Ius Scholae: l’aria fritta dei benpensanti Commento di Giulio Meotti
Testata:Newsletter di Giulio Meotti Autore: Giulio Meotti Titolo: «Ius Scholae: l’aria fritta dei benpensanti»
Riprendiamo il commento originale di Giulio Meotti, tratto dalla sua newsletter, dal titolo: “Ius Scholae: l’aria fritta dei benpensanti”.
Giulio Meotti
Nonostante abbia superato gli 8 miliardi di persone, la crescita della popolazione globale sta rallentando. Tuttavia, non in tutto il mondo: mentre alcuni paesi mostrano una crescita esplosiva, altri stanno già iniziando a crollare, rivela Newsweek. Basta prendere questa mappa.
In un’analisi di 236 paesi, 40 di essi hanno una popolazione in calo, con alcuni che hanno registrato un calo dell’1 per cento all’anno o più. I dati sono stati compilati come parte del World Factbook.
“Questo modello di declino è dovuto principalmente a tassi di fertilità persistentemente bassi (e in alcuni casi estremamente bassi), soprattutto in molti paesi in Europa e nell'Asia orientale (ma anche a Porto Rico e a Cuba)”, Tomas Sobotka, un ricercatore presso il Centro Wittgenstein per la demografia di Vienna, ha detto a Newsweek.
“I paesi con un forte calo demografico spesso combinano bassa fertilità, emigrazione e strutture demografiche vecchie. Soprattutto i paesi dell’Europa sud-orientale e orientale hanno visto le loro popolazioni ridursi rapidamente a causa di una combinazione di emigrazione intensiva e persistente bassa fertilità”.
Gli Stati Uniti crescono a un ritmo moderato dello 0,67 per cento ogni anno. Poi c’è un'area blu molto grande sulla mappa: la Russia, al sedicesimo posto nella lista con il calo demografico più rapido. “Una Russia senza russi”: questo, racconta l’Atlantic Council, il futuro del gigante eurasiatico.
E come pensa Vladimir Putin di arginare questo crollo demografico? Annettendo territori e popolazione con le invasioni militari. Lo spiega Bruno Tertrais, lo studioso autore del libro Le choc démographique e vice-presidente della Fondation pour la recherche stratégique di Parigi: “La tragedia demografica russa”, scrive Tertrais, “è tale che la popolazione ha raggiunto il picco di 148 milioni nel 1992. Oggi sono 144 milioni, che saranno 130 milioni nel 2050. Il Cremlino ha sperimentato nuovi approcci”. Uno di questi è la distribuzione di passaporti russi nelle aree occupate e contese. “Anche prima della guerra del 2008 in Georgia, il 90 per cento degli abkhazi e degli osseti del sud aveva passaporti russi. Negli ultimi tre anni, almeno 650.000 cittadini del Donbass nell'Ucraina orientale hanno ottenuto passaporti russi. Un altro è facilitare la naturalizzazione dei russofoni. E l'annessione della Crimea ha permesso, con un tratto di penna, a 2,5 milioni di persone in più di diventare cittadini russi”.
“Un tasso di natalità in calo si verifica verso la fine di ogni civiltà” ha scritto qualche giorno fa Elon Musk. “Cesare tentò, e Augusto ci riuscì, di approvare leggi per incoraggiare più figli, ma queste non furono sufficienti”. Il Wall Street Journal ha un racconto molto interessante su come l’ossessione per il crollo demografico guidi molte posizioni pubbliche di Musk. E come spiega il Financial Times, neanche le politiche nataliste dell’Ungheria funzionano.
Scrive sullo Spectator Jesus Fernandez-Villaverde, professore di economia alla Pennsylvania University: “Secondo i miei calcoli, ci siamo già arrivati. In gran parte inosservato, l’anno scorso è stato un anno fondamentale nella storia. Per la prima volta, gli esseri umani non producono abbastanza bambini per sostenere la popolazione. Se hai 55 anni o meno, probabilmente sarai testimone di qualcosa che gli esseri umani non vedevano da 60.000 anni, non durante guerre o pandemie: una diminuzione sostenuta della popolazione mondiale. Creare le condizioni affinché le famiglie numerose possano prosperare è l’unico modo per invertire la tendenza dei tassi di fertilità. Se non riusciamo a farlo, il prossimo inverno demografico sarà molto più duro di quanto si voglia ammettere”.
