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Libero Rassegna Stampa
19.10.2024 Israele sta vincendo
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 19 ottobre 2024
Pagina: 1/17
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Israele sta vincendo, esperti e analisti in lutto»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 19/10/2024, a pag. 1/17, con il titolo "Israele sta vincendo, esperti e analisti in lutto", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Festa in Israele dopo l'uccisione di Yahya Sinwar, il boia del 7 Ottobre. Israele sta vincendo tutte le sue battaglie, con buona pace degli analisti che davano già per persa la sua guerra.

Se non si trattasse di questioni tragicamente serie e di massima gravità, si potrebbe perfino sorridere delle incredibili acrobazie, anzi delle vere e proprie arrampicate sugli specchi, in cui si sono dovuti produrre da 36 ore - quei politici, quei commentatori, quegli analisti che, pontificando sempre e sbagliando tutto lo sbagliabile, avevano stabilito alcuni “teoremi”: che non avesse senso il proseguimento dell’azione israeliana a Rafah, che servisse un “cessate il fuoco”, che Ha mas non sarebbe stata né battuta né battibile, e che Sinwar non sarebbe stato catturato o eliminato. Ovviamente la realtà (e la tenacia di Netanyahu) si è incaricata di smentirli punto su punto.
E allora come si fa? Elementare, Watson. Con la stessa faccia e la medesima prosopopea di sempre, ci si ripresenta (in prima pagina oppure in tv) negando l’evidenza e confezionando almeno sei escogitazioni lessicali per confondere lettori e telespettatori. Vediamole una per una.
La prima: ci sono i cantori della “complessità” (li si potrebbe chiamare: “i complessisti”), che sono impegnati a spiegarci quanto le cose restino difficili, oscure, imperscrutabili. E certo che la situazione resta complicata, questo lo capisce anche un bambino: ma con il piccolo dettaglio che Israele sta stravincendo la guerra, e lo sta facendo proprio perché ha seguito una strategia diametralmente opposta a quella consigliata dai presunti “esperti”.
La seconda: quelli della “nuova fase” (“adesso voltiamo pagina”, dicono e scrivono). Come dire: la morte di Sinwar, magicamente, decreterebbe il finale di partita, e dunque l’esercito israeliano dovrebbe andarsene in vacanza. Ma ogni persona ragionevole capisce che il punto non è la morte di uno o più capi, ma la ragionevole convinzione- che Gerusalemme deve ancora raggiungere - che i nemici non siano più in condizione di nuocere.
La terza: quelli del ”e ora con chi si potrà interloquire?”. Incredibile ma vero, abbiamo dovuto leggere anche questo dopo l’eliminazione di Sinwar, come se il macellaio-capo di Hamas, l’architetto del 7 ottobre, potesse essere protagonista positivo di un qualche dialogo.
La quarta: gli “impietositi” per l’immagine di Sinwar morto, inevitabilmente diventata virale.
Lungi da noi infierire su un cadavere, per quanto di un uomo orrendo: ma non si può non notare come quelli che da 36 ore sono improvvisamente schizzinosi e carichi di pietas non abbiano versato molte lacrime per le vittime del 7 ottobre e per tutto il sangue (israeliano e anche palestinese) versato o fatto versare da Sinwar, o comunque da lui ritenuto funzionale alla causa, come sosteneva a proposito del sacrificio della sua gente, deliberatamente usata come scudo umano. La quinta: quelli per cui “Israele resta circondata” e non può permettersi di stare sempre in guerra. Anche qui si mescola allegramente il vero e il falso allo scopo di fabbricare una manipolazione astuta. Pure Netanyahu sa bene che una guerra guerreggiata permanente è impensabile, meno che mai su sette diversi fronti: ma è esattamente per questo che ora intende chiudere la partita in modo chiaro, evitando che il suo paese si ritrovi tra qualche mese nella stessa situazione di adesso. E infine, la sesta: i teorici dei “due Israele”, che insistono sulla divisione esistente nella politica e nella società israeliana. E non c’è dubbio su quanto sia profondo lo scontro interno a quel paese. Ma quella frattura si ricompone quando è in gioco un rischio esistenziale, come accade tuttora: e la politica di Gerusalemme sa sempre distinguere il momento bellico (nel quale si è uniti) dalle fasi successive in cui si regolano i conti tra partiti e fazioni. COSA SUCCEDE ADESSO E allora, come insieme a Mario Sechi e alle firme di Libero non abbiamo smesso di fare dal 7 ottobre di un anno fa, tentiamo di delineare uno scenario alternativo rispetto agli schemi cari a troppi presunti esperti. Benjamin Netanyahu è un uomo razionale, e dunque terrà conto di molti fattori: ma non si fermerà se prima non avrà ottenuto qualcosa che assomigli a un vero finale di partita.
Primo: serve il ritorno a casa degli ostaggi israeliani, che teoricamente (se fossero tutti ancora vivi) sarebbero ben 101. Tocca ad Hamas e ai palestinesi restituirli alla libertà e alle loro famiglie. Gerusalemme ha già fatto sapere che saranno risparmiate le vite dei sequestratori che li rilasceranno.
Secondo: serve che gli avversari depongano le armi. Chi è ora l’apparente leader di Hamas?
Realisticamente si tratta di Khaled Mashal, che sta in Qatar, protetto da quel paese, oltre che dalla Turchia e dall’Iran. Che aspettano i leader occidentali, anziché rivolgersi a Netanyahu, a fare pressioni su quei governi affinché Mashal sia estradato e comunque dichiari la resa di Hamas? O siamo al solito errore logico, e cioè quello di continuare a incalzare Gerusalemme anziché la parte avversa?
Terzo: che succede a Gaza dopo la fine della guerra? Ripetere lo slogan dei “due Stati” omettendo il fatto che l’entità statuale palestinese non possa - com’è successo finora - rimanere sotto il controllo di un gruppo terroristico è un inganno che Gerusalemme, giustamente, non accetta più.
Quarto: che succede a Teheran, dove ha sede il regime che è responsabile diretto o indiretto di tutto l’avvelenamento dell’area?
Anche in questo caso Netanyahu (e fa benissimo) non ha alcuna intenzione di stare a guardare, dopo che per anni (prima ai tempi di Obama e poi durante il quadriennio Biden-Harris) si sono rilegittimati politicamente gli ayatollah consentendo loro di portare avanti un programma nucleare potenzialmente letale contro Israele. Pensare che Gerusalemme non si ponga il problema è pura illusione.
Quinto: Hezbollah continua a sparare dal Libano usando di fatto come scudo la missione Unifil (Onu), mentre una delle guardie del corpo di Sinwar è stata trovata con un documento che lo presentava come insegnante Unrwa (sempre Onu). Suvvia, qualcuno pensa che Israele abbia intenzione di chiudere gli occhi davanti a questa situazione, mentre le massime autorità delle Nazioni Unite, Guterres in testa, continuano ad avere un solo obiettivo polemico, e cioè sempre e soltanto Israele?
Abbozzare una previsione non è dunque difficile. Netanyahu sta vincendo proprio perché ha scelto la strada di una deterrenza forte. E non smetterà di seguire questa tattica fino a quando non avrà validi motivi per ritenere che la partita sia davvero conclusa con la chiara e inequivocabile sconfitta del nemico terrorista. Non saremo noi a dargli torto: anche perché ha totalmente ragione. E meriterebbe semmai la gratitudine di un Occidente intontito e addormentato, incapace di riconoscere il nemico che vuole ucciderci o sottometterci.

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