di vivere”. Queste sono le parole di un ribelle islamista a un cristiano, Elia Gargous, rapito dalla milizia Al Nusra, al di fuori di Rableh, nella Siria occidentale. Furono portati al convento di Sant'Elia, a due miglia da Rableh. Lì, i cristiani guardarono impotenti mentre le icone venivano distrutte di fronte a loro. Gargous ha detto: “Ci hanno detto di convertirci, ma ci siamo rifiutati. Hanno ucciso persone davanti a noi”.
In una intervista su Al Jazeera, l’allora capo di Al Nusra, Al Golani, spiegò che futuro avrebbe atteso le minoranze religiose della Siria. Gli alawiti avrebbero dovuto “correggere i loro errori dottrinali e abbracciare l'Islam”. Ma non sono solo gli alawiti, cui Golani si è riferito usando l'espressione islamista “Nusayris”. Anche i Drusi devono essere emendati delle “insidie dottrinali in cui sono caduti”.
I jihadisti hanno massacrato intere famiglie: “Al Nusra ha attaccato villaggi cristiani, uccidendo solo le persone che erano nell'esercito e i cristiani; una donna fu massacrata e una croce le fu messa nella bocca”.
Oggi Golani dichiara che “la diversità è la nostra forza”, una frase che ricorda più i dipartimenti delle risorse umane occidentali che i signori della guerra jihadisti. Come i “Talebani inclusivi”, i jihadisti sanno come vendersi all’Occidente.
Ma le cosiddette “libertà” offerte ai cristiani, di cui vaneggiano anche alcuni vescovi, sono solo un miraggio: alla chiesa di San Giuseppe a Qunaya è consentito di dire messa, ma le croci sono state rimosse, insieme alle statue della Madonna, di San Giuseppe e di Sant'Antonio. Il suono delle campane è proibito.
Ovunque governi, Hayat Tahrir al-Sham impone le pattuglie della sharia, “Hisbah”, che picchiano e imprigionano le donne che violano l’abbigliamento islamico o vengono sorprese a viaggiare senza un uomo. A Idlib, nella città siriana che hanno governato per dieci anni, si lapidano le donne. Poi le decapitazioni dei bambini.
Una nuova fatwa è stata appena lanciata dagli ideologi islamici: “La politica della sharia e la neutralizzazione dei nemici è in linea con quello che fece Maometto quando neutralizzò gli ebrei”. Appena hanno assunto il controllo dell’aeroporto di Aleppo, gli islamici hanno distrutto tutte le bottiglie di alcol.
20.000 cristiani vivono ancora ad Aleppo e rischiano la vita.
Considerata la gravità della situazione, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha incontrato il patriarca siro-ortodosso Ignazio Aphrem II lo scorso 2 dicembre e rinnovato l'assicurazione dell'Ungheria di sostenere le comunità cristiane locali, alcune delle più antiche al mondo, che stanno subendo persecuzioni.
Perché le altre cancellerie europee tacciono?
Moralmente, c’è qualcosa di abietto nel non difendere, in una regione del mondo nota per la violenza e la religione, gli unici esseri umani che la pensano come te.
Dei due Metropoliti di Aleppo - il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco ortodosso Boulos Yazigi – non si è mai saputo più niente. Sono svaniti nel nulla, anticipando la scomparsa dei loro fedeli.
Il villaggio di Kanayé, sul fiume Oronte, governatorato di Idlib, è stato invaso dai miliziani islamisti che oggi marciano sulla Siria. Cosa abbiano fatto lo ha rivelato Giuseppe Nazzaro, il vicario emerito di Aleppo: “A Kanayé i miliziani salafiti e i jihadisti di ‘Jabhat al-Nousra’ hanno imposto al parroco di non suonare più le campane. Le donne non devono più uscire per strada a capo scoperto, ma devono essere velate. E se non obbediscono a tali ordini, la minaccia è il massacro. Ci troviamo dinanzi a quanto hanno già fatto nel villaggio vicino di Ghassanieh da oltre un anno. A Ghassanieh intimarono agli abitanti di lasciare subito il villaggio, altrimenti li avrebbero trucidati, e ottennero il risultato voluto: occupare il villaggio con quanto i cristiani possedevano. A Kanayé, non hanno imposto alla popolazione di andarsene ma di vivere secondo la legge islamica”.
