Riprendiamo da LIBERO di oggi 01/11/2024, a pag. 1/3, con il titolo "Elly ciao", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
«Sono un’aspirante regista. Quello con la politica è un contratto a termine», aveva sussurrato qualche giorno fa Elly Schlein, e quasi nessuno aveva preso sul serio la confessione, trattata come un inciso buttato lì casualmente, se non addirittura come una specie di stravaganza, una bizzarria attribuibile a una personalità lontana dai canoni della politicità integrale. E invece la novità è che – chiamiamolo così – il contratto a tempo determinato potrebbe avere una scadenza assai più ravvicinata del previsto.
Il quadro è presto fatto. È vero che Elly – a uno a uno – ha azzoppato oppure eliminato tutti i pesi massimi del partito, i capicorrente, i vecchi protagonisti del “caminetto” dem. A ben vedere, resistono solo Dario Franceschini sul piano nazionale e Vincenzo De Luca nei territori: tutti gli altri o risultano esiliati a Bruxelles o sono stati variamente depotenziati.
Ma a fronte di questa brillante operazione interna, tutto intorno c’è un malinconico deserto. La “spallata” ai danni del governo, sognata dopo la vittoria in Sardegna, è ormai addirittura impensabile. La coalizione non esiste proprio: le componenti centriste sono o fuori (Renzi) o ridotte ai minimi termini (Calenda); mentre i grillini, sui quali la Schlein aveva investito un ingente capitale politico, stanno per scegliere – almeno fino alle politiche – la via di una sempre più marcata autonomia. Poi, nel 2027, un’alleanza sarà inevitabilmente imposta, specie se la legge elettorale sarà rimasta invariata: ma se ne riparlerà tra due anni e mezzo.
LA SCOMMESSA
Peggio ancora: il cuore della scommessa politica del Pd stava nel processo di logoramento del governo, meccanismo che tutti a sinistra immaginavano come un esito inesorabile. Ora, è vero che l’esecutivo – a tratti – dà l’impressione di avere il motore spento e non attraversa un particolare momento di vivacità riformatrice: ma ciononostante, caso più unico che raro per i governi dei maggiori paesi occidentali, Giorgia Meloni è ai suoi livelli massimi di consenso, e tutti e tre i partiti della maggioranza sono elettoralmente in salute e registrano un segno positivo nei sondaggi.
Morale: a sinistra non c’è una coalizione (né larga né stretta), non c’è una strategia di attacco al governo, non c’è nemmeno un minimo di impianto programmatico (alzi la mano chiunque conosca due o tre proposte del Pd). La stessa tornata delle regionali d’autunno, che doveva concludersi con un tonitruante 3-0 per i compagni, rischia di finire (se va bene per Elly) con un modesto 2-1 oppure (se va male in Umbria) con un imbarazzante 1-2 (dopo i risultati eloquenti già registrati dal 2022 a oggi: 9-1 per il centrodestra). Una sorta di Caporetto progressista.
PUNTARE AL CENTRO
E, ad aggravare le cose, rischia di entrare in scena una figura elettoralmente sopravvalutata ma comunque pompatissima dai media e carica di ambizioni addirittura spropositate: quella del sindaco di Milano Beppe Sala. Al Nazareno pensavano a lui come a un possibile mini-federatore delle componenti centriste.
Ma lui, napoleonico e egoriferito, già si immagina come il maxi-federatore di tutta la coalizione (che peraltro non c’è), una specie di “nuovo Prodi”. Insomma, se Elly e il suo cerchietto magico vedevano Sala come la possibile soluzione del problema centrista, il sindaco di Milano rischia invece di trasformarsi nel più pericoloso competitor della segretaria dem: un aspirante capo, non un alleato minore. Di più: l’uomo che potrebbe certificare la scadenza del “contratto” di Elly. Una scadenza ravvicinata.
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