Finito l’effetto Kamala Commento di Giovanni Sallusti
Testata: Libero Data: 17 ottobre 2024 Pagina: 13 Autore: Giovanni Sallusti Titolo: «Repubblica si arrende: finito l'effetto Kamala»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 17/10/2024, a pag. 13 con il titolo "Repubblica si arrende: finito l'effetto Kamala" il commento di Giovanni Sallusti.
Giovanni Sallusti
In un Paese a capitalismo avanzato, occorre guardare anzitutto i movimenti di denaro (sempre meglio che ricevere le indicazioni dal Partito, o dal Corano). Primo dato, primo macigno politico-psicologico per le Brigate Kamala di ambo le sponde dell’Oceano. L’ultima rilevazione di Polymarket attribuisce a Donald Trump il 59,7% di possibilità di vittoria, contro il 40,2% di Harris. Si tratta della più grande piattaforma per il “mercato di previsione” decentralizzato, sostanzialmente l’aggregatore che raccoglie tutte le puntate degli scommettitori. Si tratta di un termometro spesso più aderente al reale di molti istituti demoscopici classici, che possono avere una delle parti in causa come committente, anche indiretto. L’investitore americano in carne, ossa e portafogli punta (soldi propri) su Trump, è convinto che Donald vincerà, diremmo quasi che ne è convinto graniticamente, visto che gli assegna circa il 20% di possibilità in più rispetto alla vicepresidente in carica.
Altro dato, altra mazzata a base di fiumi di dollari per le succursali nostrane della “Joy” democratica. La società Trump Media & Technology che fa capo al candidato repubblicano all’inizio della settimana è balzata in Borsa del 24%. «Il motivo è semplice», ha spiegato l'analista Matthew Tuttle: «Le persone sanno che se Trump viene eletto, questo titolo ha del potenziale». È talmente semplice, la dinamica che si sta innescando nell’America reale, quella che rincorre il profitto (uno dei sinonimi del “perseguimento della felicità” fin dalla Dichiarazione d’Indipendenza), che se ne stanno accorgendo perfino a Repubblica. Dopo mesi di paginate sul momento-Kamala, dopo quintali di carta buttati in sofisticate analisi sulla “speranza” incarnata dalla donna di colore contro la “rabbia” vomitata dal retrivo maschio bianco, dopo la conta delle star hollywoodiane e delle starlette tricolori che indugiavano negli endorsement contro il Puzzone, ieri a Largo Fochetti hanno issato bandiera bianca.
Il (soffertissimo) testacoda sta tutto nell’attacco del pezzo del corrispondente Paolo Mastrolilli: «La luna di miele di Kamala Harris è finita». Segue parziale postilla consolatoria: «Non significa che non possa vincere le presidenziali, però il momentum, lo slancio della candidatura, si è esaurito». Benvenuti, noi puzzoni in miniatura è settimane che proviamo a far notare che i rally di The Donald nell’America (appunto) reale, prima che profonda, nella Rust Belt destrutturata dalla concorrenza sleale cinese, nel SudOvest alle prese con l’ondata migratoria anomala (delega, e quindi responsabilità, di Kamala, en passant), significassero di più delle ospitate ridanciane dell’avversaria nel tinello di Oprah Winfrey.
In ogni caso, l’articolista di Rep. non si dà pace, se la prende col “sistema del collegio elettorale”, ovvero con l’essenza dell’esperimento libertario americano: il federalismo integrale, che tutela i singoli Stati ed evita che i più grandi tra loro possano cannibalizzare gli altri. Per cui sì, non conta la somma del voto nazionale, contano gli Stati e i loro Grandi Elettori e ammette sconsolato il quotidiano progressista - «nei sette Stati decisivi, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, North Carolina, Georgia, Arizona e Nevada, la situazione è ancora più complicata, con distacchi entro un punto quasi ovunque». In realtà, i colleghi rimangono ancora generosi: l’ultimo sondaggio di YouGov per Cbs News (non certo un network filotrumpiano) dà l’ex presidente in vantaggio 51-49% in questi fondamentali Stati ballerini. Il punto è, e davvero Mastrolilli lo scrive col tono di chi sta svelando segreti inediti e clamorosi, che «gli elettori lo preferiscono su economia e immigrazione, i temi in cima alle preoccupazioni». Davvero strano, che l’americano non caricaturizzato sulla prima pagina del New York Times veda più di buon occhio un ex businessman di successo che quando ha governato ha raggiunto la piena occupazione, in luogo di una vicepresidente fantasmatica fino al luglio scorso, che in passato aderì anche alla campagna per tagliare i fondi alla polizia. Poi certo, a Repubblica devono trovare una spiegazione alla realtà in cui si sono infine imbattuti, e alzano quindi i decibel dell’allarme democratico, per cui Trump «sull’immigrazione è passato dal muro alla deportazione di massa». Esposto così, il lettore si raffigura i rastrellamenti nazisti sotto la Statua della Libertà. Di nuovo, la realtà ha a che fare con uno specifico americano, che The Donald cita espressamente come modello: l’Operazione Wetbak, con cui Eisenhower riportò oltre confine quasi un milione di immigrati illegali, perlopiù messicani (un po’ dura accusare Ike di nazismo, essendo colui che ha distrutto la svastica a cannonate). Sia come sia, al quotidiano del neodirettore Orfeo tocca annotare che «Harris è forte tra le donne e chi mette l’aborto in cima alle priorità, ma non basta». No, non basta perché, altra grande scoperta del segugio republicones, Kamala ha un problema anche con le cosiddette minoranze: «Tra afroamericani e ispanici nei sondaggi prende circa il 10% in meno rispetto a Biden». Un po’ (ovviamente, a Vangelo Woke vigente) «per misoginia, come ha lamentato Obama». Un po’ perché, loro per primi, «non sono contenti delle scelte sull’immigrazione», che privilegiano chi entra illegalmente rispetto alle comunità regolari. Ma guarda.
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