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La Stampa Rassegna Stampa
08.12.2024 Sulla frontiera con Siria: Israele, attacchiamo se si deve
Sulla frontiera tra Siria e Israele: Se i jihadisti attaccano, entriamo

Testata: La Stampa
Data: 08 dicembre 2024
Pagina: 7
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: «Sulla frontiera tra Siria e Israele: Se i jihadisti attaccano, entriamo»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/12/2024, a pag. 7, con il titolo "Sulla frontiera tra Siria e Israele: Se i jihadisti attaccano, entriamo", l'intervista di Fabiana Magrì.

Fabiana Magrì
Fabiana Magrì

Israeliani sul Golan, massima allerta. Se gli jihadisti dovessero attaccare il monte Hermon, l'IDF dovrà entrare nel conflitto siriano per combatterli.

«Quello laggiù, alla fine della strada, è il monte Hermon. A sinistra c’è il Libano. A destra, la Siria». Roni Fella, autista della compagnia Egged, dietro al volante dell’autobus numero 32 punta lo sguardo sullo spartiacque - dal giorno del cessate il fuoco fra Israele ed Hezbollah - tra il vecchio e il nuovo fronte della guerra iniziata il 7 ottobre del 2023 che, con un effetto domino, sta trascinando la regione. Tutti gli analisti concordano che l’indebolimento del Partito di Dio - con la sequenza di eventi dall’“operazione cercapersone” di fine settembre in poi - fa parte delle valutazioni che hanno portato alla decisione dei ribelli siriani di riaccendere la guerra civile, mentre i più grandi alleati del presidente Bashar Al-Assad sono presi da altri conflitti. «Per ora, i combattimenti li sentiamo soltanto», dice Chen Levi, il capo branco dei “lupi” - la sicurezza civile - del kibbutz Meitsar, a una manciata di chilometri dal confine tra Israele, Siria e Giordania. «Parliamo di una situazione iniziata un giorno e mezzo fa. Sentiamo esplosioni e il fuoco di armi leggere. I ribelli hanno preso tutta l’area vicino al confine. Non che ci siano grandi combattimenti. L’esercito siriano, da quanto ho capito, non oppone molta resistenza. Casomai, sta scappando», riporta il “lupo” di Meitsar, dal suo punto di osservazione. Voci che si rincorrono al di qua e al di là del confine. L’esercito siriano ha detto che si sta ridistribuendo nelle due province meridionali, Sweida e Daraa, fulcro dei disordini durante la Primavera araba del 2011. Da giorni, l’esercito israeliano sta rafforzando il confine del Golan. Le truppe della 210esima divisione Bashan del Comando settentrionale, responsabile del fronte con la Siria, stanno completando lavori di ingegneria sulla barriera tra Israele e Siria, in base a valutazioni ormai quotidiane, per «il rafforzamento delle difese nell’area e la preparazione per vari scenari», ha detto Tsahal. Nelle immagini di una esercitazione di ieri sulle alture del Golan, si vedono i soldati salire a bordo di un aereo cargo dell’aeronautica militare. Le forze ribelli siriane hanno detto di aver preso il controllo della città di Quneitra, che sfiora il confine con Israele Più a Nord, nell’area di Hader in Siria, miliziani armati hanno sferrato un attacco nei pressi di una postazione Onu, che le forze di Tsahal - ha confermato lo stesso esercito israeliano - hanno aiutato a respingere. La risposta sarà «forte», se i ribelli «si dirigessero nella nostra direzione”. L’ex portavoce dell’Idf, Jonathan Conricus su X, arriva a prevedere la necessità di un attacco preventivo se ci fosse una minaccia jihadista al Monte Hermon. 

«Non ci aspettiamo un’invasione dal confine siriano - precisa Levi - ma ci stiamo comunque preparando. Il 7 ottobre ci ha insegnato che tutto può succedere». Intanto le truppe israeliane restano posizionate nel Libano meridionale. Pronte ad agire «di fronte a qualsiasi minaccia allo Stato di Israele e ai suoi cittadini». Ancora lunedì scorso, cinque giorni dopo il cessate il fuoco, Hezbollah ha lanciato due colpi di mortaio nell’area del Monte Dov, verso le postazioni dell’Idf. Una risposta alle «ripetute violazioni» del cessate il fuoco da parte di Israele - ha accusato la milizia sciita libanese - che a sua volta ha portato a un’ondata di attacchi aerei di Tsahal. Scosse di assestamento che non impediscono agli israeliani delle aree evacuate nel Nord di sperare in un graduale ritorno alla normalità. «Più che un’aspettativa, è un desiderio», dice Fella - che dal kibbutz HaGoshrim dove vive non è mai andato via - mentre guida il bus 32 lungo le strade che collegano Kiryat Shmona con il kibbutz Gonen, sul limite delle Alture del Golan. Nei mesi più duri, sotto i bombardamenti quotidiani, gli autisti della Egged guidavano in assetto da guerra, sotto il peso dei giubbotti e del casco. «Ho 58 anni. Lavoro in Egged da 35. Mio padre ha iniziato nel 1957. Non ricordo una sola volta in cui abbiamo smesso di trasportare le persone». La compagnia è nata nel 1933, prima della fondazione dello Stato di Israele di cui gli autisti sono stati parte attiva. I primi autobus erano camion per le consegne britannici, modificati con l’aggiunta di panchine nella parte posteriore. Già allora Egged proteggeva i passeggeri facendoli viaggiare su mezzi blindati. In uscita dalla città a bordo del suo autobus viaggiano solo due colleghi. Devono imparare il percorso. A Kfar Blum si aggiunge un passeggero. Nessuno a Neot Mordechai. Fella ricorda le corse in solitaria. E le fermate d’emergenza a bordo strada, quando suonavano le sirene d’allarme, sdraiato per terra accanto all’autobus. Alla penultima fermata, nel kibbutz Lahavit Habashan, sale Tom, 17 anni. «Durante la seconda guerra in Libano mia madre era ancora piuttosto giovane e nessuno l’ha fatta evacuare. Per me non era nemmeno un’opzione», afferma con l’assertività dell’adolescenza. Nella stazione degli autobus di Kiryat Shmona sono ancora parcheggiati tre mezzi colpiti in pieno dagli ultimi razzi di Hezbollah sparati la notte prima del cessate il fuoco. Se la tregua durerà? «Dio solo lo sa - mette le mani avanti l’autista -. In Medio Oriente non puoi essere sicuro di nulla». 

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