Yohannes A. era in un convoglio diretto ad Aleppo. Il pulmino su cui trovava è stato fermato per strada da un gruppo di miliziani islamisti che hanno chiesto le carte di identità dei viaggiatori. I terroristi hanno notato che il cognome di Yohannes terminava con il suffisso “ian” lo hanno identificato come un armeno. Quando hanno scoperto che portava una croce al collo, uno dei terroristi ha sparato sulla croce, dilaniando il petto dell'uomo.
Il programma islamista ha uno slogan semplice ed efficace: “Prima il popolo del Sabato, poi il popolo della Domenica”.
Gli ebrei vivevano nei paesi arabi da 2.500 anni, a partire dalla “cattività babilonese”. Nel 1948, rappresentavano il 3,6 percento della popolazione in Libia, il 2,8 percento in Marocco e il 2,6 percento in Iraq. La loro posizione sociale variava nei diversi paesi. In Iraq ed Egitto alcuni ebrei avevano successo in occupazioni e professioni e svolgevano un certo ruolo nelle loro società; in Yemen e Marocco erano generalmente poveri. Pogrom si sono verificati in Libia, Siria, Marocco e soprattutto Iraq, dove nel giro di due giorni nel giugno 1941, a Baghdad, si è verificato un pogrom, noto come “Farhud”: sotto il regime filo-nazista di Rashid Ali al-Gaylani, 179 ebrei sono stati assassinati e 600 feriti. In Libia, nel 1945, gli islamici a Tripoli hanno ucciso più di 140 ebrei. In diversi altri paesi arabi gli ebrei sono stati assassinati, rapiti e perseguitati. I paesi della Lega araba decisero di togliere la cittadinanza ai loro ebrei. L’Iraq privò i suoi ebrei della loro cittadinanza nel 1950 e delle loro proprietà nel 1951. Egitto e Libia emanarono leggi secondo cui i “sionisti” non erano cittadini. Ignorarono gli ebrei che avevano vissuto in quei paesi per più di mille anni prima della nascita di Maometto. Con la creazione di Israele nel 1948, gli ebrei nei paesi arabi e islamici del Medio Oriente subirono spoliazioni, discriminazioni organizzate, violenze, attacchi e pogrom. Verso la metà degli anni ‘70 quasi tutti gli ebrei, più di 850.000, avevano lasciato quei paesi. I numeri più alti provenivano dal Marocco (265.000); Algeria (140.000), Iraq (135.000) e Tunisia (105.000). Quasi tutti i 55.000 ebrei che vivevano nello Yemen furono portati in Israele. 130.000 ebrei furono trasportati in aereo dall'Iraq a Israele. 600.000 degli oltre 850.000 ebrei dell’Islam sono andati in Israele.
Una rivolta araba di Aleppo del 1947 uccise dozzine di ebrei e distrusse centinaia di case, negozi e sinagoghe. Fu l’inizio dell’emigrazione di massa ebraica dalla Siria in Israele. All’epoca della guerra nel 1967 erano rimasti 1.000 ebrei. Andrèe Ruth Shammah, direttrice del Teatro “Franco Parenti” di Milano, una delle voci più originali della cultura italiana, è figlia di emigrati dalla Siria.
Ufficialmente, gli ebrei erano considerati “cittadini siriani”, ma sulle loro carte di identità c’era un marchio rosso in rilievo: “ebreo”. Potevano muoversi liberamente solo in un raggio di cinque chilometri dalle proprie abitazioni ed era loro proibito alienare beni immobili. Se un ebreo moriva, le sue proprietà passavano all’“ente governativo per gli affari palestinesi”. Gli ebrei venivano frequentemente censiti e sottoposti a controlli: irruzioni nelle case anche di notte, perquisizioni, torture.
