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Libero Rassegna Stampa
15.09.2024 I magistrati non devono scrivere leggi
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 15 settembre 2024
Pagina: 1/3
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «La requisitoria dei Pm è un comizio politico contro i Decreti Sicurezza»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 15/09/2024, a pag. 1/3, con il titolo "La requisitoria dei Pm è un comizio politico contro i Decreti Sicurezza", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Matteo Salvini a processo: i Pm chiedono sei anni, perché ha attuato i Decreti Sicurezza del governo Conte. La requisitoria dei Pm è politica pura, una contestazione a quei provvedimenti. Ma non spetta alla magistratura fare le leggi. 

Male, anzi male male, cioè due volte male. Male che l’accusa, nell’udienza di ieri del processo Open Arms, non contenta di concludere la requisitoria contro Matteo Salvini con una prevedibile (e abnorme!) richiesta di condanna, si sia abbandonata a considerazioni politiche, sociali e morali che non competono affatto alla magistratura. In un’aula di giustizia non vorremmo mai sentire né prediche né comizi né trattati sociologici né espressioni del tipo “fare politica sulla pelle di chi soffre” (una frase che sembra tratta da un battibecco in un talk-show o da un’invettiva pronunciata dal palco di un partito): ma in Italia, ben al di là di questo specifico caso, il nostro pare ormai un sogno.
E – una seconda volta – male il fatto che il susseguirsi delle udienze, il calendario delle tappe processuali, i dettagli di giornata, abbiano finito per distogliere la nostra attenzione dal cuore della faccenda: perfino al di là dell’incredibile richiesta di condanna a 6 anni, è semplicemente inaccettabile il fatto stesso che Salvini sia stato sottoposto a questo processo.
Non facciamoci distrarre, dunque: il punto che non va assolutamente dimenticato è che si è deciso di processare un ministro (ai tempi del governo gialloverde, Salvini era titolare del Viminale) per decisioni politiche assunte nel pieno e legittimo esercizio delle sue funzioni. Di più: lo si è mandato davanti ai giudici proprio perché ha scelto, nella sua attività di governo, di dare pienamente corso agli impegni che aveva pubblicamente assunto con gli elettori in campagna elettorale.
Capite bene la portata del pericolosissimo doppio cortocircuito che si è così innescato: da un lato si promuove un inquietante scrutinio giudiziario sulle scelte politiche di un governo e di una maggioranza, e dall’altro si sancisce il principio per cui la democrazia è “minorenne”, il popolo è “bambino”, e che dunque tocca a un’istanza giurisdizionale (non elettiva) correggere-bypassare-neutralizzare la volontà popolare, e addirittura punire chi ha osato farsene interprete raccogliendo voti e vincendo democraticamente una campagna elettorale.
In questo senso, ha centrato il bersaglio il difensore di Salvini, Giulia Bongiorno, quando ieri ha sintetizzato così la sua critica al modo di procedere dell’accusa: «Il pm sta procedendo con una requisitoria contro il decreto sicurezza bis, e contro la linea politica “prima redistribuire e poi sbarcare”». E il cuore del problema sta esattamente qui: non tocca ai pm scrivere le norme. A meno di aver ormai accettato l’idea che – saltata la tripartizione classica – l’ordine giudiziario in Italia sia anche divenuto titolare del potere legislativo e della funzione esecutiva.
E allora qui non si tratta più di difendere o attaccare Salvini, di sposare o meno la sua ricetta anti-immigrazione. Starei per dire che, se ci fosse un minimo di onestà intellettuale, i primi a doversi ribellare contro questo processo (e contro un’eventuale condanna: ipotesi che non andrebbe nemmeno presa lontanamente in considerazione) sono i sostenitori di una linea politica sull’immigrazione opposta a quella del leader leghista. I quali dovrebbero semmai rivendicare la necessità – dal loro punto di vista – di batterlo alle elezioni, di sconfiggerlo in campo aperto, di far prevalere presso gli italiani le tesi a loro care.
E invece? E invece abbiamo assistito a tre paradossi tragicomici. Primo: ad accusare Salvini anche in Parlamento sono stati innanzitutto quei grillini con cui la Lega aveva governato nel 2018. A puntare il dito contro di lui è stato infatti quel Giuseppe Conte che a suo tempo, in conferenza stampa, innalzava insieme al leader leghista cartelli a favore dei decreti Salvini. A scagliarsi contro l’ex Ministro degli Interni è stato dunque il partito che esprimeva il Presidente del Consiglio (Conte, appunto) nonché il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti (Danilo Toninelli), il quale rivendicava con pubblici e reiterati comunicati la sua costante co-decisione con il Viminale, e dava perfino l’impressione di non volersi far scavalcare dalla Lega nella difesa di una linea politica evidentemente ritenuta popolare. Anche qui appare veramente un’arrampicata sugli specchi la tesi accusatoria ribadita ieri dai pm (quella secondo cui Salvini avrebbe accentrato tutto il potere su di sé): e gli altri ministri forse dormivano? E il premier era forse incapace di intendere e di volere?
Suvvia.
Secondo: a votare a suo tempo per mandare Salvini alla sbarra è stato anche Matteo Renzi, che pure – in tante successive circostanze – ha meritoriamente predicato garantismo. Eppure in quella circostanza non esitò a dire sì all’autorizzazione a procedere, con ciò confermando una triste abitudine della politica italiana: un approccio garantista per sé e per gli amici, un approccio giustizialista per gli avversari o quando lo suggeriscono – a scapito delle convinzioni – le convenienze politiche del momento.
Terzo: è pericoloso demonizzare una linea politica che non si condivide. In qualunque paese dell’Occidente avanzato, è perfettamente fisiologico che ci sia una parte politica (in genere, la sinistra) che ha sull’immigrazione un atteggiamento più aperturista e un’altra parte politica (in genere, la destra) fautrice di una linea più rigorosa e restrittiva. Se passa il principio che questa seconda opzione possa essere preventivamente “fascistizzata”, o addirittura criminalizzata sul piano penale, si svuota l’idea stessa di democrazia, e si impone uno stigma di indegnità su una quota notevolissima (oggi per lo più maggioritaria) di elettori.
Ecco perché – ben al di là della persona di Matteo Salvini – questo processo continua a inquietarci e a preoccuparci, qui a Libero. E sarebbe molto bello se, sia pure in extremis, si manifestassero in questo senso, per esprimergli solidarietà in questa specifica circostanza, voci politicamente ostili a Salvini, suoi chiari e indiscutibili oppositori. Toccherebbe a loro ricompitare per tutti alcuni elementari principi di democrazia: gli avversari si battono nelle urne, non nelle aule giudiziarie, e le battaglie politiche non si ingaggiano né nelle procure né nei tribunali. E’ troppo chiedere a una singola personalità della sinistra politica e mediatica di esprimersi in questa direzione?

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