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Linkiesta Rassegna Stampa
03.12.2024 La Siria mette in difficoltà Iran e Russia, e riscrive il futuro del Medio Oriente
Analisi di Gianni Vernetti

Testata: Linkiesta
Data: 03 dicembre 2024
Pagina: 1
Autore: Gianni Vernetti
Titolo: «La Siria mette in difficoltà Iran e Russia, e riscrive il futuro del Medio Oriente»

Riprendiamo da LINKIESTA, con il titolo "La Siria mette in difficoltà Iran e Russia, e riscrive il futuro del Medio Oriente", l'analisi di Gianni Vernetti.

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Gianni Vernetti
La Siria mette in difficoltà Iran e Russia, e riscrive il futuro del Medio  Oriente - Linkiesta.it
Le difficoltà di Bashar al-Assad, sostenuto dagli ayatollah, Putin e Hezbollah, sono una buona notizia perché potrebbero estendersi a Teheran e indebolire Mosca. Ma oggi l’alternativa al regime di Damasco è rappresentata da due gruppi islamisti.  L'Occidente dovrebbe aiutare i coraggiosi curdi invece di dimenticarli.

Quanto sta accadendo in queste ore in Siria è la conferma del crollo di un ulteriore tassello della proiezione geopolitica di Teheran in Medio Oriente. Dopo la sconfitta politica e militare di Hamas a Gaza e la distruzione delle capacità operative di Hezbollah in Libano è ora il turno di Bashar al Assad, il satrapo di Damasco, responsabile delle stragi di oltre mezzo milione di civili e di quasi dieci milioni di profughi in tutta la regione. Il regime di Bashar al Assad, è sopravvissuto alla guerra civile siriana grazie al sostegno militare di Russia, Iran ed Hezbollah, sostanziato dalla presenza di decine di basi militari dei tre partner nel paese, da costanti forniture belliche e da flussi economici e commerciali in violazione di tutto il sistema sanzionatorio messo in atto dalla comunità internazionale nei confronti di Damasco.

La riammissione poi della Siria nella Lega Araba nel maggio dello scorso anno, durante il vertice di Jeddah, ha rappresentato un’ulteriore fonte di legittimazione politica per il satrapo di Damasco in barba a ogni forma di legalità internazionale.

Alla principale organizzazione che riunisce i paesi arabi sono bastati soltanto dodici anni per far dimenticare al mondo una delle più grande tragedie che l’umanità ha conosciuto dal secondo conflitto mondiale: cinquecentomila civili uccisi e altri centocinquantamila scomparsi nelle carceri del regime; 6,6 milioni di rifugiati in Medio Oriente (di cui una parte rilevante in Turchia) e altri sei milioni di sfollati interni; ottantaduemila barili bomba lanciati contro ospedali, scuole, edifici religiosi; Aleppo e decine di altre città rase al suolo; trecentoquaranta attacchi documentati con armi chimiche; stupri ed eccidi di massa, torture; la nascita e la scomparsa del Califfato con la sua scia di morti e il genocidio degli yazidi; un’economia in caduta libera e il novanta per cento della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà; metà degli ospedali e delle scuole distrutte; settanta per cento della popolazione senza accesso all’acqua potabile.

Il rischio di un pericoloso new normal con l’ennesimo trionfo dell’impunità per una delle dittature più pericolose del pianeta è stato evitato dalla tempestiva reazione di Israele che distruggendo Hezbollah non ha soltanto evitato un secondo 7 ottobre in Galilea, ma ha innescato anche una positiva reazione a catena che sta giungendo fino alle porte di Damasco e, in un futuro non lontano, a Teheran.

L’occupazione del Kursk e la tenace resistenza ucraina lungo tutto il fronte, dalla regione di Donetsk a Kherson, ha fatto il resto, obbligando la Russia a ridurre drammaticamente il proprio impegno in Medio Oriente. In queste ore la Russia sta chiudendo in fretta e furia molte sue basi militari nella provincia di Aleppo, Hama e Deir ez-Zor per rifugiarsi e proteggere le basi di Tartus e Khmeimim nel Mar Mediterraneo, indebolendo la resistenza del regime e aprendo la strada alle milizie ribelli. Se da un lato la possibile caduta del regime di Bashar el Assad è un fatto estremamente positivo non sempre i “nemici dei miei nemici” possono essere considerati “nostri” amici.

