Ai bidelli italiani dell'antirazzismo piacciono molto le classi di soli stranieri Commento di Giulio Meotti
Testata:Newsletter di Giulio Meotti Autore: Giulio Meotti Titolo: «Ai bidelli italiani dell'antirazzismo piacciono molto le classi di soli stranieri»
Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, estratto da un articolo della sua newsletter dal titolo: “Ai bidelli italiani dell'antirazzismo piacciono molto le classi di soli stranieri”.
Giulio Meotti
“Nella scuola materna di mio figlio c’è un grave problema di integrazione, lo devo portare via”.
Quando sul Corriere della Sera emerse la denuncia di Mohamed, 34enne di origine marocchina, impiegato a Bologna, a nessuno a sinistra venne in mente di accusarlo di razzismo. E lui stesso disse: “Non voglio passare per razzista proprio io che sono marocchino, ma il Comune lo deve sapere che non si fa integrazione mettendo nelle classi più di venti bambini stranieri”.
Ora invece sembra che a Fondi, nel Lazio, siano tutti razzisti i genitori italiani che hanno deciso di togliere i figli dalla scuola dove sarebbero stati minoranza.
Il termine urticante di “white flight” (fuga dei bianchi) è apparso per la prima volta in Italia in uno studio del Politecnico pubblicato da Franco Angeli: “White flight a Milano – La segregazione etnica nelle scuole”. Il termine fu coniato contro la ghettizzazione degli allievi stranieri o italiani di origine straniera come esito non del fallito multiculturalismo di matrice progressista, ma della “fuga degli italiani”, i bianchi razzisti pieni di pregiudizi.
Ora a Fondi, provincia di Latina, la composizione di una prima elementare con un’alta percentuale di stranieri (14-16 su un totale di 28) ha indotto 12 famiglie a ritirare i figli e a iscriverli in altre scuole. “L’inclusione è un obbligo”, rispondono ai genitori i “Presidi del Lazio”.
Quando l’allora ministro Maria Stella Gelmini propose (come l’attuale ministro Valditara) un tetto del 30 per cento agli stranieri in classe venne subito accusata di razzismo. “Per soddisfare i suoi irrealizzabili criteri Gelmini chiederà di organizzare pulmini di piccoli deportati da una scuola all’altra?”. Lo disse Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd. “No alla riserva indiana del 30 per cento di alunni stranieri nelle classi”, denunciò l’Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione).
Quindi per i progressisti niente tetto agli stranieri e niente assimilazione degli stranieri in nome del multiculturalismo. Avanti tutta con le classi ghetto. E se i bianchi protestano è “White Flight”.
Ecco allora che le classi dove gli italiani sono minoranza non sono un incidente di percorso: fanno parte di una ideologia psicotica importata dagli Stati Uniti woke.
Basta la copertina di Tutto Libri, lo storico supplemento culturale de La Stampa di Torino molto letto dagli insegnanti. “Che bello sarà il mondo con i bianchi schiavi dei neri!”.
Stiamo importando in Italia il “razzismo degli antirazzisti”, come lo chiama il linguista afroamericano della Columbia University John McWhorter, autore del libro Woke Racism.
Il razzismo che spinge Starbucks a licenziare un dipendente “perché bianco”.
Il razzismo che spinge la cattedrale di St. Albans, il più antico luogo di culto cristiano in Inghilterra, a installare un’Ultima cena con Gesù di colore.
Il razzismo che spinge a licenziare i traduttori bianchi perché, in quanto bianchi, sono indegni di tradurre un’autrice di colore.
Il razzismo che spinge la BBC a creare posti di lavoro “per soli neri”.
Il razzismo che spinge la English Touring Opera a licenziare 14 musicisti colpevoli di avere la pelle bianca per “aumentare la diversità”.
Cosa sia questa ideologia lo spiega su Usa Today il ricercatore che segue questo filone, Christopher Rufo del Manhattan Institute: “La teoria della razza critica è una disciplina accademica che afferma che gli Stati Uniti sono stati fondati sul razzismo, sull'oppressione e sulla supremazia bianca e che queste forze sono ancora alla radice della nostra società. Riformula la vecchia dialettica marxista di oppressore e oppresso, sostituendo le categorie di classe di borghesia e proletariato con le categorie di bianco e nero. Ma la conclusione fondamentale è la stessa: per liberare l'uomo, la società deve essere trasformata attraverso la rivoluzione morale, economica e politica”.
Che fare, se non tutti gli studenti stanno allo stesso passo? Nel 2014 il distretto scolastico di San Francisco era nei guai. Solo il 19 per cento degli studenti aveva superato l'esame di matematica e non era tenuto a ripetere un corso. Quel numero è sceso ulteriormente, all'1 per cento, tra gli alunni neri. E così San Francisco ha deciso di cancellare l’algebra in terza media (13 anni) e spostarla all’anno successivo, sperando che un anno in più avrebbe consentito agli studenti di prepararsi. L’hanno chiamata “equità”. Nel 2024 ecco la prima valutazione dei ricercatori della Stanford University, di cui parla The Economist. “Il programma non ha avuto alcun effetto”. Anzi, i somari sono rimasti somari e chi voleva imparare è stato costretto a lezioni private di matematica.
Eppure, il tasso di “segregazione scolastica” è studiato da tempo come indicatore di squilibrio sociale e fallimento culturale.
In Europa è ormai saltato tutto.
Racconta ilKrone - il più diffuso quotidiano austriaco - che nelle scuole viennesi si iniziano a comporre le classi secondo l’appartenenza religiosa. Musulmani con musulmani, cattolici con cattolici, visto che i musulmani sono più numerosi dei cattolici nelle scuole medie e superiori. Un insegnante di Vienna parlando alla Welt riferisce: “In una classe di 25 bambini dovrei integrarne 21. Nessuno può farlo. Dove dovremmo integrarli? La musica e la danza sono rifiutate per motivi religiosi”. La Welt fornisce numeri da capogiro: “Mentre in media un quarto di tutti gli alunni in Austria ha un passato migratorio, a Vienna è uno su due. Nelle scuole secondarie viennesi è addirittura del 70 per cento”.
Alle materne di Treviso il 44 per cento degli alunni, quasi uno su due, è straniero. A Torino ci sono già classi senza bambini italiani: “In tutte le classi - ha spiegato la dirigente scolastica Aurelia Provenza - la percentuale di stranieri è molto alta, pari al 60 per cento del numero totale di alunni”. Tetto al 30 per cento nelle classi? “A Torino è impossibile, siamo già troppo multietnici”.
A Bologna c’è una scuola dove in una quinta sono tutti stranieri e l’unico bambino italiano dice di essere di New York, per sentirsi più incluso. Lo stesso a Milano, dove c’è n’è più di una. In molte scuole di Firenze gli stranieri sono dal 50 al 70 per cento.
E cosa pensano che accadrà da qui al 2050, quando la quota di immigrati di prima e seconda generazione in Italia supererà un terzo della popolazione totale?