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La Repubblica Rassegna Stampa
06.10.2024 Se l’odio antiebraico ferisce la democrazia
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 06 ottobre 2024
Pagina: 1/25
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Se l’odio antiebraico ferisce la democrazia»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/10/2024, a pag. 1/25, con il titolo "Se l’odio antiebraico ferisce la democrazia", l'editoriale di Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

Meno male che Molinari ancora c'è. Torneremo, noi di Informazione Corretta, a riprendere le vecchie abitudini seguendo un proverbio che ogni tanto è utile ripetere: "Mai voltarsi indietro"

La campagna di odio antiebraico inizia nei giorni immediatamente seguenti al 7 ottobre 2023 quando, davanti alle violenze di Hamas, si verificano due fenomeni: le immagini con le foto degli israeliani rapiti vengono strappate nelle strade, da New York a Parigi; il pogrom viene legittimato da un’offensiva sui social che lo descrive come “atto di resistenza contro l’occupazione” indicando come “terre occupate” villaggi che si trovano dentro i confini di Israele sin dalla nascita nel 1948. Carenza di pietà nei confronti delle vittime e delegittimazione dell’esistenza di Israele sono i tasselli iniziali di una campagna di disinformazione per sostenere l’intento fondamentale di Hamas: lo Stato ebraico deve sparire e tutti gli ebrei devono essere eliminati.

Si tratta della sovrapposizione fra antisionismo ed antisemitismo che risale a quando, pochi giorni dopo l’inizio della guerra del 1967, un diplomatico sovietico all’Onu annuncia il capovolgimento della politica di Mosca in Medio Oriente equiparando il sionismo a “colonialismo” e “razzismo” per spingere i Paesi arabi a schierarsi con il Cremlino nella Guerra Fredda. Da quel momento l’antisionismo entra nella narrazione della propaganda sovietica in Occidente, penetra nelle forze politiche filo-Urss e dilaga in più nazioni, con un’intensità che segue l’andamento dei conflitti in Medio Oriente: dopo la guerra del Kippur l’Assemblea generale dell’Onu nel 1975, guidata dalla maggioranza filorussa, definisce il sionismo “razzismo”; con la guerra in Libano del 1982 le scritte che equiparano Stelle di David e croci uncinate arrivano anche nelle città italiane e un bambino di due anni, Stefano Taché, viene ucciso nell’attentato arabo-palestinese contro la Sinagoga di Roma; aGuerra Fredda finita, con la seconda Intifada del 2000-2005, quando Hamas faceva esplodere i kamikaze sui bus, le manifestazioni di piazza dilagano in Europa innescando violenze che nel 2006 portano al rapimento ed all’uccisione dell’ebreo francese di 24 anni, Ilan Halimi.

Tali precedenti testimoniano che l’odio contro Israele porta ad attaccare gli ebrei della Diaspora ma è solo dopo il 7 ottobre che questo fenomeno assume dimensioni senza precedenti: dagli Stati Uniti alla Germania, dalla Gran Bretagna all’Italia fino all’Australia ogni democrazia registra impennate da capogiro di intolleranza ed attacchi di ogni tipo — anche fisici — contro individui e proprietà ebraiche. In alcuni casi si tratta di singoli e gruppi che vogliono manifestare solidarietà per l’alto numero di civili palestinesi vittime dell’intervento militare israeliano a Gaza, individuando nel premier Benjamin Netanyahu il responsabile della guerra, ma il grido di battaglia “Palestine will be Free from the River to the Sea” (la Palestina sarà libera dal fiume al mare) confonde le critiche al governo di Gerusalemme con la campagna di Hamas per cancellare Israele dalla mappa geografica. C’è una parte importante della società israeliana che, ogni sabato sera, scende in strada contro Netanyahu chiedendone le dimissioni, ma il grido dei filo-Hamas “Liberiamo tutta la Palestina occupata” significa negare anche l’esistenza di chi si oppone al governo guidato dal leader del Likud. Ecco perché, quali che siano le critiche politiche ad un governo di Israele, non devono mai portare a negare il diritto all’esistenza dello Stato.

È quando questa differenza scompare che si genera l’ondata di odio a cui stiamo assistendo, dove la caccia al “sionista” diventa atto antiebraico: gli studenti ebrei di molti campus americani offesi in quanto tali, eventi pubblici a Manhattan a sostegno del pogrom di Hamas, una statua di Anna Frank in Olanda imbrattata con la scritta “Free Gaza”, il grido “fuori gli ebrei dai confini” strillato per le strade di Milano e una moltitudine di sinagoghe aggredite in più Continenti, fino a quella di Rouen data alle fiamme. Chi attacca gli ebrei li accusa di essere “sionisti” proprio come fece un gruppo di estrema sinistra nella settimana precedente il 9 ottobre 1982— giorno dell’attentato alla sinagoga maggiore di Roma — quando affisse sui cancelli di una sinagoga minore, sempre nella capitale, uno striscione bianco con la scritta rossa “Bruceremo i covi sionisti”. Come osserva il filosofo francese Bernard-Henri Lévy “l’odio indiscriminato nei confronti di Israele presente nelle società democratiche dei nostri giorni ricorda quello che i francesi ebbero per il capitano ebreo Alfred Dreyfus”, condannato ingiustamente nel 1894 per spionaggio filo-tedesco prima di essere riabilitato.

È quest’ondata di intolleranza che ha stravolto la vita di milioni di ebrei della Diaspora negli ultimi 12 mesi, sollevando questioni di sicurezza, personale e collettiva, che nessuno dopo il 1945 si era più posto. Questo spiega il perché del dolore dei sopravvissuti alla Shoà nell’assistere al risveglio dei peggiori fantasmi del passato, quando odiare gli ebrei era legittimo. Le parole, semplici e coraggiose, pronunciate in più occasioni da Liliana Segre, Sami Modiano ed Edith Bruck sono lì a testimoniare la ferita riaperta. Alla quale gli intolleranti hanno reagito con offese orrende, fino al punto di definire Segre un’ “agente sionista”.

Tutto ciò ferisce anche la nostra democrazia repubblicana che però ha nel proprio dna antidoti importanti. Era il 27 gennaio del 2016 quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, scelse il Giorno della Memoria per affermare che “l’antisemitismo talvolta si fa schermo di forme di antisionismo”. Così come era stato il predecessore Giorgio Napolitano, il 25 gennaio 2007, a dire: “No all’antisemitismo anche quando si traveste da antisionismo perché ciò significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico”. Da circa venti anni le maggiori forze politiche in Parlamento, di maggioranza come di opposizione, dimostrano di condividere questo pensiero degli ultimi due presidenti. Ma oggi le voci più estreme, a sinistra come a destra, subiscono troppo spesso il fascino di una forma di intolleranza generalizzata contro Israele che aggredisce gli ebrei ma minaccia in realtà ogni cittadino italiano ed europeo. Perché quando i diritti di una minoranza vengono aggrediti è la libertà di tutti a soffrirne.

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