Il leader sindacale pompato dai media Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 19 novembre 2024 Pagina: 7 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Il leader sindacale è fuori di Meloni»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 19/11/2024, a pag. 7, con il titolo "Il leader sindacale è fuori di Meloni", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
L’attesa di Maurizio Landini è essa stessa Maurizio Landini. Tu stai lì ad aspettare che lui ne spari una grossa: ma, mentre attendi, lui ne ha già sparata una ancora più grossa.
Sempre più laterale nella vita reale italiana, ma sempre più pompato dai media. Sempre più povero di rappresentanza sociale, ma con il posto fisso (ultragarantito) in tv e sui giornali che lo intervistano per farsi dare la linea.
Linea – ahinoi – sempre più scombiccherata ed estremista, oltre che tecnicamente irresponsabile. Nei due sensi di quest’ultimo aggettivo: irresponsabile sia per la leggerezza con cui il capo della Cgil accende fuochi, sia perché nessuno gliene chiede conto. Semmai, è convocato dai media con lo spirito con cui ci si rivolge a un teatrante che metterà in scena un numero collaudato: una strillata generica contro il governo, una piazzata in favore di telecamera, il colletto della camicia aperto con sotto ben visibile la maglia della salute per far vedere che il nostro eroe non si è imborghesito nemmeno nell’abbigliamento.
Da oltre un mese, ne ha combinata una più grave del solito: con leggerezza parla e straparla di «rivolta sociale», e forse nemmeno si è reso conto del tipo di copertura politico-intellettuale che oggettivamente ha offerto a casinisti e rissosi di ogni risma.
Così, per metterci una pezza, prima ha reso il buco ancora più visibile, regalando l’altra settimana a Giorgia Meloni un libro di Albert Camus di cui palesemente Landini non ha capito niente. Il capo della Cgil deve forse essersi fermato al titolo L’uomo in rivolta, credendo di associare ai propri deliri piazzaioli quel grande pensatore antitotalitario. Poi, ieri sul Corriere, ha cercato un’altra uscita d’emergenza da quella gaffe, sostenendo di voler intendere – con «rivolta» – il «non voltarsi dall’altra parte rispetto alle disuguaglianze».
Ancora un po’ e vorrà farci credere che voleva dire «I care», una specie di reincarnazione di don Milani.
Ma, terminata quest’arrampicata sugli specchi, ecco che il segretario della Cgil ha consegnato al Corrierone la vera perla della giornata di ieri: «Quando la metà degli elettori non va a votare, dico che il governo non ha la maggioranza nel paese».
In un posto normale qualcuno gli avrebbe ribattuto: «Caro segretario, ma che dice?» o anche, passando a un tu romanesco -confidenziale, «Landini, ma che stai a di’». E invece no: con incredibile nonchalance, si consente al leader di un sindacato sempre meno rappresentativo (o meglio: rappresentativo soprattutto di tessere con rinnovo automatico a carico di pensionati o entro la cerchia più garantita del lavoro tradizionale, ma pressoché inesistente rispetto a disoccupati, sottoccupati, outsider) di stabilire lui – a piacere, anzi a sentimento – cosa possano fare Governo e Parlamento e cosa no, chi abbia la legittimazione democratica e chi ne sia privo.
Roba da matti.
E tutto questo – in termini di metodo – travolge perfino ogni considerazione di merito: cioè la palese irragionevolezza di un sindacato che urla quando l’occupazione va bene e mentre il governo taglia le tasse proprio ai ceti più bassi e ai lavoratori a stipendio meno elevato.
Si dice: ma gli stipendi restano bassi. Vero, anzi verissimo, purtroppo: ma dov’era la Cgil nei lunghi anni, dal 2008 a oggi, in cui i salari reali sono rimasti al palo?
La verità è che una discussione nel merito la Cgil non può permettersela: sarebbe asfaltata in primo luogo dai lavoratori. E allora è decisamente più comodo buttarla in caciara, scegliere l’estremismo verbale (a favore di telecamera). Ma resta il punto di fondo: è sano, è fisiologico, è igienico alzare i toni in questo modo, ricorrere dolosamente a un linguaggio estremista, caricare il discorso pubblico di rabbia? E dopo cosa si vuole fare? Da ragazzi, ci fu insegnato che, quando si apre una vertenza politica o sindacale, bisognerebbe almeno avere un’idea di uscita, una o più soluzioni possibili, preparare degli scenari ragionevoli.
Qui a cosa si punta, di grazia?
Si cerca l’incidente? Si insegue deliberatamente lo scontro?
Se ancora esistono teste fredde e lucide a sinistra, si facciano sentire. E invitino Landini a qualche turno di silenzio, di riposo, di riflessione.
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