La dedica di Miriam Rebhun Recensione di Giorgia Greco
Testata: Informazione Corretta Data: 11 novembre 2024 Pagina: 1 Autore: Giorgia Greco Titolo: «La dedica di Miriam Rebhun»
La dedica Miriam Rebhun
Giuntina Euro 16,00
Segnalato dalla rivista Il Libraio fra le novità letterarie da non perdere, l’ultimo libro di Miriam Rebhun, “La dedica”, pubblicato da Giuntina nella collana “Vite”, rivela ai lettori l’incredibile storia della sua famiglia che si arricchisce con questa terza opera di un nuovo tassello e rende testimonianza del destino di uomini e donne che gli eventi drammatici della Seconda Guerra mondiale hanno disperso fra Israele ed Europa. Testimone di seconda generazione, attiva nei progetti didattici che riguardano il Giorno della Memoria, l’autrice che vive a Napoli dove ha insegnato Italiano e Storia negli istituti superiori, ha esordito nel 2011 con “Ho inciampato e non mi sono fatta male” (L’Ancora del mediterraneo) seguito nel 2015 da “Due della Brigata” (Belforte editore) in cui attraverso i racconti di familiari, la lettura di lettere, analisi di documenti militari e diari ripercorre le tappe della vita del padre Heinz e dello zio Gughy, due giovani nati in una famiglia della borghesia ebraica di Berlino nel 1918 e costretti a fuggire in Israele dalla Germania nazista.
A questi due pregevoli lavori si aggiunge ora un nuovo gioiello letterario che completa e arricchisce la storia della famiglia Rebhun riallacciando fili di cui non si conosceva l’esistenza in una narrazione coinvolgente che appassiona il lettore, lo tiene avvinto alla pagina più di un romanzo e, come a volte accade, la realtà supera di gran lunga la fantasia.
Il libro si apre con un enigma. Sul sito che raccoglie le biografie dei caduti di Israele Noa, nipote di Gughy, trova una dedica nella pagina riservata al nonno: “Sono Daphna, ho settantasei anni e sono tua figlia. Vivo a Berlino, ora sono in viaggio in Israele e penso a te”.
Interpellata dalla nipote israeliana che vorrebbe capire chi è Daphna, Miriam Rebhun prende coscienza che forse da qualche parte a Berlino vive una cugina di cui lei ignorava l’esistenza e che – scrive - “scompiglia la storia che per circostanze fortuite e con impegno caparbio ho ricostruito nel corso degli ultimi venti anni grazie a documenti, testimonianze, lettere e foto, una storia che mi sembrava conclusa, ma che forse, comincio a pensare, riserva ancora delle sorprese …”
Infatti le sorprese non mancheranno per l’autrice e anche per il lettore che pagina dopo pagina seguirà con commozione e stupore l’evolversi degli eventi, dalla Shoah alla nascita dello Stato di Israele, da Napoli a Kiryat Chaim, un sobborgo di Haifa, passando per Ra’anana, Rosh Hanikrà fino a Berlino dove il cerchio si chiude con la nascita di un nuovo prezioso legame di “sorellanza”.
Fin dalle prime pagine l’autrice ricorda il percorso compiuto dal padre Heinz e dal gemello Gughy, serio e assennato il primo, di carattere più vivace e “sciupafemmine” il secondo. Fuggiti dalla Germania nazista, arrivano in Palestina, entrano a far parte del Royal Army nel 1940, vengono trasferiti con i loro battaglioni: Heinz in Italia dove incontrerà a Napoli Luciana, Gughy prima in Francia poi in Grecia. Tornati in patria carichi di esperienze e all’oscuro del destino dei genitori ricominciano a vivere nel paese che hanno scelto fra impegni di lavoro e legami familiari. Nel 1946, mentre Gughy si separa dalla moglie Sima che gli aveva dato una figlia, Ilana, e ha già una nuova fidanzata Chaja, Heinz di temperamento più pacato si è sposato a Napoli con Luciana, una giovane donna coraggiosa e innamorata che con in braccio la piccola Miriam appena nata raggiunge, non senza difficoltà, il marito in Erez Israel trovando una sistemazione in un sobborgo di Haifa. La situazione politica in Palestina evolve in pochi mesi in modo drammatico anche per i gemelli Heinz e Gughy: il primo viene colpito da un cecchino arabo mentre si reca al lavoro su un autobus, l’altro muore nella battaglia di Latrun durante la Guerra di Indipendenza.