Le tre forze che oggi stanno combattendo contro Assad, l’Iran e la Russia sono molto diverse fra loro. L’azione militare in corso è partita dalla enclave di Idlib oramai da più di dieci anni controllata dal gruppo salafita di Hay’at Tahrir al-Sham (Hts). Sono gli eredi del gruppo jihadista di Al-Nusra, la filiale siriana di Al-Qaeda, dalla quale si è autonomizzata realizzando una progressiva marcia di avvicinamento verso la Turchia di Erdogan. Le sue milizie sono quelle che hanno assediato e conquistato Aleppo in questi giorni.

Il secondo gruppo, la Syrian National Army (Sna), è sostanzialmente un proxy dell’intelligence di Ankara, è composto da formazioni turcomanne e dai resti di varie formazioni ribelli, molte di impostazione jihadista. Hanno in questi anni fatto il lavoro sporco per conto della Turchia contro le milizie curde nell’aree occupate dall’esercito di Ankara, l’enclave di Afrin e le aree a est di Kobane.

Il terzo gruppo sono le Syrian Democratic Forces (Sdf), la coalizione fra curdi, assiri, yazidi e tribù arabe del nord che controllano militarmente e governano da diversi anni pressoché tutta la Siria a nord dell’Eufrate con l’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria (Anees) e con il sostegno delle forze della Coalizione Globale contro l’ISIS.

L’area liberata da curdi e alleati è nota come il Rojava. Sdf ha mantenuto il controllo su alcuni quartieri di Aleppo (Eşrefiye e Shasmeqsûd) popolati dalla minoranza curda, e gli Stati Uniti hanno tutt’ora alcune basi militari delle forze speciali nel territorio da loro controllato.

In queste ore la Turchia di Erdogan sta giocando in Siria una partita doppia: da un lato sostiene le due realtà ribelli (Sna e Hts) contro il regime di Assad, anche se il cambio di regime a Damasco non è un suo obiettivo strategico, dall’altro tenta di indebolire le forze curde con la speranza di allargare le aree sotto il proprio controllo.

In questo contesto in rapido movimento, Stati Uniti, Europa e occidente dovrebbero evitare l’ennesimo errore di un disimpegno dal teatro siriano. L’impatto del conflitto in corso in Siria travalica naturalmente i confini del paese, sia per ciò che concerne nuovi e possibili flussi migratori, sia per le implicazioni geopolitiche più ampie su diversi fronti

Primo, la sconfitta dell’asse Russia-Iran-Hezbollah-Siria è un interesse strategico dell’Europa: l’indebolimento dell’asse delle autocrazie non potrà che produrre benefici sul teatro europeo, con una crescente difficoltà nelle forniture belliche fra Teheran a Mosca e con un indebolimento della presenza russa nel Mediterraneo oggi sostanzialmente centrata sulla grande base militare di Tartus in Siria

Secondo, è necessario incrementare il sostegno politico e militare alle forze curde e alleati nel nord della Siria. I curdi sono stati il migliore, e forse l’unico, vero alleato dell’occidente nella lotta contro il Califfato Islamico; sono una realtà democratica, tollerante e aperta con standard elevatissimi di rispetto delle donne e delle diversità; hanno tutelato le minoranze cristiane e Yazide dal genocidio e dal rischio di scomparsa totale; rappresentano un modello possibile di Islam secolare e tollerante di cui c’è un enorme bisogno.

Oggi i curdi hanno bisogno del nostro sostegno militare diretto, insieme all’apertura di rapporti politici fra l’Europa e l’amministrazione del Rojava. Terzo, la stabilizzazione della Siria è un nostro interesse strategico per iniziare a progettare il rientro di almeno una parte milioni di rifugiati, ancora presenti in Turchia e in Europa.

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