Judy Feld Carr, ebrea di Toronto nata nel 1939, insegnante di musica, è la donna che ha organizzato la fuga di oltre 3.000 ebrei da Damasco, Aleppo e Qamishli verso Israele e in America, in una delle più incredibili operazioni di salvataggio dopo l’Olocausto. Tutto ebbe inizio a metà degli anni ’70. Una donna ebrea originaria di Aleppo che viveva a Toronto decise di tornare in patria a trovare il fratello rimasto laggiù. Tornò con una lettera, che consegnò alla Feld Carr. “Una lettera che mi sarei aspettata ai tempi della Shoah – ricorda la professoressa – Era stata scritta da tre rabbini della comunità: ‘I nostri figli sono i tuoi figli. Tiraci fuori da qui’ ricordo che diceva’”.
A quel tempo, il regime siriano non permetteva agli ebrei di emigrare e torturava quelli catturati che cercavano di scappare. Ci vollero due anni per far fuggire la prima persona, dietro pagamento di un riscatto. Il Canada non aveva un’ambasciata a Damasco, quindi fu difficile trovare il modo di corrompere gli ufficiali siriani. Quel primo rabbino siriano scappato era già stato imprigionato e torturato ed era malato terminale di cancro. Grazie a Judy, realizzò il sogno di bere un caffè in Israele con la madre. Poi espresse un desiderio: “Porta via dalla Siria mia figlia”. E così la canadese si diede da fare per la ragazza, che all’epoca aveva 19 anni (oggi vive a Bat Yam ed è nonna). Uno dopo l’altro, con il sostegno economico della comunità canadese, senza mai mettere piede in Siria, Judy ha fatto scappare 3.328 ebrei sui 4.600 che vivevano laggiù (la quasi totalità dei restanti riuscirà a fuggire con mezzi propri o con l’aiuto di Israele). Osservando le notizie che arrivavano dalla Siria dopo lo scoppio della guerra civile, i massacri, la scomparsa delle minoranze, Carr ha detto: “Non penso che gli ebrei sarebbero vivi oggi se quella comunità di oltre 3.000 fosse ancora lì. Te lo posso dire”.
Se gli ebrei fossero rimasti in Siria, avrebbero fatto la fine del cristiano Ninar Odisho, che si trovava nella città di al-Tabqah, da oltre un anno nelle mani dei ribelli islamici, quando è stato avvicinato da alcuni jihadisti, che dopo avergli puntato contro le armi hanno lasciato andare i suoi due amici, perché musulmani, mentre hanno pestato fino a ucciderlo Ninar, dopo aver appreso che era un cristiano.
Haïm Korsia, gran rabbino di Francia, ha invocato una reazione fraterna di fronte al dilagare dell’odio nei confronti dei cristiani e ha stabilito un paragone con la distruzione dell’ebraismo orientale: “Dove sono le comunità ebraiche un tempo così vive di Aleppo, di Beirut, di Alessandria, del Cairo o di Tripoli? Dove sono le scuole di Nehardea e di Pumbedita in Iraq? E dov’è il florido ebraismo di Esfahan e di Teheran? Nella nostra memoria. Scacciati, uccisi, decimati, perseguitati ed esiliati, i cristiani d’oriente vivono in prima persona la stessa condizione degli ebrei con cui hanno così a lungo convissuto e che hanno visto partire da quei luoghi”.
Possono prendersela con Israele quanto vogliono: i cristiani non saranno risparmiati. “Nel febbraio 2014 ho incontrato il capo della comunità ebraica in Egitto, Magda Haroun”, ha scritto il copto Samuel Tadros sul New York Times. “Oggi, mi ha detto, ci sono 15 ebrei rimasti nel paese, su una popolazione che una volta era di 100.000. La signora Haroun ha detto che aveva paura che i copti sarebbero presto seguiti. A quel tempo pensavo che la prospettiva fosse esagerata. Ma io stesso avevo lasciato il paese e così centinaia di migliaia di copti. La signora Haroun aveva ragione”.
Eccome, se aveva ragione.
Come Mosab Hassan Yousef, a questo punto spero soltanto che chi di dovere abbia distrutto per tempo le armi chimiche e biologiche che Assad ha nei suoi arsenali. Perché l’idea di un islamico barbuto che crede nell’invincibilità di Allah e nella conquista di Roma con le dita sopra un barile di gas non mi lascia affatto tranquillo. Non vorrei assistere un giorno alla scena della serie tv Jack Ryan in cui un islamista siriano sparge il sarin in una chiesa di Parigi.
Notre Dame val bene un attacco.
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