Di molti fatti ed eventi familiari Miriam viene a conoscenza grazie alle lettere scritte dal padre alla madre Luciana che le ha sempre parlato con affetto di Heinz, oltre a quelle che scriveva in ebraico all’amico Avraham Blum di cui entra inaspettatamente in possesso solo nel 2017. Pagina dopo pagina seguiamo l’autrice nella sua caparbia ricerca di Daphna e in questo percorso così appassionante conosciamo il destino tragico dei nonni paterni, Frida e Leopold, ricostruito attingendo a documenti e a ricerche in internet ma anche grazie a incontri inaspettati che danno vita a nuovi preziosi legami.
Alla morte di Heinz Luciana torna a Napoli dalla famiglia ma conserva rapporti epistolari con la cognata Chaja che nel frattempo aveva avuto un bimbo, Chanoch.
Solo nel 1962 in un viaggio in Israele con la mamma Miriam conosce i cugini Ilana e Chanoch, ma di Daphna non poteva immaginare l’esistenza…
Tuttavia, quel messaggio enigmatico scovato dalla nipote Noa scuote Miriam “mette in moto qualcosa. Risveglia l’istinto. Sollecita la curiosità.”
Se ricostruire vite scomparse lavorando sui documenti era un modo per non far cadere nell’oblio persone che avrebbero voluto vivere e che non avevano potuto far sentire la loro voce, ora, partire da quella dedica misteriosa e trovare chi l’ha scritta è per l’autrice un progetto che si volge al futuro “un’eventualità imprevista che può avere ancora un impatto sulle nostre vite”.
Nonostante il supporto di amiche concrete e combattive per Miriam non è una ricerca facile perché si deve confrontare con lo scoglio della lingua, oltre che con la sensibilità delle persone coinvolte: per Ilana e Chanoch che non hanno avuto un’infanzia serena e sono stati feriti dalle vicissitudini della Storia, apprendere ad un’età avanzata che potrebbero avere un’altra sorella è destabilizzante. Per questo Miriam, consapevole di avere avuto un padre amorevole, si approccia ai cugini che sono cresciuti senza la figura paterna con grande delicatezza e ogni parola, gesto, iniziativa sono improntati al massimo rispetto sia verso Ilana, dal carattere pragmatico, sia nei confronti di Chanoch, più schivo e taciturno.
A un certo punto in questa storia dove le coincidenze si sprecano accade la svolta che lascia tutti esterrefatti. E’ un ritrovamento familiare quello che la tenacia e la forza interiore di Miriam Rebhun hanno reso possibile dagli effetti dirompenti non solo sulle persone anziane che si ritrovano e imparano a volersi bene dopo tanti anni ma anche sui loro figli che raccolgono un’eredità difficile per diventare a loro volta testimoni di quanto i loro nonni e bisnonni hanno vissuto.
Perché Zakhor, ricorda! è un imperativo, un obbligo per tutti gli ebrei…
“La dedica” è un libro pieno di luce, di ottimismo e di speranza per il futuro delle nuove generazioni che ci ricorda che ogni persona racchiude in sé storie minuscole e immense che una volta ascoltate entrano a far parte della nostra vita, arricchendola. E le voci struggenti della famiglia Rebhun di cui l’autrice restituisce l’intensità con la potenza e la vividezza della sua scrittura non cessano di risuonare nella nostra mente ben oltre la fine del libro.