L’industria è in mano a una talebana Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 24 ottobre 2024 Pagina: 1/11 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «L'industria UE è in mano a una talebana ambientalista»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 24/10/2024, a pag. 1/11, con il titolo "L'industria UE è in mano a una talebana ambientalista", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Se il buongiorno si vede dal mattino, cominciamo male.
Pronti, via, e già al primo minuto di gioco della nuova partita europea, l’ineffabile Teresa Ribera, responsabile delle politiche green Ue nonché vicepresidente esecutiva della Commissione di Ursula von der Leyen, difende a corpo morto l’assurdo stop alle auto a benzina e diesel entro il 2035 (cioè subito, di fatto).
L’argomento usato dalla socialista spagnola, un’autentica talebana green, è che lo stop nel 2035 «dà prevedibilità». Ma certo: si tratta solo di capire prevedibilità di cosa.
Realisticamente, dei seguenti effetti catastrofici: crollo del mercato automobilistico, collasso industriale e occupazionale, e gran festa per il dragone cinese. Colpisce in questo senso anche l’ottusità ideologica con cui la pupilla di Pedro Sanchez continua a non prendere atto del comportamento dei consumatori, che - nonostante una campagna martellante- rifiutano l’imposizione delle auto elettriche. Ma nemmeno questa evidenza sembra in grado di persuadere i fanatici della transizione a rivedere la loro impuntatura e il loro calendario a tappe forzate.
Da questo punto di vista, come Libero scrisse a luglio, fecero bene Giorgia Meloni e Matteo Salvini a non dare semaforo verde al discorso programmatico di Ursula von der Leyen, pericolosamente ambiguo su tutta questa scottante materia. Le solite prefiche si strapparono le vesti e i capelli, e predissero sciagure per l’Italia nel rapporto con Bruxelles: venendo però clamorosamente smentite, visto che il negoziato condotto da Meloni portò comunque, nelle settimane successive, a un portafoglio pesante e a una vicepresidenza esecutiva per il commissario italiano. Segno che talvolta dire no è il modo migliore di trattare.
Ciò detto, resta un rilevante punto politico che rischia di ipotecare la nuova fase europea. Dopo aver trascorso gli ultimi due anni della vecchia legislatura europea a tentare di ridimensionare e transennare i devastanti effetti del “pacchetto Timmermans”, o comunque dopo aver raccontato agli elettori europei che in prima battuta si era esagerato con il gretinismo e che no, questo errore non sarebbe assolutamente stato commesso di nuovo, di fatto la nuova Commissione Ue sta ripartendo con il piede sbagliato.
Va ricordato che lo stesso discorso della von der Leyen, a metà luglio, fu molto negativo. Ecco la frase più emblematica: «Inseriremo il nostro obiettivo del 90% di taglio delle emissioni di gas serra per il 2040 nella nostra legge europea sul clima. Le nostre aziende devono pianificare già oggi i loro investimenti per il prossimo decennio. E non si tratta solo di affari».
Morale: tutto il mondo va in direzione opposta; Cina e India continuano a bruciare carbone come se non ci fosse un domani; gli Usa sono da tempo avviatissimi su una strada di indipendenza (e sovrabbondanza) energetica. Mentre l’Europa – in un colpo solo – si impicca a obiettivi impossibili; quand’anche li realizzasse, contribuirebbe in misura minima al raggiungimento di obiettivi globali compromessi dalle opposte scelte altrui; e nel frattempo – in una serie di settori decisivi tra cui l’automotive – decide volontariamente il proprio suicidio.
Questo riguarda anche il tema rovente del rapporto con gli elettori dei 27 Paesi membri. Ma come? Per tutta la campagna elettorale pre Europee (a partire dai popolari tedeschi...) le leadership politiche avevano giurato di archiviare l’ecofondamentalismo, e poi – dopo la chiusura delle urne – si riparte con un programma improntato a quello stesso estremismo? Non occorre un indovino per immaginare le future scene di questo film: rabbia dei cittadini e un declino industriale ed economico europeo che verrà ulteriormente accelerato.
C’è ancora troppo Timmermans in questa Ribera, e forse anche in questa von der Leyen.
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