Sono belve, non possiamo dimenticarlo Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 02 settembre 2024 Pagina: 1/3 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Amano la morte più della vita, ecco perché continueremo a chiamarli 'belve'»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 02/09/2024, a pag. 1/3, con il titolo "Amano la morte più della vita, ecco perché continueremo a chiamarli 'belve'", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Chissà se qualcuno avrà ancora il coraggio di chiedersi come mai qui a Libero – per parlare di Hamas – usiamo da sempre l’espressione “belve”. E che altra parola vuoi scomodare? Come vuoi descrivere la mente e l’anima di chi spara un colpo in testa a sei prigionieri innocenti, e lo fa sadicamente a un passo dalla loro possibile liberazione?
Hanno vigliaccamente rapito dei giovani durante una festa musicale, perché non bastava il bagno di sangue già compiuto nelle ore precedenti. Li hanno tenuti sequestrati per undici interminabili mesi, sottoponendoli a violenze indicibili. Hanno imposto a loro e alle famiglie uno stillicidio di sofferenze. Ma alle belve non è sembrato sufficiente: e, nell’imminenza della possibile liberazione, li hanno definitivamente freddati.
Segnatevi questi nomi, e impariamoli insieme a memoria, affinché non restino solo un tragico numero: Carmel Gat, Eden Yerushalmi, Hersh Goldberg -Polin, Alexander Lobanov, Almog Sarusi e Ori Danino. Vi racconto la storia dell’ultimo, Ori, che era miracolosamente riuscito a mettersi in fuga dall’aggressione fatale al Nova Festival, il 7 ottobre.
Ma era tornato indietro per tentare di salvare degli amici: alcuni li aveva appena conosciuti in quell’occasione. Quel suo atto di generosità gli è costato prima la libertà e ieri la vita, mentre ancora lo attendeva la sua fidanzata Liel, con cui voleva sposarsi.
Ma per le belve il richiamo del sangue è stato ancora una volta irresistibile. Occorre fare i conti con questa realtà: amano la morte più di quanto noi amiamo la vita, non c’è dubbio.
Teorizzano la necessità che il sangue scorra: incluso quello della propria gente, che sono pronti a sacrificare senza alcuna remora. Figurarsi gli altri.
Già solo questa mattanza di ieri (come se non ci fosse tutto il resto) fa letteralmente a brandelli le sciocchezze giustificazioniste che abbiamo dovuto sentire e leggere per mesi anche in luoghi insospettabili: le acrobatiche distinzioni tra l’”ala militare” e quella “politica” di Hamas, i ritratti dei presunti leader “pragmatici”, l’individuazione di figure disposte alle “trattative”. Atroci balle, velenose bugie: regolarmente stracciate dai fatti.
LACRIME DI COCCODRILLO
Spiace doverlo sottolineare. Ma i comunicati di ieri di Joe Biden, Kamala Harris, Antonio Guterres, Josep Borrell – per citare quattro protagonisti della grande ipocrisia degli scorsi mesi – avevano la tipica consistenza delle lacrime di coccodrillo. La Harris che parla di «mani di Hamas sporche di sangue», Biden che si affretta a sostenere che «i leader di Hamas pagheranno», l’ineffabile Guterres che adesso chiede il «rilascio degli ostaggi senza condizioni», e infine Borrell che casca dal pero e si proclama «inorridito» devono essere omonimi di coloro che per mesi hanno messo ogni pressione solo sulle spalle di Benjamin Netanyahu e del governo israeliano, facendone un costante bersaglio polemico, colpevolizzandolo sistematicamente, attribuendo solo a Gerusalemme la responsabilità della situazione.
È amaro dirlo: ma consapevolmente o no, questi e altri leader hanno oggettivamente agito come utili idioti di Hamas, come “ala diplomatica” che fingeva di non vedere le reali intenzioni delle belve.
E lo stesso vale – sia chiaro – per le mobilitazioni in giro per il mondo, scarsissime e timidissime verso il rilascio degli ostaggi. Non c’è stata pietà nemmeno per le donne israeliane violentate, ed è tutto dire.
COPERTURA MEDIATICA
Quanto alla copertura mediatica, è sufficiente il piccolo macabro esercizio che abbiamo svolto ieri pomeriggio: con eccezioni più rare di un quadrifoglio, la maggior parte dei siti di informazione italiana, dopo il ritrovamento dei cadaveri trucidati dalle belve, non titolava su Hamas, ma su Netanyahu, di fatto scaricando su di lui perfino questi ultimi tragici eventi.
Più che mai, anche correndo il rischio dell’impopolarità (ma a volte occorre essere impopolari per non perdere la bussola e anche un po’ di rispetto per se stessi), qui a Libero ribadiamo oggi ciò che abbiamo scritto dalla mattina dell’8 ottobre, il giorno dopo il pogrom: ogni ipotesi di “pace” che non preveda la distruzione di Hamas o che non metta le belve per lo meno in condizioni di non nuocere oltre è un tragico inganno.
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