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Il Giornale Rassegna Stampa
12.09.2024 Lo strazio di Israele per i suoi ostaggi. Ma il salvacondotto a Sinwar non risolve
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 12 settembre 2024
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Lo strazio di Israele per i suoi ostaggi. Ma il salvacondotto a Sinwar non risolve»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 12/09/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Lo strazio di Israele per i suoi ostaggi. Ma il salvacondotto a Sinwar non risolve".


Fiamma Nirenstein

Un salvacondotto per Yahya Sinwar? Israele è pronta a tutto pur di liberare gli ostaggi, anche lasciar andare la mente del 7 ottobre. Ma è una soluzione irrealistica, anche perché Sinwar stesso preferisce restare a Gaza a comandare, convinto di poter sconfiggere Israele.

La ricerca delle soluzioni per salvare i rapiti tramite un corridoio speciale per Sinwar probabilmente suscita nel capo di Hamas una buona dose di ironia e di ottimo umore, anche se è davvero improbabile: secondo quanto riportato da Bloomberg, su un “passaggio sicuro”, con la sua famiglia a fianco, potrebbe lasciare la Striscia di Gaza mentre tutti gli ostaggi vengono liberati. Irrealistico, ma sintomatico che si parli di questa possibilità. Ma Sinwar vuole, restando da comandante a Gaza, riuscire a battere Israele costringendolo a uscire dal suo territorio a ogni costo. Quindi l’idea irrealistica riportata da Gal Hirsh, il responsabile del governo per i rapiti, dice solo che Israele è pronta a tutto per salvare gli ostaggi, i chatufim, la parola più usata in Israele su tutti i media. Ci si adopra per sfondare la diabolica trappola che dal primo giorno attanaglia Israele: in cambio di un’ipotesi fantasma, mai confermata, e anzi spesso negata da Hamas, si seguita a ripetere che Israele deve andare a un accordo; ma questa logica, che un largo pubblico dà per scontata e addossa al governo, è del tutto sconveniente per Sinwar, che appena fosse privo della sua corona di carne umana diventerebbe il generale di un esercito sconfitto ormai da tempo. Un bersaglio. Esiste, e anch’essa senza la promessa sicura di lasciare andare i rapiti, e senza sapere chi sono i vivi e chi gli uccisi, soltanto la richiesta di Hamas di una totale fuoriuscita di Israele, quella che in slang pacifista viene chiamato “cessate il fuoco”, ma potrebbe chiamarsi resa; ovvero l’idea che lasciandogli la Striscia di Gaza nelle mani con in più la consegna di un numero spropositato (cresciuto, sembra anche ieri) di prigionieri palestinesi “col sangue sulle mani” anche condannati a più ergastoli, Hamas accetterebbe intanto una prima fase in cui si consegnano i prigionieri detti “umanitari”.

Netanyahu, rispetto alla famosa questione dello “tzir Filadelfi” che secondo la leggenda corrente non cederebbe a nessun costo, ha invece già fatto sapere che dopo la buona soluzione della prima fase, potrebbe con accorgimenti e suddivisioni di responsabilità fra alleati, essere lasciata. Ma chi lo ascolta: in questi giorni il rimo Ministro è l’obiettivo numero uno della disperazione e della rabbia per i rapiti, strumentalizzata spesso dai nemici politici di Bibi. Il premier passa da una visita di parenti orbati all’altro, si piega agli attacchi personali e agli insulti più duri, pallido e affaticato, senza mai tuttavia abbandonare il punto che non può consegnare a Hamas dieci milioni di cittadini israeliani; viene ormai visto, e lui lo sa bene e lo accetta senza strepitare, come un crudele politicante preda dei suoi disegni di sopravvivenza.

I suoi accusatori a volte sembrano dimenticare che non è Netanyahu a tenere rinchiusi i rapiti, ma Sinwar; non è lui a ucciderli, né lui a torturarli, ma la mostruosa crudeltà dei terroristi. Hamas, come il suo documento strategico pubblicato su Bildt rivela, traccia la sua linea di vittoria nella spaccatura della società israeliana: le disperate grida di rabbia contro il Primo Ministro, rischiano di aiutare Hamas. La strada dell’incrudelimento, dell’assassinio, dei video e delle notizie terrificanti, paga. Israele si sta battendo su tutti i fronti, a Gaza dove ieri un incidente di elicottero ha ucciso tre soldati, come nell’West bank, dove si moltiplicano gli attentati. Un passante è stato investito da un grosso camion, un altro è stato ucciso a pugnalate, mentre al nord la popolazione cacciata di casa vuole che finalmente Israele cessi di temporeggiare e affronti gli hezbollah a fondo.

I soldati e i cittadini, che combattono, vivono una vita di resistenza quotidiana straordinaria, tengono in maggioranza per non cedere a Hamas; tuttavia vivono una situazione di scontro quotidiano: sono in molti a rovesciare sul Paese tutta la disperazione, tutto lo stupore di un popolo che ha sempre pensato la democrazia avesse da tempo collocato il male assoluto nel passato e invece è costretto a viverlo senza sosta di nuovo quasi da un anno, dal 7 di ottobre quando Hamas lo ha aggredito.

Adesso come era logico dopo il ritrovamento dei corpi di sei rapiti due giorni fa, la società è in preda una crisi di nervi, gridano nelle piazze e alla tv con le famiglie che chiedono di fare qualsiasi cosa per liberare i loro cari. Il portavoce dell’esercito Daniel Hagari si è calato nel buco orrendo in cui sono stati detenuti e poi ammazzati a colpi di fucile Hersh Goldberg Polin, Eden Yerushalmi, Carmel Gat, Ori Danino, Almog Sarusi, Alex Lobanov. Da là, sceso dalla bocca del tunnel posto in una stanza per bambini decorata con Mickey Mouse, è disceso nel ventre profondo della terra lungo tre lunghe scale a pioli, e poi ha trasmesso da un lungo corridoio senz’aria senza luce, in cui è impossibile stare eretti, con bottiglie di urina e un secchio per i bisogni, qualche bottiglia d’acqua per bere e lavarsi, la stessa acqua, un po' di cibo secco, panni da donna a terra, un corano, una scacchiera, armi e sangue, sangue dei sei giovani.

Hagari ha detto che i prigionieri era non ridotti a un peso minimale, sui trenta chili come un prigioniero ad Auschwitz e che dalle tracce ritrovate si può pensare che fossero stati tenuti prigionieri in quella galleria, senz’aria, senza luce, senza cibo. Da come sono stati ritrovati, Hagari ha detto che si poteva dedurre che da eroi hanno cercato negli ultimi momenti della loro vita di difendersi gli uni con gli altri. Erano sopravvissuti undici mesi oltre ogni immaginabile sofferenza, Adesso il seguito della vicenda oltre al proseguo della guerra dei soldati valorosi che a Khan Yunis hanno rischiato la vita per recuperare i corpi, è quella che senza veli mostra quanto Israele sia ancorata a un passato in cui il nemico era un fattore secondario, e lo sforzo per la pace e il benessere era destinato a vincere su tutto. Il sette ottobre ha insegnato una lezione che ancora non si è appresa del tutto.

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