Il Presidente americano aveva spesso affermato il suo incrollabile sostegno allo Stato ebraico, arrivando talvolta a proclamarsi sionista. L'11 dicembre 2023, durante un ricevimento alla Casa Bianca in occasione della festività di Hanukkah, aveva dichiarato in tutta semplicità: “Non è necessario essere ebrei per essere sionisti. Io sono sionista”, aggiungendo: “Io amo Bibi” (Netanyahu). Nella stessa occasione aveva ribadito che “senza Israele nessun ebreo al mondo sarebbe al sicuro.”
Dopo il 7 ottobre, sotto la sua guida, gli Stati Uniti hanno fornito a Israele un notevole sostegno in numerosi settori. Un sostegno del valore di miliardi di dollari che è stato e che resta essenziale per la continuazione della guerra e per la difesa del Paese contro l'Iran.
Solo che, sotto l’influenza dell’ala sinistra del Partito Democratico, rispondendo all’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite, l’amministrazione americana ha scelto di dare priorità alla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza. Ha dovuto piegarsi all'ultimatum di Washington. Decine di camion avrebbero così trasportato ogni giorno tonnellate di farina, olio e altri materiali essenziali. I terroristi di Hamas, che erano sulla difensiva, hanno accolto con gioia questa ancora di salvezza che arrivava proprio al momento giusto. E che avrebbe loro consentito di continuare il conflitto. Tanto più che questi aiuti umanitari non sono stati accompagnati da alcuna contropartita. Non sarebbe stato possibile condizionarli alla liberazione degli ostaggi, soprattutto dei più piccoli, compreso quel bimbo dai capelli rossi che non aveva ancora un anno? Alla consegna delle spoglie di coloro che erano morti? Non se ne è nemmeno parlato. Si poteva almeno esigere che l'organizzazione terroristica autorizzasse la Croce Rossa a compiere la sua missione e a visitare finalmente gli ostaggi per verificare che fossero trattati in conformità con questa famosa legge della guerra umanitaria, autorizzazione negata allo Stato ebraico. Non è successo. Non si è neppure insistito che venissero date prove di esistenza invita alle famiglie in angoscia. Perché? Potrebbe essere che sia le Nazioni Unite, sia gli americani che gli europei buonisti fossero convinti che Sinwar non avrebbe ceduto di un centimetro e che, insistendo su tali misure, avrebbero ritardato il momento in cui questo soccorso umanitario avrebbe raggiunto i neonati palestinesi, i bambini e l’intera popolazione palestinese di Gaza affamati dalla guerra – una guerra, ricordiamolo, iniziata dai loro leader eletti? E che non si poteva correre questo rischio per cercare di salvare poche decine di uomini e donne rapiti da Hamas e detenuti in condizioni disumane? Perché in fondo non si doveva almeno provarci? Si era così certi che i terroristi, spinti al limite, non si sarebbero arresi e non avrebbero dato qualcosa in cambio?
Non tentare nulla, comunque sia, significava prolungare il calvario degli ostaggi e condurre alla morte alcuni di loro, fornendo allo stesso tempo ai militanti di Hamas i mezzi per continuare a sottoporli a trattamenti disumani?
Oggi l’America di Biden minaccia di imporre un embargo sulle armi se Israele non aumenta gli aiuti alimentari ai palestinesi: senza alcuna contropartita, ciò significherebbe abbandonare al loro destino gli ostaggi ancora vivi che, indeboliti da un anno di prigionia, devono affrontare l’arrivo dell’inverno a cui molti rischiano di non sopravvivere.