Come spiega questa settimana David Goldman su Asia Times, l’Occidente dovrebbe imparare da Israele, l’unica economia avanzata che non conosce tracollo demografico ma che ha saputo tenere in piedi fertilità e benessere.
L’Italia è fra i paesi che crollano di più e che vanno dal blu acceso all’azzurro tenue. Con una situazione come quella che abbiamo noi, con 1,2 figli per donna, ogni nuova generazione è poco più della metà di quella precedente, assieme a Lettonia, Lituania, Polonia, Romania ed Estonia. Come mi ha detto Giancarlo Blangiardo, ex presidente dell’Istat e demografo, “siamo un paese potenziale da 30 milioni di abitanti”. Si va verso il dimezzamento.
Sorge allora più di un sospetto, quasi una certezza inconfessabile, che dietro l’apertura anche nella maggioranza di governo allo “ius scholae”, che prevederebbe la concessione della cittadinanza ai minori stranieri che abbiano completato un ciclo scolastico di cinque anni e la creazione di 500.000 nuovi italiani in 5 anni, ci sia il grande panico demografico. I beneficiari sarebbero 560.000, di cui oltre 300.000 nel primo anno di applicazione e i restanti nei successivi quattro anni. 6 alunni stranieri su 10 attualmente nelle aule scolastiche otterrebbero la cittadinanza italiana. Corrispondono al 7 per cento della popolazione scolastica complessiva e all’1,2 per cento degli aventi diritto di voto.
L’effetto dello ius scholae sulla popolazione italiana sarebbe consistente.
E Le Point rivela che l’Europa ormai “si tiene” soltanto grazie ai migranti. A fronte di un saldo negativo di 1.2 milioni fra decessi e nascite, la popolazione della UE è cresciuta di 2.8 milioni nell’ultimo anno. Tutta immigrazione extra UE.
“I paesi europei non possono fare a meno dell’emigrazione, sia per correggere il calo demografico sia per fornire loro la manodopera e i consumatori necessari per mantenere il loro tenore di vita e l’unica emigrazione disponibile in numeri rapidamente utilizzabili è quella musulmana” dice questa settimana, sconsolato, lo scrittore algerino Boualem Sansal. “L’immigrazione africana è molto giovane e spesso ben preparata. Circolo vizioso. Sempre di più. La base del potere è la religione e la demografia, la vecchia Europa lo ha dimenticato e non ha più né demografia né religione”.
Da qui l’apertura allo ius scholae, una idea che Giovanni Sartori definì “da pazzi”: “L’idea di concedere la cittadinanza agli stranieri dopo cinque anni di scuola è la proposta più stupida, superficiale e sconcertante che abbia mai ascoltato, per essere un cittadino italiano devono aver rigettato il diritto teocratico o di Allah”.
Nel 2009 Sartori, che è stato l’ultimo intellettuale liberale a pensare fuori dagli schemi, scriveva sul Corriere della Sera:
“In tempi brevi la Camera dovrà pronunciarsi sulla cittadinanza e quindi, anche, sull’‘italianizzazione’ di chi, bene o male, si è accasato in casa nostra. Il fronte ‘accogliente’ è costituito dalla Chiesa e dalla sinistra. La Chiesa deve essere, si sa, misericordiosa, mentre la xenofilia della sinistra è soltanto un ‘politicamente corretto’ che finora è restato male approfondito e spiegato. Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla ‘integrabilità’ dell’islamico. Secondo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall'esperienza. La domanda è allora se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico), in società non islamiche. La risposta è sconfortante: no. Inghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritrovano con una terza generazione di giovani islamici più infervorati e incattiviti che mai. Il fatto sorprende perché cinesi, giapponesi, indiani, si accasano senza problemi nell’Occidente pur mantenendo le loro rispettive identità culturali e religiose. Ma — ecco la differenza — l’Islam non è una religione domestica; è invece un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è risvegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo ‘italianizzandolo’ è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare”.
