La corsa alla Casa Bianca Analisi di Tommaso Montesano
Testata: Libero Data: 05 settembre 2024 Pagina: 14 Autore: Tommaso Montesano Titolo: «Ecco la verità dei numeri: Kamala peggio di Biden»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/09/2024, a pag. 14, con il titolo "Ecco la verità dei numeri: Kamala peggio di Biden", l'analisi di Tommaso Montesano.
Tommaso Montesano
Se anche lo “spin” è costretto a fare i conti con il principio di realtà. Da quando Kamala Harris è diventata la candidata del partito democratico – Joe Biden si è ritirato dalla corsa il 21 luglio – i sondaggi per l’Asinello sono diventati improvvisamente favorevoli.
Nulla di nuovo: qualunque esperto di flussi elettorali vi confermerà che esiste un effetto “bounce” – rimbalzo – di cui gode un candidato “nuovo”.
Tu chiamalo, se vuoi, effetto “luna di miele”. Oltretutto poco dopo il cambio di frontrunner, Harris ha potuto beneficiare anche della convention del partito, che come da tradizione ha dato la scena, e le luci dei riflettori, a chi ottiene formalmente l’investitura.
E qui iniziano i problemi per Kamala, che i giornali che vanno per la maggiore si guardano bene dall’evidenziare. Perché per quanto si possa “drogare” il consenso della vicepresidente – l’effetto “spin”, la curvatura o spinta che dir si voglia, appunto – i numeri non mentono. Nel senso che il “vantaggio” di cui godrebbe Harris oggi – 1,9% nella media elaborata da RealClearPolitics - è nettamente inferiore, a questo punto della corsa, a quello che vantavano sia Hillary Clinton nel 2016, sia Biden nel 2020. La moglie di Bill, il 4 settembre di otto anni fa, a livello nazionale aveva un vantaggio del 3,9% sul tycoon. Più ampia ancora, a favore dell’attuale presidente uscente, la forbice: il 3 settembre di quattro anni fa Joe staccava Trump di 7 punti.
Ricordiamo tutti come è finita: nel 2016 vinse Trump, nel 2020 Biden. Ma il presidente uscente prevalse con un margine molto più stretto rispetto a quello rilevato dai sondaggi.
Sia a livello nazionale (4,5%), sia negli Stati risultati decisivi per la conquista della maggioranza del collegio elettorale.
Qualche numero aiuta a capire perché per Kamala – al di là della propaganda che enfatizza il suo vantaggio nazionale – il quadro sia tutt’altro che favorevole. Prendendo come riferimento il 2020, l’elezione più vicina e quella dove prevalse l’uomo di cui Harris è stata il braccio destro per tre anni e mezzo, si scopre che Biden era accreditato di un vantaggio, più o meno consistente, in tutti i battleground States: di 4,4 punti in Wisconsin; di 3,6 punti in Pennsylvania; di 5 punti in Arizona; di 3,3 punti in Michigan e 7,5 punti in Nevada. I sondaggi accreditavano addirittura un Asinello in testa in Ohio (di 2,3 punti) e Florida (di 1,8).
In questi ultimi due casi vinse “The Donald”, mentre negli altri prevalse sì Biden, ma dopo una lotta all’ultimo voto non senza contestazioni: in Arizona lo scarto fu dello 0,4%; in Georgia dello 0,3%; in Wisconsin dello 0,6%; in Pennsylvania dell’1,2%; in Nevada del 2,4%.
Una nuova prova, dopo quella del 2016, di quanto Trump fosse sottostimato dai sondaggi.
I SEGNALI DAL TERRITORIO
Harris, nonostante l’effetto novità, la benevolenza dei media e la spinta della convention, non sta sfondando, anzi.
Il suo 1,9% di vantaggio a livello nazionale, vero o presunto che sia, proiettato sugli swing States, quelli che di fatto decidono la partita, è insufficiente per vincere. Non a caso il decano degli statistici Usa, Nate Silver, cui si deve l’elaborazione di un modello predittivo sull’attribuzione del collegio elettorale, assegna a Trump il 58,2% delle probabilità di vincere le Presidenziali contro il 41,6% di Harris. E questo nonostante la vicepresidente sia considerata in testa nei sondaggi anche dallo stesso Silver (vale la pena ricordare che la stessa Clinton, nel 2016, ottenne più voti popolari di Trump). La possibilità di Kamala di vincere, a guardare il grafico del fondatore di FiveThirtyEight, sono crollate dopo la convention di Chicago: il 19 agosto aveva il 53,6% di chance di vittoria. Tra i sette Stati determinanti, secondo la media Rcp Trump è avanti in Arizona e North Carolina, pari in Pennsylvania e indietro di poco (dallo 0,1 all’1,4%, entro il margine di errore) in Wisconsin, Nevada, Georgia e Michigan. Perfino in Minnesota, dove i democratici vincono dal 1976 e di cui il compagno di ticket di Harris, Tim Walz, è governatore, in un mese il vantaggio dell’Asinello si è dimezzato: da dieci a 5,5 punti. Uno Stato dove Biden vinse con oltre sette punti di margine e che ora improvvisamente i dem devono puntellare. Proprio come il piccolo New Hampshire, dove Harris si è recata, a sorpresa, ieri per un evento elettorale. Situato sulla costa orientale, era considerato “sicuro” per i dem. Evidentemente, nonostante i cinque punti di vantaggio, non è più così.
Non solo. Polymarket, la piattaforma che consente di scommettere sugli esiti di ogni evento utilizzando le criptovalute, ha aggiornato le sue previsioni sul 5 novembre: “The Donald” ora ha il 52% di possibilità di vittoria contro il 47% di Harris: un punto in più rispetto a martedì.
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