Ne sa qualcosa il direttore dell’organizzazione per bambini “Arche”, Wolfgang Büscher, che ogni giorno si prende cura di 7.000 giovani in 33 strutture in tutta la Germania, che rivela alla BILD: “Siamo di fronte a una catastrofe”. Emerge chiaramente dalla dichiarazione dei giovani arabi citata da Büscher: “Prima tagliamo la gola agli ebrei, poi ai gay e infine ai cristiani!”. Dice Büscher: “Non ho mai sperimentato niente di simile. Un ragazzo di 12 anni venne da me e mi disse: ‘Ti odio. Ci riprenderemo il Paese’. Rifiutano la nostra cultura, i nostri valori. Il loro odio è inimmaginabile”.
Quasi una glossa all’articolo di Sartori che oggi il Corriere non pubblicherebbe mai.
La cittadinanza attraverso la scuola ha fallito in tutta Europa, perché dovrebbe funzionare in Italia?
In Germania gli studenti musulmani chiedono l’introduzione della segregazione sessuale e sale di preghiera. A Odensee, la terza città più grande della Danimarca, un preside ha raccomandato agli studenti ebrei di non iscriversi nella sua scuola ad alto tasso di immigrati. In Francia, un insegnante di un liceo cattolico è stato incriminato dalla procura per "incitamento alla discriminazione razziale o religiosa" per aver detto in classe che “la Francia è un paese cattolico”. Gli studenti francesi dovevano assistere alla proiezione del film Persepolis in un cinema, quando il loro insegnante ha preferito annullare tutto “per paura della reazione degli studenti musulmani”. A Vienna, uno studente di un liceo voleva leggere un brano della Bibbia in classe nell’ambito di una lezione, ma l’insegnante ha rifiutato, dicendo che avrebbe “offeso i musulmani”. In Svizzera due studenti musulmani sono stati esentati dallo stringere la mano alle professoresse.
Potrei andare avanti per ore, ma mi fermo qui.
Se il nostro establishment credesse nei tanti sbandierati “valori occidentali” (quali valori poi?), lo ius scholae apparirebbe meno una mano della roulette russa. Ma sono le stesse scuole dove lo stesso establishment ha imposto una quotidiana e sciagurata resa sui nostri famosi "valori".
Gli studenti musulmani di una scuola media sono esentati dal seguire le lezioni sulla Divina Commedia perché li “offende”; a Soresina, in provincia di Cremona, una scuola ha chiesto di “evitare il consumo di cibo e bevande in luoghi pubblici all'interno della scuola durante le ore di digiuno del Ramadan”; il Ramadan è inserito fra le festività in una scuola milanese; il Corano è letto nelle scuole di Biella; a Forlì una scuola ha annullato una lezione di musica per la presenza di musulmani, le scuole di Carpi esonerano le studentesse musulmane dalle lezioni di nuoto; a Calenzano, i genitori hanno ottenuto l'esonero dal servizio di mensa durante il Ramadan, digiuno da acqua e cibo a dieci anni; a Savona agli studenti si chiede di evitare “abiti troppo disinvolti” per non offendere l’Islam; a Livorno, il Natale diventa “inverno di pace”, e mille altri casi di resa in resa.
Sarebbe questo lo ius scholae prefigurato dai “pensabenisti sull’Islam”, come li chiamava Sartori?
La scuola Meeuwse Acker di Nijmegen, in Olanda dove le scuole portano anche i bambini in moschea per imparare a pregare, ha inviato una comunicazione agli studenti informandoli che sotto Ramadan durante il tragitto in autobus non sarà consentito loro di bere o mangiare, nel rispetto degli studenti musulmani.
Sarebbero questi i “modelli di integrazione” cui si ispira l’Italia, dove come diceva Sartori “non solo già oggi non sappiamo dove mettere gli immigrati, visto che noi italiani abbiamo ripreso a partire per l'estero alla ricerca di un lavoro, ma concediamo loro tutti i diritti, compresi quelli di voto, e un giorno saranno la maggioranza anche in questo paese”?
Come ho detto al corrispondente da Roma dello Spectator Paul Wood, “in Italia siamo in guai seri, aspettiamo l'inevitabile, come un suicidio lento”.
Era febbraio.
Nessuno sa che mondo sarà fra trent’anni. Averne, di sfere di cristallo…Ma sei mesi dopo, come non essere ancora più pessimisti e non pensare che avesse ragione Sartori a chiamarla “la nostra corsa verso il nulla”?
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